Belgio. L’usato è garantito da…. Carrefour.

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Sarà mèta del mio prossimo viaggio a Bruxelles. Abitandoci mia figlia è una città che frequento spesso. E, ovviamente, non manca mai un “tour GDO” alla ricerca di novità. Il Belgio è un crocevia interessante per la pluralità di consumatori e di insegne e quindi  adatto a sperimentazioni. Dopo quella sul franchising Delhaize (https://bit.ly/3TiQtpK) e quelle su Carrefour BuyBay (https://bit.ly/3TnV1vw) adesso toccherà a Carrefour Reeborn. Da “semplice” APP a luogo fisico il passo è stato breve.

Il nuovo pop-up Carrefour aperto il 18 aprile offre uno spazio di coworking con wifi gratuito, caffè e un distributore automatico Carrefour Buybye per fare acquisti grab&go. Il negozio situato in 313 Chaussée d’Ixelles a Ixelles è aperto dal giovedì alla domenica, dalle 11:00 alle 18:00, fino al 15 settembre. Spesso gli esperti lamentano il fatto che la GDO subisca l’iniziativa altrui. Dall’industria, dalla logistica e dall’online. Carrefour si smarca facendo propria una battuta di Olivier Dauvers che ne ha accompagnato il lancio dell’app Reeborn l’autunno scorso: “Toujours feindre d’organiser un phénomène plutôt que de le subir”. (meglio fingere di organizzare un fenomeno piuttosto che subirlo).

L’applicazione è stata lanciata  a settembre dell’anno scorso. L’obiettivo prospettato allora da  Arnaud Lesne Director of Innovation & Partnerships Carrefour Belgium,  era di consentire agli utenti di individuare  “buoni affari” nelle scorte di magazzino  dei negozi Carrefour ma anche comprare e offrire articoli di seconda mano. Carrefour aggiunge ad  ogni transazione punti bonus e, gli utenti privati, hanno la possibilità di ricevere una parte dell’importo della vendita in punti bonus che potranno essere  utilizzati per fare la spesa al Carrefour. Una applicazione con cui Carrefour punta ad attirare un pubblico nuovo e più giovane e fidelizzare i clienti esistenti.

“Carrefour Reeborn offre una soluzione semplice per uno stile di vita più sostenibile ed economico”, aveva affermato  Lesne  al lancio dell’APP. “Attraverso una piattaforma user-friendly per acquistare e vendere oggetti di seconda mano, contribuiamo a ridurre l’impatto sull’ambiente e offriamo vantaggi esclusivi ai nostri clienti.” Carrefour Reeborn  era  già stata oggetto di un “soft launch” interno in versione web per i dipendenti di Carrefour.

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Grande Distribuzione e logistica. Il dovere di ricostruire una credibilità reciproca.

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Nell’atto prodotto dai Pubblici Ministeri milanesi Marcello Viola e Paolo Storari c’è un lungo elenco di indagini dello stesso genere che hanno portato a sequestri e iniziative giudiziarie nei confronti di aziende della logistica, della grande distribuzione, del facchinaggio e anche della vigilanza privata, tra cui diversi colossi nei rispettivi settori. L’obiettivo contestato a numerose società, è di aver costituito o utilizzato  false cooperative e società schermo per sottopagare il personale della logistica, non aver versato interamente i contributi sociali dovuti ed aver evaso il fisco grazie anche a un “fraudolento giro di fatture false”.

Nell’ultimo caso che ha coinvolto GS-Carrefour, secondo il procuratore Marcello Viola,  sarebbe stato rilevato che i rapporti di lavoro con GS “sono stati ‘schermati’ da società ‘filtro’ che a loro volta si sono avvalse di diverse società cooperative (società ‘serbatoio’), che hanno sistematicamente omesso il versamento dell’IVA, nonché degli oneri di natura previdenziale e assistenziale” ai lavoratori. Una cosa ovviamente gravissima se dimostrata in questi termini.

