Quale ruolo per le organizzazioni di rappresentanza in ottica industry 4.0?

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Mi sono spesso domandato quale potrà essere, in ottica industry 4.0, lo spazio di azione in azienda, per i sindacati. Nel terziario, già oggi è minimo.

In parte per l’approccio e la cultura dei sindacalisti di settore, in parte perché, la stragrande maggioranza delle aziende non ha, né una storia di relazioni sindacali né di condivisione collettiva delle problematiche aziendali come in altri settori.

Le relazioni sindacali nel terziario, quando ci sono, sono generalmente esterne all’azienda attraverso gli enti bilaterali e le associazioni di rappresentanza. Gli stessi lavoratori si rivolgono ai sindacati solo a fronte di problemi specifici seri durante il rapporto di lavoro o alla sua conclusione.

Se escludiamo la Grande Distribuzione, che è la più legata a modelli organizzativi di derivazione fordista, nella stragrande maggioranza delle aziende del terziario il contratto nazionale viene rispettato nei minimi retributivi e in quelle norme generali applicabili al contesto specifico. Per il resto è lasciato alla gestione aziendale costituita dalla cultura interna, dall’organizzazione e dai modelli di gestione e sviluppo delle risorse.

Il singolo individuo vi si rapporta attraverso il proprio responsabile o, nelle aziende più strutturate, anche attraverso la direzione risorse umane. Nelle più evolute (quindi più vicine al contesto industry 4.0) il clima interno è generalmente monitorato attraverso vari strumenti (indagini di clima, KPI, ecc.) , la comunicazione è costante (capo/collaboratore, eventi, comunicazione, ecc.), i sistemi di valutazione e sviluppo professionale efficienti (formazione, assessment, valorizzazione del contributo individuale al business, ecc.) e infine, i riconoscimenti economici sono ben collegati ai risultati e all’andamento aziendale. Forme di welfare interno o contrattuale e benefit specifici completano il quadro.

Il rapporto è quindi personalizzato, le contropartite sono chiare così come sono chiare le possibili conseguenze negative. È un rapporto di partnership, che non prevede fedeltà né che duri per sempre. Da entrambe le parti. Ed è un modello che, ormai, tende a coinvolgere tutti. Non solo i manager dell’azienda.

Nel senso che, anche chi ne dovesse essere escluso, per ruolo o per seniority, sa quali sono le regole del gioco e le opportunità che possono e devono essere colte. E sa anche che, prima o poi, se non entra nel meccanismo, il suo contributo potrebbe essere messo in discussione. La contrattazione aziendale è praticamente inesistente perché tutto ciò che va oltre il CCNL è gestito unilateralmente dall’azienda. Né potrebbe essere diversamente.

Detto tutto questo che, a mio parere, spiega la differenza tra un modello contrattuale (quello manifatturiero) che è sempre stato costruito intorno ad un approccio collettivo e che ha “subìto” la gestione personalizzata rispetto a quello, tipico nel terziario, che viene costruito intorno alla personalizzazione del rapporto salvo utilizzare una base collettiva (il CCNL relativo) esclusivamente come punto di riferimento generale. Il punto è che tutto funziona fino a quando i confini applicativi e di categoria restano chiari, evidenti. Meno quando non hanno più ragione di esistere. Ed è questo il futuro che ci aspetta.

Il lavoro, che lo si voglia o meno, tenderà a polarizzarsi. Da una parte quello povero che sarà trasversale nei servizi alle imprese, nella GDO, nell’agroalimentare, nella logistica, nell’industria ma anche nelle start up (se, una volta per tutte, decidessimo di uscire dalla retorica che le accompagna).

Dall’altra quello di maggior contenuto professionale che coinvolgerà tutti i settori e renderà superflui le tipologie contrattuali utilizzate fino ad oggi, i confini di inquadramento, i modelli retributivi. E tutto questo non è materia delle singole imprese e non sarà materia da affrontare in un futuro remoto.

Industry 4.0 è un’occasione. È una opportunità per ridisegnare un percorso che non sarà breve ma deve andare nella giusta direzione. Per questo non credo che il problema sia legato semplicemente ai luoghi della contrattazione.

Le aziende sono cambiate profondamente mentre il modello contrattuale, i contenuti proposti, il ruolo delle organizzazioni di rappresentanza è rimasto sostanzialmente lo stesso. Sono stati trovati degli adattamenti che, via via, stanno scontentando un po’ tutti.

Per questo, c’è chi pensa (forse troppo sbrigativamente) che un semplice spostamento a livello aziendale possa risolvere il problema. Non sarà così. Anzi. Il contratto del terziario è lì a dimostrare una strada diversa, che può piacere o meno.

È però molto interessante per le imprese che pur rispettando il CCNL di riferimento possono muoversi con maggiore rapidità ed efficacia. Non è un caso che un terzo delle aziende iscritte ad Assolombarda preferiscano il contratto nazionale del terziario firmato da Confcommercio rispetto ai rispettivi contratti di categoria.

L’altro versante è rappresentato (schematicamente) dal contratto dei metalmeccanici che ha disegnato un percorso diverso dove il sindacato è disponibile ad affrontare in un contesto di reciprocità tutti i problemi sul tappeto delle imprese ma anche dei lavoratori in un contesto sicuramente collettivo. 

Quello che è certo è che non si arriverà ai prossimi rinnovi senza aver messo mano ad un nuovo modello contrattuale (assetti, contenuti e luoghi). E questo vale per tutti.

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