Per chi non ha interessi personale in gioco come il sottoscritto lo sviluppo della vicenda Carrefour Italia offre numerosi spunti di riflessione. Innanzitutto le critiche e gli interessi in campo. Partiamo dalla leggenda metropolitana che indica, i francesi in particolare e gli stranieri in generale spediti in italia dal resto del mondo, come degli incapaci o dei presuntuosi, a prescindere. Categorie o generalizzazioni sono un pessimo criterio di valutazione. C’è un forzato provincialismo nel giudizio derivato dalla particolarità del comparto della GDO dove la cultura manageriale, la dimensione aziendale e il profilo imprenditoriale si misurano tra piccole realtà toste e ben insediate nei singoli territori o poco più che giocano con regole locali ma incapaci di andare oltre determinate dimensioni e confini. Sia sul piano imprenditoriale che manageriale. I Top Manager di ottimo livello, invidiati anche fuori dal settore, da noi, si contano sulle dita di una mano. La maggioranza del comparto presenta manager forti e preparati nel loro perimetro di competenza e, se imprenditori, fragili nei passaggi generazionali.
Se in Carrefour Italia scorriamo l’elenco in ordine temporale dei manager che si sono avvicendati e i risultati dei loro piani di azione sia a livello top che nelle singole direzioni e guardiamo i risultati attesi e realizzati ci accorgeremmo che la nazionalità è l’ultimo dei problemi. Certo ai CEO che si sono succeduti vanno le responsabilità maggiori. E la maggioranza era indubbiamente francese. Ma intorno a loro c’erano anche altri. Che magari hanno fatto carriera grazie alla loro presunta “incompetenza”. O no? Se parliamo di mediocrità complessiva distribuita negli anni questa coinvolge anche molti manager non francesi. E questo è un primo dato. Ovviamente ne ho conosciuto anche tanti molto bravi. Ci mancherebbe. Il dato vero è che generazioni di top manager ben pagati scelti dai francesi, ma italianissimi, in Carrefour hanno fallito insieme ai loro mentori. All’azionista e ai dipendenti, oggi questo interessa. Il resto è fumo con la manovella. Uno scarico di responsabilità che non accetto per principio.
Il secondo punto è l’evidente interesse di parte dei concorrenti e dei fondi ad alimentare le voci di un imminente addio della multinazionale. Tutti i competitor vantano di essere stati contattati e di aver risposto picche. Un chiacchiericcio insopportabile. Tutti però pronti a trattare solo in caso di saldi estivi. Una notizia lanciata e accompagnata da numerosi “parrebbe” “si dice” “si vocifera” pubblicata dalla Lebensmittel Zeitung è stata così riciclata in tutte le salse per dare per scontato ciò che scontato non è. Tutto, tra l’altro, è nato da una dichiarazione di Matthieu Malige CFO Carrefour sulla necessità di mettere a posto i conti tramite dismissioni e tagli che ha immediatamente scatenato la fantasia dei media. Se anche dovessero cedere domattina le attività italiane, la situazione di stallo per l’intero Gruppo non cambierebbe di una virgola. Se si vuole fare un ragionamento serio, è da lì che occorrerebbe partire. È l’intero Gruppo che, da qualche anno è attraversato da voci e da proposte di acquisizione. Personalmente non escludo a priori che possa essere pianificata una exit strategy dal mercato italiano ma l’annuncio sulla sede dimostra, a mio parere, che, l’operazione in corso (taglio in sede e piano commerciale di rilancio) è un (forse l’ultimo) tentativo di continuare a rilanciare la presenza di Carrefour in Italia. È chiaro a tutti che stiamo parlando dell’ultima chance. Ovviamente capisco chi vorrebbe accaparrarsi Etruria Retail, il cui contratto con Carrefour, scadrà nel 2026, capisco pure le insegne nazionali che vorrebbero limitarsi a scegliere di fiore in fiore le location migliori mentre di sede e di punti vendita obsoleti non vogliono sentir parlare. Capisco infine, che qualche fondo di private equity o di venture capital possa essere interessato al business. Ma a me sembra che si stia esagerando. Se qualcuno dovesse essere interessato è chiaro che se la deve prendere così com’è e poi gestirne le contraddizioni come ha fatto Conad con le sue cooperative, che, sede a parte, ha fatto un ottimo quanto complesso lavoro di integrazione che, prima o poi, andrebbe rivalutato e riconosciuto.