Quello che, solo il processo potrà accertare, è il grado di coinvolgimento e di responsabilità reale del committente nelle contestazioni. Ho già avuto modo di scriverlo. Con le tensioni della logistica in rapporto alla GDO  ho avuto a che fare fin dal 2005. Sono passati quasi vent’anni. Ed è cambiato poco. Non ricordo la quantità di notti passate a Lacchiarella per certificare  che alcune cooperative con cui avevamo un rapporto, che per noi era assolutamente corretto, sostituissero lavoratori regolari contrattualizzati e certificati con irregolari in nero dopo una certa ora. Cercando di operare a totale insaputa dell’azienda committente con lo scopo evidente di risparmiare sui costi della mano d’opera. La mia cautela di giudizio nasce da qui.

Ci sono responsabilità soggettive e precise che vanno dimostrate. Dire assolute banalità come: ”Non potevano non sapere”, significa non avere nessuna contezza della natura del  fenomeno. E soprattutto di come spesso funzionano gli appalti nella logistica.  Secondo la ricostruzione tra il 2018 e il 2022, in particolare, GS spa avrebbe “fatto largo ricorso all’esternalizzazione dei servizi di logistica, movimentazione merci, facchinaggio e trasporto”.

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Grande distribuzione tedesca. In Assia tutti i negozi devono restare chiusi la domenica. Il caso Tegut.

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Premesso che il riposo dei robot non c’entra nulla. Che si tratti di negozi robotizzati o con personale umano, la maggior parte degli esercizi commerciali in Germania deve essere chiusa la domenica. La “sonntagsruhe” (il riposo domenicale) deve essere rispettata anche se, quel giorno,  non ci sono lavoratori in servizio.  Tre giudici del il tribunale amministrativo dell’Assia hanno confermato questo divieto. Per loro il piccolo self-service si qualifica come “negozio” e quindi,  secondo la legge tedesca, deve rispettare la legislazione sugli orari di apertura e di chiusura. Pur valendo solo per l’Assia è una sentenza che fa riflettere.

Stiamo parlando della principale regione finanziaria dell’Europa continentale. Uno dei Land più prosperi della Germania. Negli ultimi tre decenni, la Germania aveva già abbandonato la maggior parte delle restrizioni che, fino al 1996, costringevano i negozi a chiudere alle 18.30 nei giorni feriali. Il divieto domenicale, tuttavia, è stato mantenuto in vigore per la maggior parte delle aziende, ad eccezione di ristoranti, stazioni di servizio, chioschi e farmacie. Altre insegne in altri land hanno  aggirato il divieto proprio con i chioschi. (vedi articolo su Rewe). In Assia, no.

Il divieto al lavoro domenicale in Germania  risale a  più di 1.700 anni fa ed è stato decretato dall’imperatore romano Costantino il Grande. Il riposo domenicale  è poi stato sancito nella costituzione tedesca dal 1919 ed è stato confermato dalla Corte Costituzionale in una sentenza del 2009. Su questo tema si sono trovati in sintonia sia le Chiese protestante che quelle cattoliche  insieme ai sindacati tedeschi del commercio (la Vereinte Dienstleistungsgewerkschaft (“Unione dei sindacati del settore dei servizi”), abbreviata in VER.DI, l’equivalente dei nostri tre sindacati di settore (Filcams-Uiltucs e Fisascat). Circa 2 milioni di iscritti. Più del triplo dei nostri messi insieme. VER.DI è il secondo sindacato più grande della Germania dopo l’IG Metall (metalmeccanici). Un’insolita alleanza per impedire le   aperture domenicali in generale,  non solo dei negozi automatici. A marzo, l’alleanza ha addirittura incoraggiato i pastori a criticare, nei loro sermoni settimanali, le paventate aperture  in un Paese in cui l’appartenenza alla chiesa è diminuita di un quarto negli ultimi due decenni e solo un cittadino su 20 partecipa alla messa domenicale.

È  probabile che entro pochi mesi la sentenza del TAR  del land dell’Assia venga riformata e il divieto al lavoro domenicale, almeno nei negozi automatici,  sia destinato a rientrare. “La legge attuale è completamente in contrasto con la realtà della vita di oggi”, ha detto Stefan Naas, capo del gruppo parlamentare liberale FDP in Assia che si sta muovendo per aggirare la normativa. La battaglia legale è stata innescata dal sindacato tedesco del settore dei servizi Verdi dopo l’apertura del primo negozio automatizzato a Fulda quattro anni fa. Il sindacato si oppone allo shopping domenicale, sostenendo che il personale di vendita al dettaglio, che deve già fare i conti con orari di lavoro altamente flessibili durante il resto della settimana, ha bisogno della domenica come giorno libero garantito per trascorrere del tempo con la famiglia e gli amici.
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Contratto Distribuzione Moderna. Comunque la si pensi, è ora di firmarlo.

