È una domanda curiosa che probabilmente non avrebbe senso in qualsiasi altra città italiana: “Quali sono i quartieri di Milano dove ci vorrebbe una Esselunga”? La domanda la pone Fabio Marcomin, un giornalista di “Milano Città Stato” , un’iniziativa editoriale, parte di un progetto, che cerca di valorizzare e stimolare la città a ragionare sul proprio futuro. A Milano, ha ancora senso porsi questo interrogativo? Esselunga può rivendicare ancora oggi la sua unicità e detenere il marchio simbolo che la identifica con Milano?
Marcomin credo sappia benissimo che i quartieri di Milano sono ormai presidiati da numerose insegne concorrenti di Esselunga e quindi pone un tema per certi versi di identità della città e della sua insegna simbolo e, contemporaneamente, lanciando la domanda sui social, propone inevitabilmente una sorta di test rivolto ai milanesi che seguono la rivista e le iniziative collegate, e che condividono la visione di una Milano protagonista e gelosa della sua specificità. Esselunga quindi, interpreta ancora quello spirito? O sta sacrificando parte del capitale accumulato in passato per giocare il suo ruolo pluriregionale e difendersi dalla concorrenza, soprattutto dei discount?
Essendo milanese da generazioni e avendo abitato in diversi quartieri ho sempre sottolineato che, per chi vive in città e in provincia, Brianza compresa, Esselunga è sempre stata vissuta come l’insegna milanese per antonomasia. E lo è ancora. Personalmente faccio lì la spesa principale. Con le varianti Conad, Unes e Aldi per comodità, o se cerco qualcosa di particolare che Esselunga non ha sugli scaffali. Dalla metà del secolo scorso e fino ai giorni nostri, tutte le altre insegne, sono sempre stati definite, a Milano, semplicemente “supermercati”. Vado ad Esselunga o vado al supermercato è sempre stato il discrimine. Punti vendita certamente di ottimo livello di altre insegne, ritenuti tali per comodità, abitudini, convenienza o qualità del servizio. Se restiamo in Lombardia, è così credo, a Como per Bennet, in Valtellina per Iperal o, nell’alto milanese, per Tigros. Difficile scalzare il vantaggio acquisito in città da Esselunga. Almeno per noi boomer. Ci hanno provato, negli anni, i Supermercati Brianzoli in Brianza e Unes in città, con modesti risultati. Adesso ci stanno provando i discount con maggiore successo. Dunque qualcosa è cambiato.
Se dovessimo stabilire una data dov’è questo ipotetico vantaggio, pur ancora presente, è in parte evaporato, dovremmo indicarla nel triennio 2020-2023. La pandemia e le sue costrizioni hanno rappresentato per la GDO, e non solo, quello che la safety car rappresenta nelle gare di formula uno dove quel mezzo, viene utilizzato per raggruppare, rallentandole, le autovetture in gara. Mettendole, di fatto, tutte alla pari. I consumatori, non solo milanesi, hanno dovuto modificare abitudini e comportamenti durante la pandemia percependo le insegne tutte uguali per necessità e questo ha trascinato i suoi effetti, in parte, anche dopo. Anzi si è, per certi versi, ulteriormente consolidato. In quel periodo i consumatori e le insegne stesse hanno dovuto fare di necessità virtù, e questo ha reso consumi e insegne un po’ fotocopie molto simili tra di loro. Questo all’esterno. Sul fronte interno Sami Kahale, che era entrato nel 2018 come DG, poi diventato CEO nel 2019, nel 2021 lascia e Marina Caprotti assume la guida operativa del gruppo Esselunga. I due fatti, credo siano molto più connessi di quel che appare ad una lettura superficiale.
Il “declino” di immagine della Esselunga post Bernardo Caprotti, pur rallentato dall’affanno degli stessi concorrenti, comincia proprio lì. L’inflazione che segue alimenta semplicemente il nomadismo dei consumatori e incrina lo status pre pandemia dell’insegna di Pioltello. Due fatti precisi, quindi. Il primo riguarda il mutamento dei comportamenti dei consumatori che, seppure lentamente iniziano a frequentare altre insegne o, meglio, a distribuire diversamente i loro acquisti. Il secondo, credo dovuto ad un tentativo di reinterpretazione del passato da parte del management, mentre, finito il tempo della safety car, il contesto e la nuova pluralità di insegne che lo contraddistingueva, stava subendo un’accelerazione imprevista. Una sorta di arrocco da parte di Esselunga “spaventata” dall’attivismo della concorrenza. L’affanno descritto in due dati: il “lodo Caprotti” nel 2020 la valuta 6,1 miliardi. Valore che in seguito è calato e non di poco. Il costo del lavoro che, nell’ultimo anno della gestione di Bernardo Caprotti era al 9% arrivato al 13% dell’ultimo bilancio 2024 descritto in modo chiaro da Emanuele Scarci (leggi qui ).
Quello che è successo dopo quel periodo è sotto gli occhi di tutti. Sia sul fronte interno che lato consumatori. Va detto che oggi è difficile distinguere il “grano dal loglio” perché le critiche dei consumatori, in tempo di inflazione, non risparmiano nessuno però, qualche elemento andrebbe considerato perché, in fondo, sono critiche mirate. Anche nel dibattito social che accompagna l’articolo: “carni, frutta e verdure non sono il massimo”, “la mia adorata Slunga è il supermercato migliore, ma più caro di Milano”, “Frutta e verdura di qualità scadente e prezzo alto. Bisogna destreggiarsi con le offerte”, “Io ho vicino casa Prix e qualitativamente non ha nulla da invidiare”, “Esselunga è di fascia alta di prezzo. Piuttosto servirebbe qualche Iperal, Tigros, MD o Conad”. E così via.
Personalmente non credo alla maggiore qualità media altrui (salvo rare eccezioni) sulla piazza di Milano. Piuttosto ad una omologazione verso il basso della qualità, del lavoro e del servizio che sempre meno permette di distinguere tra la prima della classe e gli inseguitori. E se il cliente non percepisce una qualità decisamente superiore o un servizio particolarmente efficiente, si convince che un’ insegna vale l’altra. Esselunga quindi, se vuole continuare ad essere la prima della classe, deve affrontare sia un forte investimento sulle ragioni di questa immagine percepita (vera o presunta) per rivitalizzarla agli occhi dei suoi clienti, ma anche in termini di strategia aziendale e di management. I concorrenti, per ora, possono solo continuare ad eroderne scampoli di potere e di mercato. Solo Esselunga può farsi male da sola.