Può esistere uno sciopero 4.0?

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La vicenda di Deliveroo e della sua proposta unilaterale di assicurare i riders a livello continentale ha fatto scattare una discussione interessante sulla possibilità o meno di “piegare” le resistenze di un’azienda con forme di pressione apparentemente fuori dal comune.

Messaggi che spingono a astenersi dagli acquisti  in un dato giorno o all’interno di una protesta comune tra consumatori e prestatori di lavoro non sono nuovi. Hanno un discreto effetto mediatico perché rappresentano una novità ma restano del tutto inefficaci sul piano pratico. Basti pensare alla inutilità degli appelli contro gli acquisti negli outlet durante le festività.

Credo però che la discussione dovrebbe essere concentrata su di un punto importante. Avrà ancora senso parlare di sciopero in epoca 4.0? Personalmente credo di no. La società 4.0, se così possiamo chiamarla, avrà due caratteristiche importanti.

Innanzitutto si affermeranno concentrazioni economiche sempre più significative favorite dalla loro capacità di muoversi sui mercati globali e dalla tecnologia. In secondo luogo il lavoro tenderà a spostarsi sempre più da luoghi fisici per prendere strade sempre più difficili da normare.

Il peso di queste concentrazioni, l’interdipendenza sempre più forte di tutte le attività economiche nelle filiere globali e la conseguente personalizzazione del lavoro renderanno necessarie forme di collaborazione e quindi di ricomposizione degli interessi completamente diverse da quelle che abbiamo conosciuto nel 900.

È assolutamente vero che il lavoro inseguirà sempre più le persone modificandone i ritmi e i tempi di vita come mai in passato ma, proprio per la sua pervasività e per la sua importanza cambierà anche equilibri di potere e di condivisione della conoscenza oggi consolidati.

Lo sciopero, se condiviso, funzionava proprio perché contrapponeva in un luogo specifico interessi che non riuscivano ad essere ricomposti in altro modo. E funzionava e funziona ancora  se riesce a riequilibrare i rapporti di forza in campo. Altrimenti è inefficace.

In un contesto dove i rapporti sono sbilanciati perché nelle filiere saranno i contratti di subfornitura a deciderne i costi specifici, il lavoro in molti casi acquisterà valore e in altri lo perderà, i servizi saranno sempre più sofisticati e gli interlocutori in grado di decidere sempre più lontani, occorrerà lavorare per creare nuove condizioni sia di carattere relazionale che legislative per ricomporre i diversi interessi in campo.

Personalmente credo che più a trovare come scioperare in un contesto 4.0 lavorerei a più efficaci  regole sovranazionali con annesse  forme di arbitrato affidate a soggetti terzi dove il lavoro e il suo riconoscimento non sono affidati in esclusiva ai rapporti di forza.

Certo sta crescendo una generazione di consumatori consapevoli e c’è la rete dove la reputazione di un’azienda può subire danni incalcolabili, ma non possiamo non riflettere  sulle ricadute che questi cambiamenti avranno sui sistemi politici, economici, sociali e di convivenza costruiti nel 900.

Per questo più che perdere tempo ad immaginare come mettere sabbia negli ingranaggi del cambiamento credo sia meglio impegnarsi per mettere le persone in condizione di non subirlo. James Thurber ci ricorda che “dobbiamo cercare di non guardarci indietro con rabbia o avanti con paura ma intorno con consapevolezza”.

Questo è l’impegno che deve essere condiviso dal mondo delle imprese e da quello del lavoro prima che l’ideologia imponga scorciatoie o conflitti inutili.

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