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Che questi rinnovi di contratto nel terziario e nella distribuzione moderna sarebbero stati più complessi da portare in porto  dei precedenti, era evidente. I cinque anni trascorsi corrispondono ad un’era geologica in termini di business. Terziario e GDO sono cambiati in profondità attraversati da accelerazioni prima  sconosciute. Pensiamo, ad esempio, alle insegne che hanno lasciato  il campo, a chi è subentrato, all’esplosione del franchising, alla crisi dei grandi formati. All’affermarsi dei discount. Il contesto socio economico ha fatto il resto.

Va anche ricordato che, fino al precedente CCNL, quello  firmato da Confcommercio del 2015,  in campo, da entrambe le parti, c’erano leadership forti e riconosciute sia sul fronte datoriale che sindacale. Una storia importante che aveva attraversato diversi rinnovi contrattuali e che aveva consentito di costruire un impegnativo sistema bilaterale e di welfare si era  però ormai chiusa e una nuova, in grado di “capire e gestire  il cambiamento”,  andava reciprocamente  individuata. Lo avevano fatto altre categorie industriali a cominciare dai metalmeccanici. Federmeccanica e il sindacato di categoria avevano messo al centro il lavoro, il suo cambiamento, l’esigenza di coinvolgere le persone nella vita dell’azienda.

Non lo ha voluto fare Confcommercio che, nel 2019 non solo ha affidato ad un profilo  lontano da questi temi, la responsabilità politica del Contratto nazionale  ma ha pure ridimensionato l’area tecnica del lavoro e del welfare confederale senza porsi il problema di una sua necessaria evoluzione. Federdistribuzione, poi, solo nel 2018 era riuscita a siglare, insieme al sindacato di categoria, un suo CCNL, identico a quello di Confcommercio pur con uno “sconto” sul monte salariale.

Quel segnale sui costi, sottovalutato dal sindacato di allora, aveva fatto presagire, agli osservatori più attenti, che si stava consolidando nel comparto della GDO una ridefinizione  del rapporto di lavoro che mirava ad una riduzione complessiva del suo costo, iniziata ben prima, sfruttando le maglie larghe offerte dalla legislazione, poi con il superamento della contrattazione aziendale, o con il  suo ridimensionamento, in una logica, per così dire, “restitutiva”.

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Riprendere un confronto di Filiera con l’obiettivo di tutelare i consumi.

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Un incontro interessante quello proposto da IBC, Associazione Industrie Beni di Consumo che riunisce aziende attive in Italia e all’estero nei settori alimentare, bevande, prodotti per la cura dell’ambiente domestico e della persona, tessile e abbigliamento, arredo, prodotti e accessori per la casa. Oltre 35.000 imprese che generano un fatturato al consumo stimato di circa 450 miliardi di euro. Il numero di occupati (28% del totale dell’industria in senso stretto) è pari a 1,1 milioni, di cui 495 mila nel comparto grocery.

Marta Dassù, senior advisor for European affairs di The Aspen Institute e Veronica De Romanis, docente di European Economics all’Università Luiss,  hanno proposto approfondimenti sul quadro geopolitico ed economico. È toccato all’economista  Veronica De Romanis spiegare il contesto e i margini di manovra per il nostro Paese che restano molto stretti. Una crescita che rallenta e una spesa, per interessi sul debito, che è passata dai 63 Mdi (2021) ai 130 previsti per il 2026 secondo il Nadef. Una cifra enorme se si pensa che spendiamo 70 mdi per la scuola e 130 per la sanità. Due assolute priorità per il Paese.

