Conad/Auchan. L’accordo sindacale apre ad una nuova fase

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Tutte le più importanti vicende sindacali degli ultimi anni trascinano quasi sempre con sé polemiche e mal di pancia. Ricordo la più importante che ha coinvolto il sindacato dei metalmeccanici sul futuro di FCA. I fatti hanno dato ragione a chi, rompendo gli indugi, firmò l’accordo con Marchionne e torto a chi si defilò. La FIM CISL fu la principale protagonista di quell’intesa. Qui è toccato alla FISASCAT CISL tenere il punto. E anche lì le polemiche furono al calor bianco.

L’operazione di acquisizione condotta da Conad ha, in proporzione, la stessa importanza sul piano sindacale applicata al settore della GDO. I prossimi anni saranno all’insegna di ulteriori concentrazioni e cambiamenti profondi. E tutte comporteranno pesanti ricadute occupazionali. Le sedi saranno stravolte non meno dei punti vendita. Seguirle e commentarle, proprio a partire da questa vicenda,  è un dovere per chi come me si è sempre occupato di questi temi.

Coinvolge la prospettiva del settore ma anche e soprattutto  la vita e il futuro professionale delle persone e quindi è normale che quando si passa dalle aspettative alla sottoscrizione degli accordi gli interessati valutino i testi in base alle proprie esigenze individuali, di gruppo o di sito. Non c’è situazione generale né contesto che tenga. La persona coinvolta, ma non compresa o insoddisfatta di quanto firmato, guarda all’accordo sindacale come una resa alla controparte.

Se poi questo coinvolge un numero significativo di persone, seppure in  minoranza sul dato complessivo e concentrato in luoghi precisi, il giudizio negativo assume una visibilità evidente. È comprensibile altresì che all’interno di queste minoranze consistenti si consolidi l’idea che chiunque sostenga gli accordi, i percorsi per arrivarci e il risultato raggiunto sia da annoverare tra i “prezzolati” al servizio della controparte.

L’assenza di una tradizione sindacale consolidata impedisce che si sviluppino dialettiche sociali normali dove comporre e rappresentare gli interessi in gioco  è compito esclusivo delle organizzazioni di rappresentanza. Così come quello delle sintesi che, in quanto tali, tendono a comprendere la maggioranza dei lavoratori coinvolti e, quasi sempre, ne escludono altri che diventano destinatari più o meno volontari di una sorta di “indennizzo” all’uscita ritenuto più o meno consistente.

In questo caso la scelta aventiniana di due delle tre organizzazioni confederali dalle conseguenze di ciò che hanno firmato a livello ministeriale, ma non a livello aziendale, complica ulteriormente il quadro di riferimento.

È chiaro che, per chi ha mercato, l’uscita spontanea è una soluzione praticabile e il disagio è gestibile al contrario di chi, per motivi professionali, economici, familiari o anagrafici subisce un disagio inequivocabile. Così come lo è di più in alcuni territori o realtà rispetto ad altri. Su questi problemi andrebbero concentrati gli sforzi maggiori più che le polemiche.

I numeri delle persone coinvolte e le problematiche relative in questa fascia si conoscono da tempo. Sono i tremila esuberi teorici che devono trovare una soluzione. Neanche il Covid-19 li ha modificati. Ha solo spinto l’azienda ad adattare la strumentazione collegata anticipando e rimodulando il ricorso anche alla recente CIGD.

Qualcuno, anche nei sindacati, ha forse sottovalutato che ben cinque ipermercati erano alla fine degli ammortizzatori sociali perché già utilizzati nei cinque anni precedenti, l’aggravarsi dei costi in molte situazioni che il Covid-19 non aiuta e che rinunciare al confronto di merito con l’azienda significa solo non incidere sulle rotazioni dei lavoratori e sulle modalità considerato che la recente normativa non richiede nemmeno l’accordo sindacale. Al netto delle solite sterili strumentalizzazioni non è quindi cambiato sostanzialmente nulla sul piano generale. Certo c’è una forte preoccupazione sul futuro anche in considerazione di questa crisi che non può essere rimossa a parole.

Chi  si è defilato rischia di illudere  le persone che un altro percorso sia possibile. Ovviamente guardandosi bene dall’indicarlo. Certo la rabbia è comprensibile soprattutto laddove le soluzioni sono complesse e tutte da costruire ma è sostanzialmente inutile.

L’accordo va gestito pur con tutti i rischi collegati. Anche chi non lo ha firmato sa benissimo che sedersi sulla riva del fiume non porterà a nulla per i propri associati. Andranno gestite tutte le contraddizioni del percorso che ci saranno perché questa operazione non avviene in una campana di vetro ma in un contesto economico e sociale complesso. Ancor più aggravato dal Covid-19.

Papa Giovanni XXIII soleva dire: “Non ho mai conosciuto un pessimista che abbia concluso qualcosa di buono”. Insisto su questo punto per una ragione molto semplice. Dalla  recente chiusura dell’accordo possibile in avanti le recriminazioni diventano solo piombo alle ali delle soluzioni individuate. Alcune delle quali tutte a costruire.

In tutta questa vicenda la mia posizione è sempre stata chiara. Ho sostenuto e sostengo fino in fondo l’operazione di acquisizione. Il tempo sarà galantuomo. Anche per questo rinuncio a polemizzare. Alternative non ce n’erano. Mi sono sinceramente stupito per la scelta di non firmare l’intesa aziendale della Uiltucs Uil dopo la firma del protocollo ministeriale.

Pur essendo più o meno analogo il peso dei tre sindacati confederali in azienda la Uiltucs UIL ha sempre esercitato un ruolo rilevante e una autorevolezza nelle strategie della categoria, nella capacità di fare sintesi  e nella gestione degli accordi aziendali. Per quanto mi sforzi non me la vedo fuori gioco e ripiegata a lungo su posizioni aventiniane nella fase calda della gestione. E l’accordo sindacale contiene  gli strumenti per gestirne le conseguenze.

Comunque resto convinto che come la FIOM CGIL sta giustamente cercando di rientrare in gioco in FCA dopo lunghe quanto inutili  polemiche così possa avvenire anche in MD. 

Quella che si è aperta è decisamente una fase nuova di questa complessa vicenda. Difficile ma diversa da quella che ha portato all’accordo al Ministero e poi  a quello aziendale. Il tempo non è molto. Tutte le energie andrebbero messe in campo per realizzarne i contenuti. E per garantire il rispetto degli impegni sottoscritti.  Perdersi in polemiche inutili non porta da nessuna parte. Credo sia interesse di tutto il sindacato ritornare ad essere protagonista della transizione e del futuro della nuova azienda. 

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