Ventiquattro associazioni datoriali (insieme ai tre sindacati confederali) rinnovano il CCNL della logistica.

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Venerdì 6 dicembre 2024, le Organizzazioni Sindacali FILT CGIL, FIT CISL e UILTRASPORTI hanno siglato con le 24 associazioni datoriali (tra cui Assologistica, e Fedit assistite da Confetra) l’ipotesi di rinnovo del CCNL Logistica, Trasporto merci e Spedizioni, scaduto da 9 nove mesi. Il nuovo contratto interessa circa un milione di lavoratori e durerà fino al 31 dicembre 2027. Un risultato atteso nel contesto dato, pur in un  comparto attraversato da contraddizioni che rischiano comunque di non risolversi con la firma di questo testo e di contaminare sempre di più i settori per i quali la logistica rappresenta uno snodo decisivo.

Purtroppo la presenza al tavolo negoziale di ben 24 associazioni datoriali, se da un lato contribuisce ad identificare regole e costi comuni dall’altro rinvia i problemi più volte denunciati alla contrattazione di secondo livello, laddove è presente. Qualcosa sul governo del mercato del lavoro però c’è. Sulla percentuale dei lavoratori assunti con contratti atipici (tempo determinato, somministrazione, tempo parziale) rispetto ai lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato pur mitigata da una deroga rispetto alla percentuale in fase di start up per i primi due anni di avvio della nuova attività lavorativa, così come sulla gestione degli appalti e, più in generale, sulle esternalizzazioni. Nulla di rivoluzionario ma una presa d’atto dell’importanza  del problema con l’obiettivo di aumentare il livello di serietà, capacità economica e finanziaria  e qualificazione dei soggetti economici  coinvolti.

È un comparto in crescita che deve fare i conti con evidenti contraddizioni non risolte. Da un lato la presenza diffusa del sindacalismo di base poco sensibile a strumenti  di regolazione del conflitto e, dall’altro, una situazione che presenta ancora cooperative aperte e chiuse ogni anno, pur a volte trasformate in SRL in corso d’opera senza però modificarne la sostanza che spesso si confermano come  luoghi di sfruttamento e, purtroppo,  di evasione contributiva e fiscale. Un comparto, quello della logistica, dove la presenza di lavoratori stranieri supera in molte realtà  il 60% con punte dell’80%. Lavoratori  con esigenze profondamente diverse da chi li ha preceduti e scarsamente interessati ai contributi previdenziali e a promesse di tutele future e dove perfino le realtà che si pongono il problema di superare situazioni di illegalità si trovano spesso contro gli stessi lavoratori che scelgono la strada più semplice ai loro occhi. E su queste esigenze concrete alcuni sindacati di base offrono sponde pericolose alla protesta e all’illegalità.

L’intesa prevede un aumento medio a regime di 230 euro per il personale non viaggiante e di 260 euro per il personale viaggiante, che potrà godere anche di un incremento della trasferta minima contrattuale, e l’introduzione di un Elemento Professionale d’Area (EPA), nuova componente retributiva che riconosce le competenze e la professionalità del personale. Viene ridotto l’orario di lavoro,  si interviene sui profili professionali, adeguandoli alla tecnologia e alle nuove figure del settore; tra i nuovi profili professionali, da sottolineare, l’introduzione della figura del Mediatore culturale al fine di favorire la comprensione e la comunicazione, vista la presenza, sempre più significativa  di lavoratori appartenenti a diverse culture, lingue e religioni. Leggi tutto “Ventiquattro associazioni datoriali (insieme ai tre sindacati confederali) rinnovano il CCNL della logistica.”

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Perché la Grande Distribuzione italiana non è in grado di varcare i confini nazionali..

