Conad/Auchan. Un passo avanti e due indietro.

Tweet about this on TwitterShare on FacebookShare on LinkedIn

Mi hanno fatto riflettere le considerazioni di uno dei numerosi colleghi, manager di Auchan, con cui mi confronto spesso, che pur condividendo quello che scrivo sul mio blog mi ha espresso le sue perplessità sulla mia determinazione a sostenere l’operazione Conad “senza se e senza ma”.

D’altra parte posso capire i colleghi perché, a prescindere da cosa potrà succedere alla loro ex azienda, per molti di loro le prospettive sono già scritte. E quindi le reazioni personali sono comprensibili. Napoleone sosteneva che “si può chiedere di tutto ai propri soldati meno che sedersi sulla punta delle loro baionette”. Ed è da qui che, credo, sia necessario partire.

Dallo stato di disorientamento delle persone sul proprio destino.

Mi rendo conto, che è difficile accettare una realtà che non consente grandi spazi di manovra. Lo si capisce anche dalla difficoltà dello stesso sindacato di categoria a prendere le misure. Questa acquisizione è diversa da molte altre per come è nata (una realtà imprenditoriale “anomala e diffusa” tipicamente italiana che si è lanciata in un’operazione realizzabile solo riuscendo a mettere questa anomalia a fattor comune), per il modo con cui una multinazionale come Auchan, esperta e importante è “scappata” dal nostro Paese, per come ha lasciato a piedi un middle mangement preparato e lavoratori appassionati del loro lavoro. Veri “tifosi” della loro squadra. E come tutto questo è potuto avvenire in un tempo così ridotto e senza avvisaglie concrete se non negli ultimi mesi.

Due mondi e due culture aziendali, Auchan e Conad agli antipodi con un solo punto in comune: il cliente. Il quale decide o meno di entrare in un  punto vendita cercando solo convenienza, servizio e qualità. E se non le trova o pensa che non vale più la pena di cercarle in quel PDV, se ne va da un’altra parte. E su queste tre caratteristiche chi ha comprato i PDV dalla multinazionale francese deve lavorare di gran lena per ricostruire un rapporto con il consumatore altrimenti l’infezione rischierà di allargarsi anche alla parte sana provocando un ulteriore calo del fatturato  e un inesorabile aumento dei costi determinando   un loop infinito.

Conad è evidente che non può essere in grado di assorbire l’intero perimetro Auchan. Ci sono sovrapposizioni territoriali, concentrazioni e strutture di back office che non sono compatibili o integrabili nella sua organizzazione. Modelli di management e organizzazioni differenti. E se questo vale in tutte le operazioni di m&a qui è spinto all’ennesima potenza. Occorre poi aggiungere il fatto che l’ex Auchan ha oggi pochissimi PDV in grado di sostenere i propri costi e contribuire ai costi generali. E, ogni giorno che passa i conti peggiorano e i costi aumentano.

Questo rende l’intervento di Conad molto complesso e urgente. In questa situazione si è inserito un negoziato sindacale anomalo con un sindacato di categoria che non sa bene cosa fare essendo completamente estraneo alla cultura e all’organizzazione Conad e che quindi tende a misurarla come fosse ancora in Auchan o altrove ingigantendone i limiti (che pur ci sono) e sottovalutando le opportunità di crescita possibile (altrettanto evidenti)  lasciando così sullo sfondo il tema principale del piano industriale e degli esuberi in una situazione così compromessa.

Dall’altra parte una realtà imprenditoriale così diffusa e disomogenea, se l’operazione non procedesse con la rapidità necessaria, si troverebbe a dover fare i conti con la motivazione e l’impegno  di ciascuno delle centinaia di imprenditori coinvolti. Non ci sono grandi margini di manovra. Né per l’universo Conad né per un  sindacato che si dovesse continuare a porre in modo tradizionale. Innanzitutto perché la dimensione del problema e le soluzioni possibili sono da comporre in modo completamente nuovo superando le scorciatoie e le strumentazioni   del passato. Non si esce da questa operazione semplicemente con le dimissioni volontarie, i pensionamenti, assorbendo un po’ di personale e qualche ammortizzatore sociale. Ed è questo è il vero limite del testo sottoscritto con UGL. Non il diritto o meno di quella confederazione  a sottoscrivere accordi.

Andrebbe costruito, a mio modesto parere, un modello di gestione degli esuberi e delle soluzioni possibili completamente nuovo che se co-gestito in modo serio da entrambe le parti potrebbe addirittura anticipare un’esigenza già presente nelle piattaforme di rinnovo dei  CCNL di categoria: la sostanziale richiesta di impegni concreti e misurabili alle imprese quando devono affrontare i loro piani di ristrutturazione non limitandosi a scaricarne i costi sulla collettività e creando anche un raccordo tra i fondi interprofessionali, i fondi europei e i sistemi bilaterali così da  individuare tutte le soluzioni possibili  ma anche  trovando il modo di destinare una parte delle risorse a chi si impegna ad assumere questi lavoratori. Non impiegando risorse solo per mascherare i licenziamenti dietro la foglia di fico della volontarietà. Aggiungo che con le pesanti avvisaglie che segnalano problemi in arrivo nel comparto sui cambiamenti dei format distributivi una strategia di questo tipo costituirebbe certamente un salto di qualità decisivo.

