Le difficoltà di rinnovamento del sindacalismo confederale

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Oggi Ferruccio De Bortoli rilancia un tema quanto mai attuale sulla necessità di un rinnovato ruolo dei corpi intermedi con un focus sul sindacalismo confederale ( http://bit.ly/2DDtC10 ). Indubbiamente ha ragione. Il peso specifico nelle imprese e nella società è ai minimi storici e non certo per responsabilità della politica.

Tutte le indagini sul campo sono lì a dimostrare che c’è una crisi di strategia ma anche di credibilità complessiva. Non mancano però gli esempi virtuosi come ammette lo stesso De Bortoli che sembrerebbero indicare una via percorribile, innovativa e in grado di riportare entusiasmo, convinzione e determinazione elementi indispensabili per percorrere strade nuove.

Caratteristiche queste ben presenti in alcune categorie della CISL e della UIL ma anche della stessa CGIL. Non c’è solo la FIM CISL che è sotto i riflettori costantemente per il dinamismo del suo segretario generale Marco Bentivogli. Ci sono segnali importanti anche nei chimici, nello stesso sindacato agroindustriale e in altri comparti che conosco meno a che però sono lì a dimostrare che c’è una ripresa positiva di ruolo e di interesse nei confronti del sindacalismo confederale. Lo dimostrano la qualità degli accordi sottoscritti che resta una delle modalità più concrete per valutare la qualità  dei gruppi dirigenti.

Certo c’è ancora un affanno strategico nelle confederazioni. Un po’ perché l’elezione di Maurizio Landini è appena avvenuta e, per ora, non ha prodotto alcun effetto misurabile sulle politiche confederali unitarie. La CISL e la UIL avrebbero parecchie carte da giocare sul terreno dell’innovazione sociale ma, per il momento, non sembrano interessate ad imporre alcuna accelerazione nel confronto con la CGIL.

C’è da capire se il nuovo scenario presenterà modelli di leadership inclusive e aperte, ad esempio nella CISL di Annamaria Furlan, in grado di mettere a fattor comune le competenze e le capacità presenti nell’organizzazione o prevarranno vecchie logiche, purtroppo  presenti, più portate a premiare la fedeltà al leader che la lealtà pur nella dialettica e nella competizione.

Non è una scommessa da poco ma credo che la volontà di ritornare ad essere centrali nella costruzione di un nuovo modello confederale porterà al superamento delle incomprensioni e dei personalismi così da poter guardare al futuro. Il dopo Furlan come il dopo Barbagallo stabilirà leader e follower del nuovo sindacato confederale e la precisa volontà o meno di evitarne il declino. E qui sta la vera responsabilità  delle attuali leadership.

Ma fuori dal perimetro delle Confederazioni più rappresentative ci sono esempi interessanti, magari non sotto i riflettori, di come un sindacato moderno può essere contemporaneamente innovativo, rispondere ad esigenze individuali ma cogliere, e far cogliere ai propri iscritti, l’importanza di una tutela collettiva.

E’ il caso ad esempio,  di Manageritalia. Un forte welfare sanitario e previdenziale che tutela il singolo ma anche il nucleo familiare indipendentemente della sua composizione, l’idea, fin dal 1993, di garantire il diritto soggettivo alla formazione, la gestione, negli ultimi anni, degli impatti della crisi e degli esuberi tra i manager attraverso una gestione diretta del problema e, infine, la volontà di offrire risposte utili ai manager nei loro percorsi professionali. Quindi la capacità di saldare esigenze di tutela collettiva senza però tralasciare l’aspetto individuale.

Certo Manageritalia è un piccolo sindacato che si occupa di una categoria specifica ma non per questo è meno significativo l’esempio che fornisce a chiunque voglia costruire qualcosa di innovativo.

Alla base, però, c’è una scelta ineludibile. Essere partner delle imprese e non controparte. Mettere quindi al centro lo sviluppo dell’impresa come presupposto per la propria affermazione  di ruolo e per la crescita professionale delle persone e “pretendere”, dall’impresa stessa, un analoga centralità.

L’innovazione, il cambiamento le sfide professionali si riempiono di significato solo se i modelli organizzativi e sindacali costruiti nel novecento lasciano il campo a modelli più performanti, meno ideologici e fordisti. Idee, progetti e iniziative non nascono da capi illuminati ma germogliano se il contesto lo consente. In altri termini se il merito e le capacità individuali vengono incentivati e premiati pur non dimenticando mai chi resta indietro.

Personalmente non credo che questa scommessa sia fuori dalla portata del sindacalismo confederale. Anzi. E‘ nella sua natura rimettersi in discussione continuamente.

Limitarsi a fotografarne il declino perché se ne percepisce un sostanziale rallentamento di iniziativa e proposta  perché incalzato da una politica che cavalca in prima persona singoli problemi non è una scelta responsabile. Il sindacato confederale ha sulle spalle una grande responsabilità. Non è il solo, ovviamente.

E forse anche nelle organizzazioni datoriali la salute non è più quella di una volta. Ma quella è un’altra storia su cui tornerò presto.  

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