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Quando collaboravo con la Direzione Generale di Confcommercio mi è capitato di visionare un carteggio tra il Presidente Carlo Sangalli e Bernardo Caprotti allora patron di Esselunga. All’invito  del primo ad iscriversi a Confcommercio, il secondo declinava simpaticamente, ricordando  il tempo e l’impegno dedicato a combattersi a vicenda sulle aperture contrastate ovunque dagli uomini della Confederazione. E come questa “guerra”  lo avesse impegnato e trattenuto dall’idea di tentare la via dell’internazionalizzazione della sua azienda. E di avergli così impedito di mettere in atto quel tentativo sul quale lui però non aveva mai creduto fino in fondo. E di questo ringraziava ironicamente Sangalli.

Nessuno ci ha mai provato veramente. Il tramonto delle partecipazioni statali presenti nella filiera agroalimentare ha portato con sé tutti i sogni che facevano pensare a convergenze nell’interesse del Made in Italy proiettato nel mondo all’interno di una strategia organica. Ci aveva provato anche Banca Intesa a mettere insieme una cordata composta da industrie alimentari e realtà della GDO negli anni in cui queste iniziative sembravano essere ancora di moda. Ovviamente senza successo. Oggi, progetti di quella portata sarebbero assolutamente improponibili.

Eppure, come sottolinea il rapporto Teha, vantiamo 62,2 miliardi di esportazioni alimentari, siamo il primo Paese in Europa per prodotti certificati per un fatturato di 20,2 miliardi, prima destinazione enogastronomica al mondo. Secondo Denis Pantini, Responsabile Agrifood e Wine Monitor Nomisma, il nostro Paese è al 9° posto nella classifica dei maggiori esportatori agroalimentari. Per il 2024 si fa sempre più concreta la prospettiva di raggiungere 70 miliardi di euro.  Un risultato a cui hanno contribuito sia l’industria alimentare, con un incremento dei flussi in valore del 7,7%, sia la componente agricola (+3,4%). Sempre su dati Thea.

Le esportazioni italiane sono aumentate in maniera generalizzata verso la maggior parte delle destinazioni. Spicca la crescita a doppia cifra negli Stati Uniti (+17%), dove l’aumento è stato trainato dai prodotti di punta del made in Italy come vini, spumanti, olio EVO e pasta e in Giappone, dove l’incremento in valore dell’export è stato di quasi il 50%, dopo la battuta d’arresto osservata nel 2023. Ottime anche le performance in Romania (+11%) e Australia (+18%). Guardando alla top 10 dei principali mercati, Germania, Francia e Stati Uniti si confermano ai primi tre posti, seguiti da Regno Unito, Spagna, Paesi Bassi, Svizzera, Belgio, Polonia e Austria. (dati ISMEA)

La stessa ristorazione italiana è la più presente a livello mondiale. Seicentomila ristoranti definiti “italiani” anche se FIPE ne ha certificati e recensiti solo 2218 in 60 Paesi e 451 città. Di questi circa il 33% è concentrato nei Paesi Ue, il 23,3% tra Asia e Oceania, quasi il 30% in America del Nord, il 13% in America Latina e il restante 10% tra Africa, Medio Oriente ed Europa non Ue. Una potenza di fuoco che non si è mai materializzata in un grande progetto di filiera e di Paese.

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Risparmio Casa. Un formato distributivo che conquista spazio nella GDO

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A fine 2023  la catena di drugstore italiana Risparmio Casa è ritornata interamente nelle mani della famiglia Battistelli. Il fondo HIG Capital era entrato nel capitale nel 2019. Bitris. L’obiettivo degli imprenditori romani Fabio e Stefano Battistelli, era di farsi supportare dal fondo nella fase di riorganizzazione propedeutica alla realizzazione della strategia di rilancio della società. Quella di Risparmio Casa è, d’altra parte, una storia tutta italiana. Il Gruppo, nato ad Albano Laziale (RM),  ha aperto il primo negozio “Risparmio Casa” nel 1987. Oggi, nel Lazio vanta una sessantina di punti vendita. E una trentina solo a Roma. È da lì che è partita l’espansione.

