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Quando i sindacati sono oggettivamente deboli sul piano della mobilitazione tendono a proclamare iniziative  in giorni particolari o in occasione di festività cercando così di aggiungere alle loro proteste l’eco  dei media. Lo stesso vale per il lavoro festivo quando la voce si alza in occasione di feste comandate o ricorrenze laiche. Come un fiume carsico le proteste riemergono e salgono di tono proprio in quelle occasioni. Spesso prevaricano il legittimo diritto di sciopero e, proprio per nascondere, lo scarso livello di adesioni vengono programmate  forme di lotta molto più dure e in grado di provocare danni pesanti alle aziende coinvolte come picchetti, blocchi delle merci, o dell’uscita dei mezzi carichi dai magazzini logistici. Prendersela poi con le realtà più note che, tra l’altro gestiscono prodotti freschi e deperibili,  serve a far parlare delle ragioni alla base delle agitazioni ad un pubblico più ampio di quello disposto ad ascoltare torti e ragioni spesso non in capo ad una sola parte e, generalmente,  di scarso interesse per i non addetti ai lavori.

Ma, a mio modesto parere, proprio la volontà di procurare danni esagerati, toglie ogni legittimità a qualsiasi  protesta. Protagonista è di nuovo Esselunga che si vede presa di mira nei servizi di consegna a domicilio (gestiti da terzi) proprio sotto le feste pasquali. Non sono mai stato tenero con l’insegna di Pioltello sulla gestione delle risorse umane che ha perso smalto da tempo  ma, in questo caso, non posso che dar loro ragione. Lo sciopero è in atto nonostante sia già stato fissato un incontro dal Prefetto. È chiara così la volontà di provocare i maggiori danni possibili quanto l’inutilità della protesta stessa che, essendo  finalizzata  a riprendere un confronto, già programmato in Prefettura, segnala la sua strumentalità. I presidi sono in corso presso i siti di Settimo milanese e Dione Cassio, nel Milanese, Varedo (Monza e Brianza), Lallio (Bergamo) da dove partono le consegne gestiti da Brivio e Viganò e consegnati da Deliverit e Cap Deliver. L’azienda ha dichiarato in una nota che  “L’agitazione è stata attuata nonostante la prefettura di Milano abbia già convocato un tavolo di confronto previsto per il prossimo 23 aprile. Questa situazione sta causando gravi disservizi ai clienti, con significativi sprechi di prodotti freschi – come pane, carne, pesce, frutta e verdura – rimasti bloccati nei magazzini. Il disagio riguarda particolarmente le persone come anziani e in stato di fragilità che non possono recarsi autonomamente a fare la spesa e per le quali l’e-commerce è un servizio essenziale”.

Una situazione che ha, per di più, un ulteriore risvolto negativo che dovrebbe far riflettere tutti, sindacalisti per primi: secondo l’azienda “lo spreco delle merci alimentari trasportate, che dopo decine di ore ferme sui camion, siamo costretti a buttare in modo insensato”. Alla fine del comunicato, Esselunga preannuncia possibili ripercussioni: “Qualora le agitazioni non cessassero immediatamente e non riprendesse il dialogo tra le organizzazioni sindacali e le aziende trasportatrici, Esselunga si troverà costretta a valutare il ricorso alla cassa integrazione per circa 750 persone operanti nei centri coinvolti”. Il sindacato, da parte sua, denuncia  “comportamenti aziendali discriminatori e pratiche gestionali arbitrarie: persone messe a riposo senza alcuna giustificazione operativa, mentre ad altre è richiesto di lavorare in regime straordinario, ben oltre il normale orario. A ciò si aggiungono pressioni indebite sul personale affinché sostituiscano chi si rifiuta di lavorare con mezzi sovraccarichi, in evidente violazione delle norme sulla sicurezza”.

Secondo i dati del Ministero degli Interni dal primo gennaio 2024, nel settore della logistica si sono registrate complessivamente 240 manifestazioni, la maggior parte delle quali promosse da organizzazioni sindacali di base. In occasione di 183 iniziative si sono registrati episodi di “blocco delle merci di durata temporale variabile risolti dall’intervento delle forze dell’ordine in tempi compatibili con la continuità produttiva”. È altrettanto  vero che stiamo assistendo  a quella che Dario Di Vico ha definito recentemente “la cobasizzazione culturale delle relazioni industriali, un sindacalismo giacobino nel quale pochi “audaci” possono decidere per molti”. Aggiungo un terzo soggetto, altrettanto importante e per nulla terzo in queste vicende. Quella parte della magistratura che, quando è chiamata in causa, tende a giustificare  certi comportamenti anche se vanno ben al di là del legittimo esercizio del diritto di sciopero. Diritti degli utenti dei trasporti, dei lavoratori del comparto e delle cooperative ma anche delle aziende e dei trasportatori coinvolti dovrebbero  trovare altre modalità di risoluzione dei conflitti. E, come conclude Di Vico, questo è possibile solo rivedendo con giudizio le norme sul raffreddamento dei conflitti rendendole non facilmente aggirabili dai sindacatini-corsari in un quadro, aggiungo, di rispetto da parte di tutti  dei contratti e della legge.

In alcune realtà dal novarese al piacentino passando per Milano si è creato un corto circuito apparentemente non districabile. Credo sia evidente che ci sono in campo  forze politiche e sindacali minoritarie che stanno cercando di infilarsi nelle contraddizioni di una politica economica e sociale complessa che, come una coperta corta, a seconda di come la si tira, lascia scoperti situazioni e interessi. Eppure per capire che sta crescendo un malessere diffuso, non solo in Italia, non servono esperti sociologi. Lo stesso Mario Draghi ci ha recentemente ricordato che questo modello economico basato su livelli salariali bassi «non è più sostenibile». Le tensioni, inutile girarci intorno,  nascono essenzialmente da qui.

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