Dopo settimane di voci di corridoio sul futuro di Carrefour in Italia molti si aspettavano un punto fermo nell’incontro sindacale. Cosa che non è avvenuta semplicemente perché non c’è nulla, ad oggi, che doveva o poteva avvenire. Salvo la procedura sulla sede. Nonostante i parallelismi ricercati la vicenda che coinvolge Carrefour Italia non è paragonabile a quella vissuta dall’altra multinazionale francese, Auchan Retail, quando il 13 maggio del 2019, l’allora Presidente Edgar Bonte comunicò direttamente ai dipendenti la vendita a Conad dell’azienda. Un minuto dopo non era già più un problema suo.
Nel caso di Carrefour, salvo le indiscrezioni apparse sulla stampa, non c’è assolutamente nulla di concreto. E già questo rende completamente diverse le due situazioni. Lo stesso incarico esplorativo affidato alla banca d’affari franco-britannica Rothschild per sondare il mercato alla ricerca di potenziali compratori allo stato si inserisce anch’esso una situazione non paragonabile. Da una parte c’è il CEO Cristophe Rabatel e la sua squadra determinati nel lavoro di rilancio dell’azienda che hanno presentato ai sindacati di categoria risultati in netto miglioramento nel 2025 e un piano di riorganizzazione della sede che prevede 175 esuberi. Piano concordato con la capo gruppo che ha un suo iter indipendentemente da tutto il resto. E questa è, ad oggi, l’unica certezza.
E dall’altra c’è il vertice del Gruppo francese che, leggo, non ritenendo sufficientemente strategica la presenza in Italia, vorrebbe anche verificare le condizioni di un’eventuale cessione totale o parziale, nella speranza (o meglio nell’illusione) di Mathieu Malige CFO che i conti della capogruppo così migliorerebbero. Ovviamente non credo abbiano la più pallida idea di ciò che si troveranno da gestire se non dovessero avere già ora in tasca una ipotesi di soluzione rapida e percorribile. Cosa che personalmente non credo ci sia ancora.
È comprensibile il disorientamento dei dipendenti, dei dirigenti e degli stessi franchisee (1200 punti di vendita di cui 980 in franchising e 18mila dipendenti, tra diretti e indiretti). Da qui la prima legittima reazione dei sindacati di categoria. “Alla fine del confronto con i vertici aziendali Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs hanno quindi deciso di proclamare lo stato di agitazione e di chiedere un incontro, in sede istituzionale per avere chiarezza, ribadire la richiesta di investimenti e dare una prospettiva a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori”. Non avrebbero potuto dire altro. La loro posizione non è invidiabile. Nel caso di cessione totale si troverebbero un interlocutore che chiederà ulteriore tempo per presentare un suo piano di rilancio. Nel caso di cessione a pezzi le problematiche sindacali tra sede, franchisee e punti vendita interni in affanno, renderebbero la loro azione di tutela ancora più complessa. Nel merito è molto probabile che ci siano veramente realtà interessate all’acquisizione di singole parti dell’azienda così come sono inevitabili sussurri e grida, dirette o trasversali, tese ad alimentare le voci di disimpegno per approfittare del disorientamento soprattutto tra i franchisee. Nulla di nuovo sotto il sole. La correttezza non è di questo comparto. Un’altra differenza rispetto ad Auchan è che Carrefour non ha annunciato formalmente la voglia smarcarsi a qualsiasi costo. L’azienda in Italia, tra l’altro, sta andando meglio del previsto e questo è a conoscenza dei vertici del Gruppo.
La banca d’affari cercherà innanzitutto soggetti interessati ad entrare nel nostro Paese o altri disponibili ad accordi di scambio in Paesi diversi. In mancanza di interlocutori interessati a livello internazionale, l’unica opzione diventerebbe un interlocutore nazionale disposto a gestire una sorta di “spezzatino” in grado di coinvolgere altri operatori interessati. Conad sarebbe l’unica insegna nazionale in grado di acquisire Carrefour Italia così com’è. Non però certamente al valore che ha in mente la casa madre francese. Ovviamente dovrebbe trovare partner interessati ad acquisire aree specifiche anche per evitare gli strali dell’antitrust. Senza però un regista riconosciuto da tutti i soggetti in campo e dalle istituzioni un’operazione di queste dimensioni è destinata ad insabbiarsi tra prese di posizione politiche, ministeri, problematiche sindacali, interessi legittimi ma divergenti tra concorrenti e rischi di costo per la collettività, trascinando la stessa multinazionale in una situazione molto più lunga e complessa da gestire di quanto possano aver previsto i suoi top manager francesi.
Auchan, va ricordato, prima ha trovato l’interlocutore a cui ha ceduto a condizioni di saldo l’intero fardello che poi le cinque cooperative Conad hanno dovuto lentamente digerire. Sul piano occupazionale, sede a parte, con ottimi risultati.. E qui l’interlocutore non sembra esserci. E senza un interlocutore in grado di costruire un percorso positivo per tutti i soggetti in campo continuo a pensare che l’opzione “Rabatel” resti la più affidabile. Almeno per tutto il 2025. Sia per il Gruppo che per i dipendenti e i franchisee. Mi resta comunque un dubbio sui tempi. Fra pochi mesi, nel 2026, scade il mandato al CEO Bompard. Siamo sicuri che il vero colpo di scena non sia la cessione dell’intero Gruppo Carrefour visto il valore dell’azione alla Borsa di Parigi?