Abbandonare il tavolo rimandando tutto al MISE per evitare di assumersi  le proprie responsabilità e per contrastare l’assoluta necessità di Conad di lasciare libertà di azione (in questa fase) ai singoli imprenditori concentrando gli eventuali problemi a livello delle cooperative a cui aderiscono è stato un errore in rapporto all’insieme delle problematiche generate da questa operazione.

Capisco che è molto difficile il compito del sindacato di categoria  nei confronti dei lavoratori di Auchan che non hanno, mai come in questo caso, alcuna responsabilità. E purtroppo è stata scelta la strada più semplice: confinarsi nella protesta.

L’azienda, al contrario,  dovrebbe essere sfidata sul terreno principale. Quello della gestione delle inevitabili conseguenze occupazionali. Il punto è accettare l’idea  che, se l’obiettivo è il lavoro per tutti, Conad è l’unico interlocutore che può aiutare il salvataggio di una realtà che è al game over.  Trasformarla in una controparte tradizionale da contrastare perché non risponde a sollecitazioni estranee al suo mondo è un errore strategico.

Le garanzie fornite fino ad oggi dai rappresentanti di Conad sono state giudicate inaccettabili dai sindacati confederali e sufficienti da UGL. Al MISE però verranno ascoltati sia i rappresentanti dell’azienda che i quattro sindacati. Tutto il tempo (a mio parere perso)  speso a cercare una mediazione sui trasferimenti e le condizioni annesse, comunque si concluderà, peserà sul clima reciproco, sulla volontà vera di collaborazione e quindi sui risultati sugli aspetti  più importanti della vertenza: il piano industriale di rilancio e la gestione degli esuberi.

È chiaro che questa operazione è destinata a produrre cambiamenti profondi anche in Conad. Per questo, a mio parere, sarebbe più importante creare le condizioni per  accompagnare questo cambiamento più che cercare di mettere di fatto in discussione un modello di gestione vincente. E su questo non è impossibile individuare le mediazioni necessarie.

Però è indubbio che Il   sindacato si troverà presto di fronte ad una scelta: o essere parte decisiva della soluzione o rassegnarsi, pur inconsapevolmente,  ad essere esso stesso parte del problema.

Tweet about this on TwitterShare on FacebookShare on LinkedIn

4 risposte a “Conad/Auchan. Un passo avanti e due indietro.”

  1. Condivido e comprendo le preoccupazioni, ma non sono d’accordo sul fatto che sia la prima volta che accade: nel 2013 Fnac ha deciso di lasciare l’Italia, abbandonando i suoi 7 punti vendita al proprio destino.
    Tre di questi, quelli meno appetibili perché collocati nei centri commerciali, sono stati semplicemente chiusi.
    I quattro che erano presenti nei centri città sono stati acquisiti da Trony, che ha solo completato il lavoro di smantellamento dell’identita e della ricchezza di un’azienda che non aveva (e tuttora non ha) eguali sul mercato italiano.
    Ho vissuto in prima persona tutte le fasi, dalla speranza, alla rassegnazione, al latente senso di colpa perché i costi erano alti, ma nonostante ognuno di noi abbia fatto del suo meglio, alla fine l’azienda non si è salvata e non è stata salvata.
    Certe storie d’impresa sono come alcune storie d’amore: puoi provare a salvarle, ma quando uno dei due ha deciso che è finita, non si può che prenderne atto.

  2. Mario, è giunto il momento di dire da che parte stai. Li facciamo lavorare tutti a questi 12.000 residui oppure li licenziamo? Se li licenziamo gli vogliamo dare 16 mensilità + mesi di preavviso. O bastano 12 mensilità?
    Dei 5000.000.000,00 di euro lasciati da Bonte’ ad Auchan Retail Italia li utilizziamo per mandare via i dirigenti che non servono o per salutare i 2
    4.000 impiegati ed operai in esubero?
    Gli altri 8.000 saranno venduti a vege’, crai,coal, Carrefour, etc?
    Dicci come stanno le cose. Siamo stanchi di aspettare.

    1. Questo deve essere l’impegno e il senso dell’accordo da sottoscrivere. Va costruito un progetto concreto che lo permetta. Si può fare. Lo dico dall’inizio. Per fare questo bisogna avere dalla stessa parte Conad, Auchan (che va messa di fronte alle sue responsabilità), il MISE, Manageritalia (per i dirigenti) e i tre sindacati (o quattro..). Altro che litigare sul niente! Io non so nulla di più di quello che sapete voi. Tutte le soluzioni per le filiali vanno bene. Sulla sede va trovato un equilibrio tra tutti quelli che ci lavorano. Come la penso lì ho scritto. Se sei stanco però riposati. Lo stai dicendo alla persona sbagliata. I tempi saranno lunghi.

  3. Grazie Mario. Mi riposo e penserò alla mia salute. Combattere contro i mulini a vento non è il mio sport preferito. Spero che alle fine la giustizia trionferà. Chi ha sbagliato paghi e chi è onesto lavoratore continui a lavorare. Ciao

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *