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Un anziano direttore risorse umane di un’azienda veneta importante del no food tempo fa mi ha confidato una regola non scritta  a cui si sono sempre ispirati i sindacati di categoria del commercio. Andare esclusivamente  nelle aziende che danno loro retta evitando accuratamente le altre per evitare brutte figure con i propri iscritti. Oggi è toccato a LIDL, prima ad IKEA e in futuro toccherà sicuramente ad altre insegne scontare questa regola. La disponibilità all’ascolto o la presenza di condizioni ben oltre quanto stabilito dai CCNL di categoria viene ritenuta quasi un lasciapassare  garantito per alzare i toni con prese di posizione di matrice  populista che cercano di portare a pensare, chi non conosce la realtà,   che nel comparto sono tutti  grigi come i gatti di notte. Non è così.

Le semplificazioni che si sono lette su Ikea e Lidl, per restare agli ultimi due esempi sono, per certi versi, paradigmatiche. In un comparto dove c’è chi utilizza i “contratti pirata” e chi fa fatica a rispettare i CCNL, chi li interpreta liberamente su maggiorazioni, inquadramento e orari di lavoro, e dove le aziende che hanno un contratto integrativo aziendale, rappresentano una percentuale risibile, prendersela con chi è almeno tre passi avanti su questi  temi è semplicemente ridicolo. La mancanza di  veri confronti settoriali ai massimi livelli associativi,  che portino a condividere contesto e strumenti d’azione, di breve e di lungo periodo, determina inevitabilmente questa situazione spontaneista che spinge i sindacati a non valutare con obiettività  chi hanno di fronte e quindi a non tarare di conseguenza la loro iniziativa.

Da tutto questo nascono sparate demagogiche, reazioni nervose, richieste populiste a favore di telecamera che, visto il contesto economico e sociale restano di difficile accoglimento,  ma rendono mediaticamente. Su tutto fa perno la retorica degli scioperi indetti ma poco praticati e le prese di posizione più virtuali che reali. Quando  i sindacati stessi parlano  di adesione, ad esempio nel caso della LIDL,  tra l’80% e il 100%  e poi sottolineano di aver provocato la chiusura di 80 punti vendita in un’azienda che ne ha circa 800 significa che la partecipazione  non ha coinvolto, e quindi  superato, il 10% dei punti vendita e, di conseguenza, degli addetti. Che è il numero medio di adesione alle iniziative in ogni realtà sindacalizzata della GDO. E parliamo di  numeri dettati da loro stessi alla stampa durante lo sciopero dove gli animi tendono ad essere più eccitati. Non il dato aziendale che notoriamente segnala sempre una partecipazione molto più scarsa. E questo nonostante il mio pensiero da sempre suggerisca alle imprese che, se anche  fossero coinvolti  solo una decina di punti vendita su 800, si tratterebbe  comunque di un segnale degno di attenzione per una realtà  attenta alle proprie risorse umane.  Da qui l’invito all’azienda e alle sue articolazioni territoriali a riflettere sul punto senza sottovalutarlo.

La partecipazione agli scioperi,  nella narrazione sindacale ufficiale è da sempre dichiarata   “straordinaria”, “imprevista”, “superiore a qualsiasi aspettativa” anche quando non lo è.  Fa parte del messaggio ai propri attivisti per tenere alta la mobilitazione. E qui stiamo parlando di un normalissimo dissenso di merito in un rinnovo di Contratto aziendale. Non di un’ondata di licenziamenti inattesi. Quindi, al di là dei numeri e della liturgia, resta il tema del ruolo dei sindacati nella GDO e il rapporto tra rivendicazioni possibili e  interessi concreti dei lavoratori. Le aziende, penso alle due citate, hanno le loro politiche di gestione e sviluppo del personale che il sindacato conosce a malapena. E che, generalmente, non discriminano chi ha voglia di fare.

Cultura interna, comunicazione, aspettative individuali, crescite programmate, flessibilità e orari di lavoro sono gestite da prassi aziendale che, in una piccola comunità composta da pochissime persone  avvengono nel rispetto del dettato contrattuale. Se togliamo questa tradizionale liturgia della parola che si ripresenta ad ogni mobilitazione e questi toni trionfalistici di vecchio conio, sarebbe il caso di concentrarsi sul merito. Per Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs nel caso di LIDL «è inaccettabile che l’impresa dei discount, che conquista sempre maggiori quote di mercato e negli ultimi cinque anni ha fatto registrare in Italia oltre 1,3 miliardi di risultato positivo ante imposte, non abbia voluto investire maggiori risorse sui propri collaboratori che hanno reso grande l’insegna Lidl».

Già in queste dichiarazioni, e non vale solo per l’insegna tedesca,  c’è la dimostrazione che le organizzazioni sindacali, anziché condividere e, se d’accordo,  apprezzare, ciò che coinvolge migliaia di lavoratori  del comparto preferiscono rifugiarsi nella retorica populista. Progetti formativi, carriere, sviluppi professionali sono una costante. Sono diffusi ovunque e il sindacato farebbe bene a cercare di saperne di più, per condividere queste iniziative e possibilmente sostenerle. Coinvolgono migliaia di lavoratori e spiegano, più di altre teorie, un po’ datate   l’impegno e l’interesse dell’azienda nei confronti dei propri  collaboratori. Rifiutando questo terreno di confronto il  sindacato, nel 2025, si confina in un’area di irrilevanza  che lo rassegna in una posizione di subalternità.

Nel caso di LIDL parliamo di un discount che applica  il CCNL, ha un suo CIA, rispetta l’orario di lavoro al minuto, eroga maggiorazioni ben più significative del CCNL e nei magazzini logistici impiega  collaboratori diretti che beneficiano quindi del CCNL e del CIA. Un rinnovo di contratto aziendale oggi non avviene certo per paura di una  mobilitazione che entrambe le parti sanno che non potrà essere risolutiva, ma deve essere necessariamente condiviso e compatibile con il conto economico e con la cultura aziendale. LIDL come del resto IKEA non mi sembrano aziende che rifiutino di ascoltare i sindacati. In LIDL c’è  quindi in essere un  Contratto Integrativo Aziendale la cui scadenza è stata recentemente prorogata fino al 6 marzo 2026. Copre circa 22mila dipendenti di Lidl Italia, e i 12 centri logistici regionali.

Dal 1° maggio 2024 Lidl Italia fa riferimento al CCNL del Terziario Distribuzione e Servizi di Confcommercio, richiamando ad esso i riferimenti del suo CIA. Le parti hanno convenuto di interrompere l’efficacia della contrattazione integrativa in essere solo nel caso in cui, entro la nuova scadenza, si formalizzi un accordo per un nuovo Contratto Integrativo Aziendale, scaduto nel 2021. Diversamente, si incontreranno per valutare eventuali ulteriori rinnovi o proroghe.  Di fatto i sindacati si sono garantiti una ultrattività del CIA scaduto tutt’altro che scontata in altre situazioni. Un segnale di buona volontà dell’azienda  già incassato dalla controparte sindacale. Credo sia necessario ripartire  da lì.

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