Oggi mi metto nei panni dei lavoratori Carrefour e dei sindacati di categoria che presto si sederanno ad un tavolo di confronto. Dovranno saper gestire tutti gli spifferi anonimi dei dirigenti messi in discussione che, sottobanco, inciteranno a non credere a nulla e a tenere duro. Come sta già avvenendo sui social. Nella vicenda Auchan dietro fittizi nick name ne hanno sparate più di Bertoldo alimentando inutili illusioni. Così come mi aspetto l’incazzatura di chi, dopo la chiusura della procedura, saprà se il proprio nome è su quella lista e infine l’ansia di chi pur tirando un respiro di sollievo, non si sentirà affatto garantito e sicuro per il suo futuro. Insomma un clima aziendale per nulla semplice da gestire. L’esatto contrario di ciò che servirebbe per ripartire. Ma tant’è. Per ora la dichiarazione congiunta di Filcams, Uiltucs e Fisascat non poteva essere altrimenti: “Si tratta di un licenziamento inaccettabile in un contesto di grande tensione che vede da anni Carrefour assumere scelte aziendali sbagliate nel nostro paese”, dicono i sindacati. “Ci muoveremo immediatamente per aprire un confronto con l’azienda per tutelare i dipendenti coinvolti”. “Chiediamo – proseguono – di garantire l’occupazione e non scaricare sui dipendenti scelte aziendali sbagliate che hanno portato a uno stato di sofferenza economica che perdura ormai da anni. Senza risposte concrete alle nostre richieste, ci riserviamo ogni possibile iniziativa a tutela delle lavoratrici e lavoratori”. Difficile aspettarsi altro. Sono circa dieci anni, ben prima quindi dell’arrivo di Rabatel, che di accordo sindacale in accordo sindacale i dipendenti diretti sono scesi di diecimila unità. La maggior parte dei quali è passata a terzi. Il sindacato sia chiaro non ha alcun interesse allo spezzatino. È l’ultima ratio. Questo è il punto su cui invito alla riflessione. Lo spezzatino lascerebbe a piedi l’intera sede (o quasi) e le filiali meno performanti. In più, persa la testa, che ha costruito il modello multi-formato con 900 PDV in franchising esploderebbe nella sua fragilità il tema dei franchisee e delle grandi superfici più esposte. Ed è con questa complessità che occorre misurarsi. Non con il passato. Cerchiamo di essere seri!
Oggi in Sede ci sono oltre 700 persone di cui 175 in discussione. Posizioni e qualifiche coinvolte emergeranno ufficialmente alla fine della procedura. Pur con tutte le critiche scontate vista la posta in gioco, centrale resta il confronto che si aprirà sulla credibilità del piano di rilancio in corso che dovrebbe accompagnare i tagli in sede. Ad un osservatore superficiale potrebbe risultare irrilevante l’impatto di un piano di ristrutturazione sulla sede visti i numeri coinvolti, e i risparmi attesi. Non è così. L’impatto psicologico è molto diverso. Innanzitutto dai tagli si percepirà la coerenza o meno del disegno complessivo proposto. A cominciare dal numero dei dirigenti coinvolti. Un conto è una semplice operazione di riduzione di costo, un altro è un accorpamento di funzioni di coordinamento e una diversa gestione delle responsabilità. In secondo luogo emergerà lo spessore del piano sociale. Chi resta solo con il proprio problema va sostenuto nella ricerca di una nuova attività. Gli strumenti contrattuali ci sono. Anche per i dirigenti.
Infine la valutazione più importante per i sindacati sarà capire la credibilità della strategia che sottende questa scelta. È evidente a tutti che siamo ad un momento di svolta molto delicato che può innescare reazioni negative a catena. Continuo a pensare che se l’intenzione prioritaria fosse stata quella di lasciare il Paese sarebbe emerso prima dell’apertura di questa procedura di riduzione di personale in sede. Se così non fosse, l’operazione si trasformerebbe in una inutile provocazione di corto respiro e in un boomerang che toglierebbe ogni credibilità a qualsiasi tavolo. Aziendale o ministeriale che sia. Di cosa si tratta, lo sapremo presto dai diretti protagonisti.