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Ha ragione l’amico Emanuele Massagli Presidente della Fondazione Tarantelli. Oggi, casualmente, coincidono due fatti molto distanti tra di loro. Forse è un segno del destino. L’entrata in vigore della legge sulla partecipazione promossa dalla Cisl Nazionale (legge 15 maggio 2025 n. 76) e la comunicazione dei risultati dei referendum promossi dalla Cgil nazionale. Una vittoria e una sconfitta. La legge sulla partecipazione rappresenta ovviamente solo un inizio. Una cornice ancora tutta da riempire. Una possibile nuova narrazione per moderne relazioni industriali. I referendum, la loro modesta partecipazione, la foga abrogativa che li ha accompagnati, l’idea che l’Italia di oggi abbia bisogno di contrapposizione sociale, è stata sconfitta. Non credo serva lanciarsi in letture partitiche del voto.

Il “lavoro”, il suo riconoscimento, il tema del giusto compenso e del peso che ha nella realizzazione delle persone è centrale in sé. Sfugge alla dimensione partitica della politica. Dai referendum escono sconfitti atteggiamenti, linguaggi, liturgie, retoriche che hanno caratterizzato la cultura delle relazioni industriali per buona parte del novecento. Insistere nel volerle riproporle può radicalizzare minoranze più o meno consistenti ma non costruisce nulla di utile. La nuova legge può certo restare sulla carta ma, se gestita con intelligenza, potrebbe aprire un nuovo capitolo del sistema. Ci vorrà tempo, occorrerà superare le diffidenze delle imprese e di parte del movimento sindacale ma offre un terreno di sperimentazione per imprese e sindacati che ne sapranno cogliere lo spirito costruttivo. L’alternativa è la sterile contrapposizione regolata dai rapporti di forza.

Emanuele Massagli spiega bene sul Foglio di qualche tempo fa che: ”E’ passato poco tempo  dall’elezione al soglio pontificio di Papa Leone XIV, intenzionato a impegnare la dottrina sociale della Chiesa Cattolica nell’interpretazione escatologica (ma anche pratica) delle sfide di oggi, e finalmente, dopo 77 anni, è stata azionata la delega legislativa contenuta nell’art. 46 della Costituzione. La disposizione più “leonina” (nel senso di Leone XIII) di tutta la Carta, ossia la più coerente con quella terza via tra il dirigismo comunista e il liberismo della “mano invisibile” che fu teorizzata nella Rerum Novarumdopo 77 anni, è stata azionata la delega legislativa contenuta nell’art. 46 della Costituzione, teorizzata nella Rerum Novarum (“né il capitale può stare senza il lavoro, né il lavoro senza il capitale. La concordia fa la bellezza e l’ordine delle cose, mentre un perpetuo conflitto non può dare che confusione e barbarie”, periodo n. 15) e poi realizzata dai padri costituenti con riferimento al “diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende”, seppure “in armonia con le esigenze della produzione” e “nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi” (art. 46). Certo, fa impressione osservare il dibattito politico attorno al “superamento del Novecento” che si realizzerebbe dando forma legislativa a una intuizione scritta addirittura prima di quel secolo.

Un confronto interessante sotto il profilo storico-ricostruttivo, ma poco coinvolgente per i giovani lavoratori, quelli nati dopo il Duemila, che alla politica e alle parti sociali chiedono concretezza e senso del presente. Gli stessi che non hanno alcuna crisi di identità ideologica se il “capo” chiede loro come migliorare i prodotti e i processi dell’azienda ove lavorano, che contrattano senza esitazione salario variabile e welfare per preservare il proprio tempo libero, che si organizzano il lavoro in autonomia e rifuggono le gabbie dell’orario di lavoro rigido. Per costoro la partecipazione è già realtà, ma indefinita, sovente caotica e, soprattutto, vissuta in solitudine.

La sfida lanciata dalla Cisl, accolta dalle forze di maggioranza e da parte dell’opposizione (Italia Viva e Azione) è tutta qui: questa legge sarà in grado di incrementare la qualità del lavoro, di arricchirlo di competenze e riconoscimenti economici? E’ possibile riscoprire il valore sociale dell’impresa e la responsabilità che questo comporta verso le persone e le comunità? Nei 15 articoli del provvedimento non c’è alcuna formula magica, se non la tipizzazione delle quattro forme di partecipazione già esistenti nelle imprese italiane (soprattutto quelle grandi), da adottare e diffondere mediante la contrattazione collettiva (anche in quelle piccole).

La partecipazione gestionale si sostanzia nella indicazione di uno o più rappresentanti dei lavoratori negli organi ove sono definite le strategie (consiglio di amministrazione o consiglio di sorveglianza); la partecipazione economico-finanziaria riguarda la distribuzione ai dipendenti degli utili o il loro coinvolgimento diretto nel capitale mediante i piani di azionariato; la partecipazione organizzativa si realizza nelle commissioni paritetiche dedicate al miglioramento dell’organizzazione aziendale; la partecipazione consultiva prevede il confronto tra proprietà, management e lavoratori sulle scelte che impattano sul futuro dell’impresa. Vinta con un risultato indubbiamente storico la battaglia legislativa, ora chi crede nella partecipazione non deve retrocedere di fronte alle attese di molti (tra i quali gli oltre 400 mila firmatari della proposta originaria), che vedono nella contrattazione collettiva azionata dalla legge una delle ultime possibilità per tornare ad essere protagonisti del proprio lavoro, oltre ogni retorica referendaria sulla qualificazione giuridica dei rapporti individuali o sulle regole del licenziamento”.

Non credo  serva aggiungere altro. Le quattro forme di partecipazione proposte nella legge consentono una declinazione sartoriale nelle diverse tipologie e realtà aziendali. Presuppongono però un approccio e una mentalità aperta e disponibile al confronto. Altrimenti tutto sarà destinato a restare sulla carta. 

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