Flavio Ferretti Presidente Ibc ha giustamente sottolineato che “da una parte la volatilità dei costi dovuta all’incertezza del quadro geopolitico-economico e la debolezza del potere d’acquisto delle famiglie. Dall’altra la difesa dei margini e l’esigenza di continuare a investire nella digitalizzazione e nello sviluppo sostenibile” rendono necessarie politiche industriali che favoriscano la crescita della produttività, lo sviluppo dimensionale delle aziende, gli investimenti nel digital e per la sostenibilità”. E ha ribadito che: “centrale è il rilancio del tavolo di filiera creato lo scorso autunno. Adesso è indispensabile entrare rapidamente nel merito dei problemi, analizzando le dinamiche e individuando le soluzioni migliori per sostenere e rafforzare la competitività delle nostre imprese a beneficio della crescita e della creazione di benessere nel Paese”.

Le azioni, individuate sulla base di una gap analysis svolta dal Politecnico di Milano e condivise con Assologistica, sono ripartite in tre ampi capitoli d’intervento:

• Normative. In quest’area rientrano: la semplificazione urgente degli iter autorizzativi per la realizzazione di nuove infrastrutture logistiche, l’armonizzazione delle normative locali e la semplificazione dei processi doganali. I contratti di lavoro dovrebbero evolvere per favorire la flessibilità, le assunzioni e garantire il pieno rispetto delle regole a tutela dei lavoratori.

. Digitale. La digitalizzazione avrebbe effetti positivi sulla trasparenza della filiera, sulla concorrenza, sul dialogo telematico tra imprese e sullo svolgimento dei controlli delle autorità competenti. La dematerializzazione dei documenti è considerata un fattore decisivo per la riduzione dei costi. Oggi il 30% delle aziende è concentrato sulla digitalizzazione dei processi e delle documentazioni, manca ancora, tuttavia, un commitment pubblico che acceleri il cambiamento. Per esempio, promuovendo l’automazione dei centri distributivi.

• Filiera. Ibc sta intensificando la sua azione sugli associati per favorire l’adozione su vasta scala delle soluzioni e dei progetti messi a punto congiuntamente dalle imprese industriali e distributive nell’ambito di GS1 Italy ed Ecr Italia. Negli ultimi dieci anni l’impegno delle imprese del largo consumo nell’ottimizzare e migliorare la logistica ha prodotto: miglioramenti per un valore di circa 160 milioni di euro; 450.000 viaggi evitati ogni anno grazie all’incremento delle unità di carico intere, della saturazione dei mezzi e della percentuale di bilici usati; una riduzione di 97.000 tonnellate di CO2 l’anno. Tra gli obiettivi prioritari GS1 Italy ha identificato l’ottimizzazione delle consegne attraverso attività che vanno dall’adozione di un servizio di Digital Proof of Delivery e della consegna certificata, all’allargamento delle finestre di carico e scarico, alla revisione dei sistemi di prenotazione.

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Contratto Nazionale Distribuzione Moderna. Occorre uscire dall’angolo

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L’uscita di Lidl da Federdistribuzione si era consumata da pochi minuti che già si è rimessa in moto la manfrina sulle responsabilità della situazione. Mentre il sindacato di categoria ribadisce la “distanza incolmabile” proclamando nuovi scioperi, Federdistribuzione sottolinea in un comunicato  di “avere già espresso la propria disponibilità a riprendere la trattativa ribadendo  che la propria posizione negoziale è sempre stata costruttiva”.  Così però non se ne esce.

L’occasione di questo  rinnovo avrebbe dovuto confermare un momento di convergenza, di unità e di rilancio dell’intera GDO  sul piano politico e sociale pur essendo ancora “dispersa” in ben quattro contratti nazionali. Ci hanno provato Confcommercio e Confesercenti procedendo appaiate fino alla meta, ci ha rinunciato, purtroppo,  Federdistribuzione.  La cooperazione, considerato il contesto, si è intelligentemente  smarcata riuscendo  comunque a realizzare un contratto dignitoso nonostante ci sia da sempre chi  cerca di tenerla ai margini di un percorso unitario per la sua cultura costitutiva. Un errore grave, visti i tempi, le problematiche gestionali e di mercato,  ormai comuni.