La formula del successo è il format  dei punti vendita dove si possono trovare, prodotti per la pulizia della casa, la bellezza e l’igiene personale, casalinghi, tessili, giocattoli, alimenti e accessori per animali domestici, piccoli elettrodomestici e una vasta offerta di prodotti dedicati al Natale. L’assortimento di oggi conta più di 25.000 referenze, tra cui oltre 3.000 articoli sotto i 2 euro, oltre 8.000 prodotti stagionali e 25 linee a marchio privato.

I drugstore, in Italia,  sono oggi una realtà importante. Oltre quattromila punti vendita specializzati nella vendita e nella cura della persona il cui assortimento ormai comprende articoli per la pulizia della casa, utensili, prodotti per il tempo libero, accessori per le feste, complementi d’arredo, articoli di cancelleria, prodotti sanitari, per l’igiene personale, per la cura del corpo e dei capelli, prodotti di bellezza e cosmetici, cibo e accessori per animali domestici e molti altri prodotti. Nei prossimi anni continueranno a crescere senza dimendicare che, negli ultimi dieci anni, hanno quasi raddoppiato la loro quota di mercato. Profondità dell’assortimento e convenienza costituiscono la ricetta vincente. Quest’ultima favorita dal ruolo fondamentale svolto dalle centrali nel negoziare i migliori contratti con i fornitori.

Risparmio Casa fa parte di Drug Italia, importante centrale d’acquisto nel settore retail e, alla cui testa è arrivata da poco Rosanna Ungaro, con l’obiettivo di creare sinergie all’interno della rete di soci e integrare le competenze di ciascun partner sviluppando modelli d’acquisto che rispondano alle dinamiche in evoluzione del settore retail.
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Made in Eataly. Alla scoperta dello Smeraldo…

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Tra le numerose visite nei punti vendita in vista del Natale non poteva mancare Eataly. Ero veramente curioso di vedere dal vivo il nuovo punto vendita ex Smeraldo. Chi lo aveva visitato nei giorni dell’inaugurazione me ne aveva parlato bene. Per quanto mi riguarda  preferisco girare nei punti vendita quando il clima interno perde l’attenzione dei capi e i riflettori si spengono. Era molto tempo che non andavo in Piazza XXV Aprile a Milano.  Per questo ho colto al volo l’invito di Gabriele Belsito, Chief Human Resources Officer di Eataly. Un vero esperto della funzione HR che conosco da anni con una lunga storia professionale.

Eataly, nella GDO tradizionale è ritenuta figlia di un dio minore. Come, dalla parte opposta,  i discount. L’insegna, nota in mezzo mondo, sta cambiando pelle pur cercando di mantenere il suo profilo originario. Ovviamente, format, assortimento e prezzi, rendono quel modello, altra cosa rispetto alla GDO. Chi  però ha sottovalutato i discount, a mio modesto parere, rischia di sottovalutare, pur sotto un altro profilo  competitivo, gli elementi di innovazione  presenti in Eataly sulla gestione del prodotto e del brand, sulla cura e il coinvolgimento del cliente e sulla centralità dei professionisti che interagiscono con il cliente stesso. Quando entro in un negozio di qualsiasi insegna cerco di non avere pregiudizi. E in questo punto vendita di stimoli interessanti ne ho trovati molti. Innanzitutto il layout.

Completamente rivoluzionato. 4.500 metri quadri, diversi  punti di ristoro, i banchi della macelleria, pescheria,  salumeria, panetteria e pasta fresca. Un corner con food per vegetariani e vegani, una fornitissima enoteca. All’ingresso ho incontrato Diego. Un ragazzone che non ti lascia andare via se non hai  assaggiato le diverse declinazioni dei panettoni Eataly prima di pensare di acquistarli. Con competenza e tatto intrattiene e propone un assaggio del tradizionale dolce natalizio meneghino. Non ti vende una confezione, uno chef  o una marca famosa a scatola chiusa. Ti accompagna nella degustazione. Ti ascolta e ti guida. Altri professionisti ti aiutano a scegliere i prodotti da acquistare o da consumare al ristorante. Hai così la possibilità di avere consigli competenti sia dagli addetti che da efficaci totem interattivi.

