I meno attenti guardano solo i numeri e la crescita inarrestabile di Amazon. Gli avversari ideologici contestano lo sfruttamento del lavoro e l’elusione fiscale nei Paesi dove opera pur sapendo benissimo che il colosso di Seattle rispetta le regole, applica i CCNL a differenza di altri e, fiscalmente, rispetta le leggi definite a livello internazionale. Altri ancora contestano una supposta arroganza a prescindere. L’avversione alle multinazionali ha radici profonde nel nostro Paese che risalgono alla seconda metà del novecento. Io cerco di comprendere le traiettorie del suo intero ecosistema e, perché no, le contraddizioni che ne accompagnano la costruzione. È la differenza tra gli scenari ipotizzati, gli obiettivi conseguiti, gli errori e le ripartenze che costituiscono la cifra di un management di qualità rispetto ad un altro. A me questo interessa più di altri argomenti. Per questo seguo il dibattito lanciato da Brittain Ladd su un tema, solo apparentemente secondario: la presunta “ipocrisia” di Whole Foods.
La parola ipocrisia viene dal greco hypokrisis. Significa “recitare una parte”, “fingere”, “dissimulare”. Per un’azienda dovrebbe essere la differenza tra ciò che afferma di essere e ciò che effettivamente fa. Purtroppo un tratto distintivo per molte realtà. Acquistata nel 2017 WF costituisce Il principale pilastro del canale fisico su cui regge la volontà di presidio nel food di Amazon. Il tema sollevato riguarda la decisione di vendere o meno i prodotti Consumer Packaged Goods (CPG). Beni di uso quotidiano che i consumatori acquistano frequentemente e in modo ripetuto e che nulla hanno a che fare con ciò che propone Whole Foods. Mi sembra di capire che, arrivati a questo punto, il tema non sia “se” venderli (questo ormai sembrerebbe essere scontato) ma dove e come.
Come ho già scritto in precedenti articoli l’uscita di Tony Hoggett e, di fatto, della sua squadra, ha segnato la vittoria del management di Whole Foods che, fin dall’acquisizione non voleva essere contaminata né dalla traiettoria tecnologica di Amazon, né soprattutto, “mischiarsi” con Amazon Fresh. Voleva assolutamente conservare la sua originalità. Gli “inviti”, provenienti da più parti e, a mio parere, accarezzati per un certo tempo anche dai vertici di Amazon, spingevano per “cacciare” tutto il management cresciuto intorno a John Mackey. Inviti caduti nel vuoto. Probabilmente per la legittima preoccupazione di Andy Jassy di trovarsi un management nuovo incapace di gestire quella particolare fascia di clienti benestanti che frequenta Whole Foods e che, più che al prezzo e alle casse automatiche o altre “diavolerie” tecnologiche, è interessata all’esclusiva qualità che l’insegna ha sempre garantito.
Il confronto tra manager che ne è seguito, alla fine, ha convinto Andy Jassy a lasciar andare Tony Hoggett e puntare le sue carte su Whole Foods che, nell’immediato, offriva più garanzie, però a precise condizioni. La “vittoria” di Jason Buechel che al ruolo di Chief Executive Officer at Whole Foods Market ha conquistato quella di Vice President of Amazon Worldwide Grocery Stores lo ha in qualche modo sancito. Buechel, a mio parere, ha dovuto condividere un punto fondamentale. Un diktat molto semplice: Whole Foods resti pure incontaminato da bibite gassate e prodotti processati vari ma trovi una soluzione al problema dei CPG. Per Jason Buechel CEO di Whole Foods Market, che si gioca molto della sua credibilità sull’operazione, quei prodotti vanno semplicemente venduti a parte. E quindi sul retro di alcuni negozi è partito un test interessante.
“Ipocrita”, appunto, secondo Brittain Ladd. Buechel ha evitato quindi la contaminazione diretta, ha proposto di installare MFC automatizzati sul retro di alcuni negozi Whole Foods selezionati per un test. Piccoli hub logistici, altamente dinamici e progettati per gestire ordini complessi con maggiore efficacia. Gli MFC conterranno prodotti CPG come Coca-Cola, Tide, Oreo, ecc. Ciò consentirà ai clienti dei loro negozi di effettuare un ordine per i prodotti CPG senza essere costretti ad andare dalle insegne concorrenti. Se l’esperimento dovesse irritare o far perdere clienti, si arresterà. Al contrario, dovesse funzionare WF si dovrebbe misurare con una incognita di non poco conto.
Il costo per l’installazione di un MFC costerebbe, sempre secondo Ladd, tra i 7 e gli 11 milioni di dollari ma Whole Foods gestisce 525 negozi. Ciò significa che o Whole Foods sta bluffando per prendere tempo sapendo che l’esperimento è comunque destinato a fallire, o occorrerà mettere in conto di spendere tra i 3,6 e i 5,7 miliardi di dollari per installare MFC all’interno di tutti i negozi. Questo, secondo Brittain Ladd, costituirebbe uno dei più grandi sprechi di risorse. Da parte sua, Amazon pretende però che Buechel risolva questa contraddizione. Amazon è stanca di vedere i clienti Whole Foods completare la spesa altrove per i prodotti CPG, dai concorrenti. Bocciato il vecchio disegno, la sorte di Amazon Fresh come polo aggregante è però segnata. Semmai sarà WF l’aggregatore. La domanda è se ha senso tenere i prodotti CPG fuori dagli scaffali dei negozi Whole Foods per sobbarcarsi un investimento di queste dimensioni che li presenterebbe a pochi metri di distanza. Whole Foods non può mantenere il suo alone come retailer attento alla salute, approfittando degli stessi prodotti a cui afferma di opporsi. Jason Buechel sa di non poter avere entrambi i modi: Non può contemporaneamente sostenere che Whole Foods sia una sorta di santuario per un’alimentazione pulita mentre utilizza l’automazione per vendere cibi che non condivide. Deve decidere sapendo che il suo destino come top manager dipenderà da quella scelta. John Mackey, che lo ha assunto, puntava a cambiare il sistema alimentare rendendolo più sano e sostenibile. Non certo ad aggirarlo.
Sotto quella bandiera, l’azienda si è rifiutata di vendere prodotti iconici come Coca-Cola, Tide, Doritos e Oreo, respingendoli per principio. Tra l’altro gli MFC sono gestiti da dipendenti di Amazon. Perché il cambiamento è comunque inevitabile? Realtà come Kroger, Walmart e altri rivenditori hanno aumentato la quantità di prodotti biologici che vendono e stanno attirando i clienti di Whole Foods. Secondo i dati interni di Whole Foods, il 97% dei clienti di Whole Foods lascia i negozi per finire la spesa presso un concorrente, di solito Kroger o Walmart. Whole Foods sta perdendo miliardi di dollari all’anno. Da qui il paradosso: Il cliente può tradire l’insegna ma l’insegna fin dove può spingersi? La vicenda si fa dunque sempre più interessante…