Se consideriamo  una sostanziale condivisione e integrazione del welfare già in atto tra le aziende che fanno capo a Confcommercio e quelle che fanno capo a Federdistribuzione (welfare sanitario,  Quadrifor e Previdenza) il processo di avvicinamento avrebbe potuto continuare sul salario e, appunto, sul welfare, gestiti a livello confederale,  e un sottostante specifico gestito dalle diverse associazioni presenti nei  singoli comparti stessi che, nel terziario, sono vari e molto diversi tra di loro. Per fare questo sarebbe stata necessaria una visione e un gruppo dirigente sia in Confcommercio che in Federdistribuzione che sapesse andare oltre l’orizzonte delle rispettive appartenenze con disponibilità e generosità.  Inutile sottolineare che alcune centrali di acquisto della GDO hanno al proprio interno insegne che applicano contratti di lavoro dell’una o dell’altra associazione senza particolari problemi. Alcune altre, addirittura, accettano, al loro interno,  contratti nazionali costruiti localmente su misura…

In fondo l’entrata di Conad in Confcommercio con la vice presidenza a Francesco Pugliese e l’elezione di Carlo Alberto Buttarelli in Federdistribuzione avevano fatto pensare che i tempi di una convergenza, utile all’intero comparto, fossero ormai maturi. Quasi tutte le grandi insegne, in via riservata, mi avevano confermato questa precisa volontà di puntare ad una prospettiva di riunificazione associativa della GDO. E se questo ha funzionato con l’interlocuzione unitaria su altri temi (vedi ADM) e con il Governo, sull’inflazione,  non è riuscita a decollare sul piano della strategia sociale per la mancanza di lucidità di un intero gruppo dirigente sulla materia che ha preferito continuare a ritenere il sindacato di categoria come un semplice portatore di costi e le relazioni industriali come un “derivato inevitabile”  della gestione del personale delle singole aziende.  Non come un tassello di un contesto  complessivo che andava mutando. 

Lidl ci ha messo poco a capire la fragilità e la complessità decisionale di Federdistribuzione. È bastato ascoltare  i CEO delle diverse insegne quando si  misurano  sul lavoro, sul sindacato, sulle prospettive nel comparto  e ha preferito andarsene. Conad, in Confcommercio, vive più o meno la stessa situazione da separato in casa. La differenza è che Conad era ed è più “strutturata” e autonoma  sul piano politico, più considerata in Confederazione per il suo peso a livello locale e quindi più abituata ad assorbire le contraddizioni di un mondo che vuole associare le imprese ma non ne apprezza il protagonismo. Come ho già scritto un contratto nazionale richiede capacità di sintesi complesse.  Non è un contratto aziendale un po’ più grande per cui è sufficiente la competenza dei pur bravi direttori risorse umane. Serve una visione politica complessiva e la conseguente capacità di operare sintesi autorevoli nei passaggi chiave. Altrimenti si pesta l’acqua nel mortaio. Soprattutto non  possono prevalere le tattiche  di singole realtà sugli interessi complessivi dell’associazione.

Federdistribuzione non ha torto quando rivendica  una “distintività” del suo CCNL.  Il suo comitato lavoro (composto  dagli HR)  ha però avuto cinque anni per costruirla e non ha fatto  nulla. Per questo passa dalla parte del torto quando la pretende oggi dal sindacato  senza voler concedere nulla sui temi socialmente sensibili. Così facendo dimostra che non c’è né la volontà condivisa né la capacità di sintesi  politica per chiudere un  contratto nazionale veramente “distintivo” per ENTRAMBE le parti. Scambiare  l’innovazione necessaria con il proprio punto di vista è un po’ poco di questi tempi. In più  deve gestire la contraddizione tra le insegne più impegnate sul fronte dello sviluppo delle loro risorse umane con l’ossessione di altre che vogliono utilizzare la sponda del CCNL per evitare di dover dare risposte nel loro specifico organizzativo, dal franchising al lavoro povero indotto dal part time involontario, alle declaratorie liberamente interpretate fino ai sub, sub appalti. Ed è questo  che ha neutralizzato qualsiasi velleità nel definire una “distintività” condivisa con le organizzazioni sindacali.  Ancora di più, in questa situazione dove,  l’aspetto economico,  è già stato di fatto, individuato da Confcommercio e Confesercenti e condiviso nelle dichiarazioni ufficiali da Federdistribuzione.  Un’impasse nella quale non sarà facile districarsi senza un deciso passo indietro. Come peraltro ha fatto Confcommercio.