Professionisti terzi si occupano di latticini o pasta fresca dandoti l’impressione di essere finito  in un grande mercato aperto sul modello  di quelli che incontri  in diverse capitali europee. È poi c’è pure una scuola dove si organizzano corsi di cucina ed eventi, corsi di degustazione, per ragazzi. Perfino per bambini sotto gli undici anni. Pranzi e cene aziendali, feste, show cooking, meeting e molto altro. Qualità dei prodotti a parte, è interessante la crescita della marca privata premium Eataly. Oltre 100 referenze tra pasta, cioccolato, olio evo, aceto balsamico, caffè e prodotti destinate alle festività. Mi immagino cosa sarebbe disposta a pagare un’industria di marca del food per entrare su quegli scaffali. Resta il fatto che per  l’azienda, oggi del fondo Investindustrial, vale la stessa regola di Whole Foods “siamo noti per quello che vendiamo ma soprattutto per quello che non vendiamo”. E nel flag ship store si trovano solo prodotti italiani. Persino la MoleCola Rossa una cola italiana dal gusto tradizionale. Leggi tutto “Made in Eataly. Alla scoperta dello Smeraldo…”

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Un dicembre positivo (ma caro) per gli acquisti…

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Due notizie, apparentemente in contraddizione, animano l’inizio di un mese, quello di dicembre, fondamentale per i consumi e le chiusure di fine anno del comparto del commercio. Secondo le stime dell’Ufficio Studi di Confcommercio, dicembre sarà un mese positivo per i consumi. Contemporaneamente a Milano, l’indice generale dei prezzi al consumo ha toccato a ottobre 2024 la soglia di 120,9: significa che il costo della vita per le famiglie, rispetto al 2015, è aumentato del 20,9 per cento. Si tratta del dato più alto negli oltre nove anni ormai trascorsi dall’anno di Expo.

Partiamo da cosa sembra aspettarci a dicembre. “Con l’inflazione sotto controllo, il buon andamento dell’occupazione e tredicesime in crescita, i consumi di  Natale dovrebbero mostrare una maggiore vivacità rispetto all’anno scorso. Questa prospettiva, confermata anche dal buon andamento del Black Friday, fa sperare in una crescita più robusta nel 2025” ha dichiarato il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli. Se sarà così, sarà quindi un mese di dicembre positivo per i consumi. È quello che si aspettano tutti gli operatori.

Archiviato il Black Friday con consumi stimati pari a 4,1 miliardi secondo un’indagine realizzata da Confcommercio in collaborazione con Format Research sulla propensione e sui comportamenti di acquisto degli italiani sembra quindi che la prudenza delle famiglie stia lentamente cedendo. Se il dato venisse confermato dalla realtà sarebbe un segnale positivo per il 2025. Il volume della tredicesima di dipendenti e pensionati, al netto di Irpef e contributi, sale dai 50,7 miliardi del 2023 ai 54,5 del 2024 e che quella disponibile per consumi aumenta da 41,3 a 45 miliardi. 47,5 miliardi se aggiungiamo la spesa dei lavoratori indipendenti. Contro i 43,9 miliardi dello scorso anno. La conferma del taglio del cuneo fiscale e il “bonus Natale” hanno aiutato.

La spesa media delle famiglie a dicembre sale così, secondo Confcommercio,  di 118 euro, da 1.788 a 1.906 euro, mentre per i regali di Natale quella pro capite aumenta da 186 a 207 euro e quella complessiva sale da 8,1 a 9,8 miliardi. Su un piano più generale il direttore dell’Ufficio Studi, Mariano Bella, ha evidenziato che “l’inflazione è sostanzialmente battuta, un fatto molto positivo, mentre l’occupazione è tornata a crescere e nel terzo trimestre c’è stata una crescita congiunturale dei consumi. Il Black Friday  a Milano sembra confermare sostanzialmente il dato nazionale con un 9% in più rispetto al 2023. Lo rileva un’analisi di Confcommercio MiLoMB. Al sondaggio di Confcommercio MiLoMB hanno risposto soprattutto le imprese del dettaglio non alimentare in sede fissa. Leggi tutto “Un dicembre positivo (ma caro) per gli acquisti…”

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La mosse di Amazon nella distribuzione. Il 2025 si aprirà con l’Italia?

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Amazon in Italia fa sul serio. Dal 2010 ha investito oltre 20 miliardi di euro, di cui più di 4 miliardi solo nel 2023. Entro la fine del 2024 arriverà a circa 19.000 dipendenti a tempo indeterminato, distribuiti nelle oltre 60 strutture in tutta Italia che includono sedi logistiche, uffici corporate, data center e il servizio clienti. Mille in più rispetto a quanto annunciato lo scorso anno, confermandosi come uno dei principali creatori di posti di lavoro del Paese. E senza parlare dellindotto creato nella logistica, nelle costruzioni, oltre ad altre attività di servizi.

Quest’anno in Messico, nel food,  è nata una collaborazione che conferma e rilancia una possibile strategia globale  tra la startup di consegna a domicilio sto e Amazon.com. “Jüsto sarà la proposta di prodotti e generi alimentari di Amazon in Messico. “È una delle poche volte in cui Amazon ha lasciato tutta l’esperienza del cliente a terzi, quindi siamo molto entusiasti”. ha detto Ricardo Weder, che ha fondato Jüsto nel 2019. In Germania Amazon ha annunciato un nuovo investimento di oltre 10 miliardi di euro e 4.000 nuovi posti di lavoro entro il 2026. A quella data Amazon dovrebbe impiegare almeno 40.000 persone. Questo stanziamento segue altri investimenti significativi, confermando che il Paese tedesco è al centro della strategia europea del colosso americano.

Sul food i clienti Amazon Prime nellarea di Berlino sono in grado di acquistare da Knuspr direttamente su Amazon, godendo dell’intera gamma di 15k prodotti, consegnati a casa loro entro 3 ore. Dietro c’è Rohlik, che opera con il marchio Knuspr.de in Germania, che  ha dichiarato di avere in programma di operare in più di una dozzina di città tedesche nei prossimi anni dopo aver già lanciato a Monaco, Francoforte e, più recentemente, Berlino.

Non a caso, pochi giorni fa Amazon ha annunciato che chiuderà Fresh affidando i suoi clienti che vogliono fare la spesa alimentare proprio  a Knuspr (e ad un altro partner). A mio parere stiamo assistendo a un riposizionamento complessivo di Amazon nel food. Il vicepresidente di Amazon Grocery International, Ganesh Rao, ha affermato: “Siamo entusiasti di offrire le consegne di generi alimentari Knuspr ai nostri membri Prime in Germania. Knuspr offre un vasto assortimento focalizzato a livello regionale e consegne rapide e flessibili e questa partnership rafforza il nostro impegno nel riunire prezzi bassi, vasta selezione e opzioni di consegna rapida che i clienti Amazon conoscono e amano”. 

La partnership si basa sulla solida crescita in Europa del gruppo Rohlik, società madre di Knuspr.  Con oltre un milione di ordini mensili, Rohlik è sulla buona strada per superare 1 miliardo di euro (1.07 miliardi di dollari) di fatturato entro la fine del 2024.  Il fondatore e CEO di RohlikGroup, Tomas Cupr, ha affermato: “Questa partnership offre ai membri Prime l’accesso al nostro vasto e unico assortimento, risparmiando tempo e garantendo al contempo praticità e qualità.  Mentre Knuspr.de continuerà a servire direttamente i clienti, questa collaborazione mira ad espandere la portata di Rohlik e a rafforzare la sua posizione nel mercato tedesco”. Aggiungo che ad agosto di quest’anno, Amazon ha inaugurato un nuovo hub di micromobilità a Berlino, segnando un’importante espansione del suo servizio di consegna di merci tramite biciclette elettriche.  Leggi tutto “La mosse di Amazon nella distribuzione. Il 2025 si aprirà con l’Italia?”