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Aldi e Esselunga alla ricerca di uno spazio nella Milano che verrà…

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Milano è un grande cantiere. Nel ridisegno di ciò che sarà la città le principali insegne della Grande Distribuzione si posizionano scommettendo su ipotesi di futuro. C’è chi scommette sui centri commerciali, chi sui nuovi quartieri e chi cerca di insediarsi in luoghi più tradizionali. Sarà comunque una città polarizzata in termini di reddito, dove residenti, soprattutto anziani, lavoratori dei servizi poveri, soprattutto immigrati, nuovi giovani  professionisti legati al terziario di mercato e turisti la frequenteranno determinandone il nuovo volto. Una città ricca, europea, essenzialmente terziaria con sacche di povertà, emarginazione e disagio.

Nella transizione tra vecchio e nuovo chiudono molti negozi, librerie, piccole botteghe alimentari e aprono altre attività. Le cause sono il livello degli affitti, la concorrenza dell’e-commerce e il mancato ricambio generazionale. Dal 2019 al 2023 hanno chiuso in città oltre 1200 negozi. Un calo del 4%. Crescono “minimercati e negozi di alimentari”, spesso gestiti da stranieri, con un +21,6% nel confronto fra 2019 e 2023.  Sono cresciuti anche i ristoranti. Oggi sono più di 4600. Un aumento, quindi, di circa l’11%. Un trend su cui riflettere. C’è chi si immagina un futuro fatto di strade deserte, gente chiusa in casa a ordinare ciò che serve attraverso il PC. Personalmente non credo sarà così. Ci sarà un po’ di tutto. Come dev’essere.

Un caso interessante, in controtendenza,  coinvolgerà uno storico Cinema di Milano: il  Plinius di viale Abruzzi nella zona est di Milano, nel quartiere Città Studi. Un altro quartiere in grande trasformazione. Chiuso per ristrutturazione il cinema riaprirà ad agosto insieme ad un punto vendita Aldi. Un binomio interessante. Aldi è presente in 18 Paesi. In Italia da maggio del 2015, a Milano ha già sei punti vendita. Altri sette in provincia; 177 nel nord italia (Trentino AA, Veneto, Friuli, Lombardia, Emilia, Piemonte). Il Plinius non è un cinema qualsiasi. Nasce nel 1936 con una capienza  di oltre 2 mila posti dotato di  un palcoscenico per spettacoli dal vivo di varietà, ma anche per commedie e lirica.  È il luogo che il grande Totò sceglie per la sua prima esibizione in una città del Nord Italia. Dopo la guerra diventa un locale esclusivamente per proiezioni cinematografiche di seconda e terza visione. Nel 1967 diventa un cinema punto di riferimento per tutti i milanesi. È chiuso ormai da qualche settimana per ristrutturazione. Sul sito e sui social annuncia la riapertura prevista per agosto, promettendo un salto nel futuro con  “poltrone premium, food & beverage e tecnologia”. I dipendenti sono stati ricollocati nel multiplex Le Giraffe di Paderno Dugnano, anch’esso gestito dalla famiglia Dattilo proprietaria del Plinius.

Nessuna trasformazione totale, quindi. In realtà “il cinema rimarrà – conferma al Giorno la proprietà –: avrà tre sale, le più capienti, completamente rimodernate, con accanto un punto vendita Aldi, nell’immobile che sarà sempre di nostra proprietà. L’intenzione è far convivere le attività unendo una realtà storica come la nostra con una più giovane e lavorare in sinergia”. Aprirsi anche a un’anima più commerciale garantirà la sostenibilità economica in un momento in cui i cinema in città sono diventati una rarità, soprattutto i monosala. Ma anche i multisala non se la passano bene: basti pensare all’Odeon, che diventerà centro commerciale, con previsione di “ricollocare“ le sale, che passeranno da 10 a 5, nei sotterranei. “Il nostro è un business nel quale crediamo ancora”, conferma la proprietà. “In primis per una questione affettiva”, visto che la gestione familiare oggi è alla terza generazione: il fondatore Mario De Martini ha passato il testimone alla figlia Marina De Martini la quale lo ha ceduto al figlio Salvatore Dattilo, attuale gestore, e alle sorelle. Sarà interessante vedere come Aldi interpreterà questa location. L’insegna tedesca non è nuova a interessanti variazioni sul tema. Vedremo le sinergie che proporranno. Leggi tutto “Aldi e Esselunga alla ricerca di uno spazio nella Milano che verrà…”