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Despar Nord punta alla sostenibilità e alla valorizzazione delle comunità locali.

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A Castelfranco Veneto è stato inaugurato un nuovo punto vendita Interspar da parte di Despar Nord.  È una esperienza interessante che tenta di  rispondere in modo diverso alle logica del “non luogo” che  Marc Augé identifica oltre che negli aeroporti e nelle stazioni anche anche nei supermercati e nei centri commerciali. Situazioni  a cui si accede e si è riconosciuti solo fornendo una prova della propria identità: passaporto, o carta di credito che sia.

Despar rilancia su alcuni elementi distintivi: valorizzazione dei prodotti locali, lavoro nel territorio, sostenibilità e integrazione nella comunità grazie alla strategia di insegna messa in campo. Despar nord vanta oltre 550 punti vendita Despar, Eurospar e Interspar in Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige, Emilia Romagna e Lombardia. Un punto vendita innovativo e sostenibile che si estende su 2.500 mq e impiega 96 collaboratori. Il nuovo store di Despar Nord cerca di offrire al cliente un’esperienza di acquisto facile e accessibile, all’insegna della qualità e della convenienza.

Sulla valorizzazione dei  prodotti locali, è la linea  “Sapori del Territorio”, che recupera e propone i produttori locali e i loro prodotti tipici. Tra le realtà locali coinvolte ci sono il Birrificio Barch, il Panificio Pandolfo, Treviso Tiramisù, Caseificio Lia, il Salumificio Casa Cason, la Tenuta Amadio e molti altri produttori veneti, veri artigiani del cibo. Sul fronte occupazionale le occasioni di lavoro creato localmente superano l’80% degli addetti. Un segno ulteriore di integrazione importante per la comunità.

Un altro esempio recente è il lavoro che Despar ha fatto in occasione della Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti (SERR) chiusa recentemente dove ha promosso una serie di incontri in collaborazione con LAST MINUTE MARKET – IMPRESA SOCIALE S.R.L. e oltre 170 onlus locali per rafforzare la rete di recupero delle eccedenze alimentari.  Un impegno concreto che nel 2023 ha permesso a Despar di trasformare ben 563 tonnellate di prodotti invenduti in quasi 1,2 milioni di pasti per chi ne ha più bisogno. La riduzione dello spreco alimentare ha due effetti significativi: aiutare gli ultimi e contribuire a un futuro più sostenibile.

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MD apre un temporary shop nel cuore di Milano.

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Per poche decine di metri il temporary shop di MD non è nel salotto di Milano. È comunque all’interno di un perimetro esclusivo. Neanche Esselunga è mai riuscita ad entrarci. È una presenza paradigmatica di ciò che oggi è il rapporto tra i cosiddetti discount e la grande distribuzione tradizionale. Non li hanno vista arrivare, si potrebbe dire. MD si è fisicamente incuneato tra la libreria Hoepli e il bar Ravizza. Anzi occupa una parte dello stesso bar. È un segnale, l’ultimo in ordine di tempo,  che non c’è più alcuna sudditanza psicologica.

Altri segnali l’hanno preceduto. Lidl che rompe sul CCNL stanca dei tira e molla di Federdistribuzione mentre afferma  la sua leadership smentendo la retorica della multinazionale che non capisce il nostro Paese e, infine  Eurospin che, secondo Mario Gasbarrino è “il supermercato della nuova classe media italiana”. Segnali evidenti che è un errore da matita blu considerare quel mondo figlio di un dio minore. Tra l’altro anche l’apertura del temporary è stata caratterizzata dalla solita confusione dell’ultimo minuto che precede le classiche aperture delle superfici più grandi. Non si sono fatti mancare nulla. Nemmeno la confusione.   Altro segnale di un’evoluzione del modello.

MD, da parte sua, aveva già stabilito un record già al suo apparire nel 1994. Il suo dominus Patrizio Podini è stato il primo imprenditore del nord che è riuscito a costruire una bella impresa partendo dal sud. Nessun altro prima e dopo di lui. Oggi quella terra è nota per un altro fuoriclasse: Jannik Sinner nato anche lui da quelle parti, sessantadue anni dopo. Ma tant’è.

MD, pur avendo qualche punto vendita in città, (ri)entra a Milano dalla porta principale seppure con un temporary shop. La stessa Conad ha preferito non ingaggiare un braccio di ferro con Esselunga quando ne avrebbe avuto l’opportunità. I Podini lo fanno con una insegna,  che  i milanesi non conoscono. Per questo non è solo un negozio, è una sfida. MD, in città, se non fosse per la pubblicità televisiva, sarebbe sconosciuta ai più, con questa mossa, però provoca, si distingue  e  alza il tiro. Lo aveva già fatto con la pubblicità interpretata da Herbert Ballerina (“Ma è tale e quale!”) fatta ritirare dalla diffida di  Centromarca ma anche con “Almeno provalo!” che l’ha seguita. 

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Due top manager della GDO internazionale a confronto. Chi ha vinto e chi ha perso..

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Quando posso cerco di proporre  cosa c’è dietro le decisioni, i successi o gli  insuccessi delle aziende. Ovviamente è il mio opinabile punto di vista. A me piace parlare di  persone. Colleghi, top manager nazionali e internazionali che propongono progetti, realizzano obiettivi e contribuiscono, con il loro lavoro, a determinare i risultati. E le difficoltà che incontrano. Quando Tony Hoggett ha lasciato Tesco e l’anno successivo, Rami Baitiéh, Carrefour France ho scommesso sul successo di entrambi. I risultati e i rispettivi curricula parlavano per loro. Il primo arrivava a capo dei negozi fisici di Amazon nel food con il compito di ridisegnarne ruolo e prospettive. Il secondo lasciava Carrefour per rilanciare Morrisons in grande affanno in Inghilterra. Tony Hoggett non ce l’ha fatta. Ha gettato la spugna dopo tre anni. Rami Baitiéh ha, per ora, vinto la sua sfida. Ma procediamo con ordine.

Hoggett era convinto che il problema dell’azienda di Seattle nel food fosse proprio crescere nei negozi fisici.  Lo pensavano in molti. Compreso il sottoscritto. L’acquisizione di Whole Foods avvenuta nel 2017 era vista come il primo passo a cui ne sarebbero seguiti altri. Con la scelta di Hoggett Amazon sembrava segnalare la sua intenzione di voler competere con i più forti retailer sul loro terreno. Non solo sul fronte della tecnologia o dell’e-commerce. L’altra gamba sarebbe stata la “piccola” Amazon Fresh da rilanciare. Si discuterà a lungo su chi ha sbagliato. Se è stato Hoggett che ha creduto  possibile “trascinare”  il gigante di Seattle ad imboccare una  strategia di espansione tradizionale nel retail fisico, visto il contesto competitivo, soprattutto negli USA o Amazon a rendersi conto che quella strategia, pur interessante, non fosse compatibile con la propria visione e natura.

Amazon, non è mai sembrata intenzionata ad impegnarsi in una gara complessa a colpi di acquisizioni per competere negli USA e non solo con Walmart, Aldi e compagnia, sul loro terreno. E temo che, pur dopo aver accarezzato l’idea e averlo ingaggiato, non ha mai creduto fino in fondo alla strategia propugnata da Hoggett. Nelle multinazionali succede. Resta l’obiettivo di voler di cambiare radicalmente il modo di fare la spesa. È il percorso che cambia. Amazon resta ancorata all’online e alla tecnologia con l’obiettivo di soddisfare il cliente. Difficile cambiare natura.