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LIDL lascia Federdistribuzione e applica il CCNL firmato da Confcommercio…

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Un distinguo forte  che non passerà certo inosservato. Lidl lascia Federdistribuzione in polemica sulla mancata firma del contratto nazionale e, di conseguenza, applicherà il CCNL firmato da Confcommercio. In Federdistribuzione  c’era entrata due anni fa, il  23 aprile 2021 portando i suoi oltre ventimila dipendenti e i suoi 700 punti vendita. Al centro della strategia di Lidl allora come oggi la sostenibilità economica, sociale e ambientale. La responsabilità sociale nei confronti dei propri collaboratori ha quindi pesato non poco in questa decisione.

Lidl si è trovata spiazzata all’interno di dinamiche associative incomprensibili per una realtà di quel profilo dove ha prevalso chi, non avendo problemi di interlocuzione sindacale, ha puntato al rilancio sapendo di non correre alcun rischio. Tra le aziende associate non solo Lidl era per chiudere. Alcune come Selex, sono rimaste sorprese, dalla reazione dei sindacati per l’abbandono del tavolo. Altre speravano in una rapida conclusione.

Nella decisione ha pesato il cambio di atteggiamento di Federdistribuzione che, poco prima della firma di Confcommercio e Confesercenti ne aveva contestato i rilanci giudicandoli inopportuni  e, subito dopo, si è posta di fatto sulla stessa linea, rivendicando una distintività apparsa provocatoria non solo ai  sindacati di categoria. Com’è ho recentemente scritto “Lo stallo, se si trasforma in risultato, non è  un’opzione negoziale. È una rinuncia al proprio ruolo”. Questa uscita segnala la presenza di rigidità interne alla Federazione che rischiano di trascinare l’intera vicenda in un cul de sac dagli esiti imprevedibili. La rapidità con cui si è manifestata questa uscita spinge i cosiddetti “falchi” all’arroccamento e i sindacati a confermare la bontà delle ragioni alla base della rottura.

Per Federdistribuzione questo era il primo vero CCNL. Quello firmato nel 2018 era una sostanziale ricopiatura di quello di Confcommercio con uno “sconto” sul salario. L’area lavoro di Federdistribuzione, composta dai direttori risorse umane delle insegne, è arrivata  impreparata alla scadenza, non ha fatto quasi nulla per cinque lunghi anni per costruire un percorso alternativo e distintivo con l’interlocutore  sindacale cedendo ruolo e iniziativa  ai CEO delle insegne che in larga parte  di questa materia non ne capiscono un granché salvo per i costi che genera. Questi ultimi, soprattutto se piccoli imprenditori, hanno dei sindacati una visione approssimativa e legata alla loro realtà specifica. E quindi non hanno valutato  né il contesto politico e sociale né la necessità di chiudere rapidamente la partita. Leggi tutto “LIDL lascia Federdistribuzione e applica il CCNL firmato da Confcommercio…”

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Grande Distribuzione. Famila (Selex) prova a crescere con ritmo…

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Spero venga colto anche da altre insegne della GDO alla ricerca di pubblicità particolarmente distintive. Tra quelle cervellotiche che vogliono veicolare messaggi universali, quelle un po’ banalotte che inneggiano al prezzo che più basso non si può, finalmente Selex dopo aver proposto spot ansiogeni in tempi di inflazione, sceglie la leggerezza. C’è troppa pesantezza in giro.

Se anche il piacere di fare la spesa scompare perché siamo costretti ad  una specie di “caccia al tesoro” alla ricerca della convenienza tra facce cupe, uomini mascherati e ragionieri  barbuti ossessionati dal risparmio, è proprio finita. Almeno i discount giocano sulla concessione della patente di  intelligenza ai loro frequentatori, sulla qualità da provare della loro MDD o sulla “Buona Spesa”. Da semplice consumatore che  non ama perdere tempo per fare la spesa preferisco luoghi semplici, trasparenti nelle loro politiche commerciali, con personale disponibile e messaggi positivi.

Famila ha scelto di portare un po’ di  ritmo nei suoi supermercati con “We are Famila – Tutta un’altra musica” (il nuovo spot) adattando  un brano di successo del 1979 delle Sister Sledge. In fondo dopo la pandemia, l’inflazione, la guerra ai confini e i conti che non tornano se anche il semplice entrare in un supermercato diventa un’impresa complicata e dispensatrice d’ansia non se ne può proprio più. In questo spot  nelle corsie, i clienti, diversi per età, etnia, orientamento, genere e comportamento ballano e cantano. Sono sereni.  La spesa può ritornare quindi  ad essere un piacere quotidiano. Almeno nelle intenzioni.

La nuova comunicazione porta la firma creativa del Collettivo +m, con la direzione di Giovanni Bedeschi e la casa di produzione Bedeschi Film. La pianificazione è stata seguita da Geotag Milano. “Famila ha incrementato il budget pubblicitario rispetto agli anni precedenti, arrivando a circa 3-4 milioni di euro. Noi, come Selex, stiamo invece investendo circa 12 milioni di euro complessivi in comunicazione su vari canali” ha dichiarato Massimo Baggi Direttore Marketing del Gruppo Selex.

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Grande distribuzione. È necessario riprendere il confronto tra Federdistribuzione e il sindacato di categoria.

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Com’era prevedibile non è stato e non sarà  certo il ricorso ad uno o più scioperi a sbloccare questa vertenza. L’adesione, sparate sulle partecipazioni  a parte,  è stata complessivamente contenuta, tra l’8 e il 9% dei lavoratori delle aziende associate secondo Federdistribuzione.  I disagi nei punti vendita sono stati limitati e a “macchia di leopardo” e non si sono registrate difficoltà per gli acquisti. Sono ovviamente dati di parte ma bastava fare un giro per Milano per rendersi conto che la realtà era sostanzialmente quella. I punti vendita alimentari erano zeppi di clienti per gli acquisti di Pasqua. Così come gli altri ventimila punti vendita associati e distribuiti sul territorio food e non food.

Ma non è solo una fotografia limitata alla  Grande Distribuzione. Saranno almeno tre tornate contrattuali (almeno quindici anni) in tutti i  settori economici i cui risultati non sono stati determinati dai rapporti di forza messi in campo ma grazie alla volontà di chiudere emersa dai rispettivi contendenti.  D’altra parte se il recente  rinnovo di Confcommercio, Confesercenti ma anche di Coop è avvenuto dopo ben 5 anni dalla scadenza e senza ricorso a scioperi o scontri particolari  è evidente che il clima, anche nel comparto, non è favorevole agli slogan d’antan, alle parole d’ordine fuori misura, ai flash mob. Le caricature eccessive delle posizioni della controparte lasciano il tempo che trovano.

L’auspicio di Federdistribuzione è che “le organizzazioni sindacali possano tornare quanto prima al tavolo negoziale, con l’obiettivo comune di giungere al rinnovo contrattuale, e riconoscano la specificità delle imprese del settore distributivo moderno”. La guerra delle partecipazioni  serve ad eccitare i militanti più stretti. Non a sbloccare lo stallo quando è determinato da reciproche convinzioni sui contenuti. La lunga stagione dei contratti nazionali ci consente, già oggi, alcuni elementi di riflessione. Al di là delle scadenze e dei ritardi, dall’ultima firma sono passati almeno otto anni. E, per molti argomenti normativi, comportamentali  e relativi all’inquadramento professionale, i testi a suo tempo concordati risalivano addirittura a parecchi anni prima. Luoghi, contesti concorrenziali,  e modelli  organizzativi molto diversi da oggi.

Allora sui banconi all’entrata dei PDV decine di CV lasciati nella speranza di trovare un lavoro, i grandi formati ancora con il vento in poppa, le possibilità di carriera veramente alla portata di tutti. I ruoli professionali chiari e scolpiti nella pietra. Nel 2015 il mazzo di carte, nella GDO, era ancora saldamente in mano a Confcommercio. Federdistribuzione “sognava” il suo CCNL che sarebbe arrivato solo il 19 dicembre 2018, come una sostanziale fotocopia di quello di Confcommercio. Un semplice  “sconto“ sul piano del costo economico che ha trascinato risentimenti associativi  non ancora sopiti. Leggi tutto “Grande distribuzione. È necessario riprendere il confronto tra Federdistribuzione e il sindacato di categoria.”

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