Per questo l’oggetto dello scontro non poteva essere che Whole Foods e la sua funzione complementare nell’eco sistema. Ancora oggi il 95% dei suoi clienti è costretto, se vuole  acquistare prodotti CPG, ad andare altrove. Da qui, credo,  la mediazione, nata poco prima dell’addio dell’ex Tesco, che probabilmente voleva quei prodotti sui lineari e una maggiore integrazione con Amazon Fresh  e Jason Buechel che non li voleva. Per chi avesse dubbi basta andare sul sito di Whole Foods dove si legge: “orgogliosi di ciò che vendiamo e ancora di più di ciò che non vendiamo”. La mediazione tra le differenti visioni fu di portare i prodotti Whole Foods nei negozi Amazon Fresh (ma non il contrario), testare  punti vendita più piccoli in alcune realtà e costruire un  micro centro di evasione ordini collegato a una sede di Whole Foods nel sobborgo di Filadelfia di Plymouth Meeting, in Pennsylvania operativo a fine 2025 destinato ad aggiungere costi anziché razionalizzarli. Di fatto un test di grande interesse tecnologico e logistico in grado di esaltare le peculiarità dell’azienda di Seattle. Leggi tutto “Due top manager della GDO internazionale a confronto. Chi ha vinto e chi ha perso..”

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Il panettone? Buono buono ma… caro caro

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Il panettone, tipico dolce natalizio di Milano, ogni anni finisce sotto i riflettori per qualche motivo. C’è chi, ogni anno, si inventa, in estate,  l’idea di destagionalizzarlo.  Poi gli passa. Sulla riviera emiliana qualche tedesco lo mangia con il gelato in agosto e subito dopo vengono spesi fiumi di inchiostro sul business potenziale. A settembre l’idea rientra pronta a essersi rimessa in circolo l’anno successivo. Altrove non è così. In Perù il panettone si mangia durante le Fiestas Patrias peruanas, le festività dell’Indipendenza nazionale che ricorrono il 28 e il 29 luglio. E lì,  il 6% della popolazione, consuma il panettone in ogni periodo dell’anno per festeggiare diverse ricorrenze come i compleanni e altre occasioni.

Per i milanesi il panettone è una cosa seria. Vedere tutto questo chiasso inutile intorno ad un’abitudine che dura per noi un mese e mezzo circa  da un po’ fastidio. Il panettone  si compra a Natale e i resti si trascinano in un sacchetto nella dispensa fino a San Biagio,  il 3 febbraio, quando è tradizione mangiare un pezzetto di panettone benedetto avanzato da Natale, per tenere lontano i malanni e proteggersi dal mal di gola. Ovviamente ci rendiamo conto che il panettone ormai non riguarda solo noi milanesi.

Secondo l’Unione italiana Food, la produzione  è calata  da 33.628 tonnellate a 31.947 nell’arco di un anno mentre in termini di valore ha registrato una lieve crescita da 216,9 a 223,4 milioni di euro. L’export poi dei prodotti da ricorrenza rappresenta il 19% del totale. Ben  oltre il 90% degli acquisti passa attraverso la grande distribuzione. Il resto è coperto  dal comparto artigianale (pasticcerie e acquisti offline o online). Pur essendo un prodotto tipicamente milanese (o comunque espressione del Made in Italy) non siamo noi i maggiori produttori al mondo. A detenere il primato è il Brasile, con una produzione media annua di 200 milioni di pezzi. Il secondo posto nella classifica mondiale spetta al Perù, mentre all’Italia tocca la medaglia di bronzo, guadagnata con 50 milioni di pezzi l’anno.

Tra l’altro non è milanese e neppure italiano il pasticcere che ha vinto la “Coppa del mondo del panettone” 2024. È la  pasticceria Sucal di Barcellona che ha vinto il concorso per il miglior panettone del mondo, in una rassegna tenutasi a Milano, a Palazzo Castiglioni, dall’8 al 10 novembre. Cloudstreet Bakery, di Tonatiuh Cortés ha conquistato il primo posto davanti agli italiani Pasquale Pesce e Maurizio Sarioli. È la prima pasticceria straniera a vincere il riconoscimento. Questa edizione della Coppa del Mondo del Panettone 2024 è la quarta dall’istituzione del concorso. Un solo lombardo finalista.  Maurizio Sarioli della Forneria Il Pane di Brescia. Leggi tutto “Il panettone? Buono buono ma… caro caro”

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