Astensionismo politico e crisi dei corpi intermedi: due facce della stessa medaglia

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Le ragioni che spingono al non voto milioni di persone sono tante. Alcune le trovo fisiologiche, altre scontate. C’è però una lettura interessante proposta da Walter Veltroni sul Corriere (https://bit.ly/3Ch7OH6) su cui mi pare necessario aggiungere una ulteriore riflessione. Dice Veltroni:  “L’astensionismo racconta della grande solitudine dei cittadini, della loro distanza da una politica algida e furbacchiona, dalle manovre di palazzo elevate a finissima strategia. Racconta dei frutti avvelenati del processo di disintermediazione che ha rimosso tutti i soggetti, sindacali e associativi, che vivevano dentro il disagio sociale e lo organizzavano”.

Questo, a mio parere, non è un passaggio banale. Se in Italia non abbiamo avuto (per ora) né i forconi né i gilet gialli, se ogni autunno non si scalda come vorrebbero coloro che vivono di ricordi (o di incubi), se la protesta è stata sostituita dalla proposta, dal  negoziato e dalla mediazione  lo si deve anche al lavoro quotidiano, e non sempre percepito nel suo valore,  dei corpi intermedi.

Ricordo l’emergere del populismo di marca sindacale dopo l’onda degli anni sessanta e la fatica dei militanti dei consigli di fabbrica a contenerne gli effetti devastanti,   le assemblee e le interminabili riunioni nelle sedi sindacali nelle quali gli attivisti  si accapigliavano fino alle ore piccole su documenti da ciclostilare e volantinare che miravano a condizionare scelte di politica economica nazionale  o addirittura di posizionamento internazionale del Paese.

Anche commercianti, artigiani, piccoli imprenditori si mobilitavano attraverso le loro associazioni per ottenere risposte su loro problemi concreti, modifiche legislative, aiuti o ristori. Il peso che un intervento di Confindustria, Confcommercio o altre confederazioni  di parte datoriale o di CGIL, CISL e UIL per  parte sindacale costituiva un passaggio fondamentale che scandiva la vita politica del Paese. Cosa significava l’annuncio di uno sciopero generale, la sua preparazione, la capacità di contenerne gli eccessi.

“Scendere in Piazza” era un modo di segnalare il proprio disagio, agli scettici, ai compagni di lavoro  e al Paese unito alla convinzione di essere protagonisti in grado di pretendere e ottenere un cambiamento. Era il  segnale che la partecipazione, la responsabilizzazione individuale,  la chiamata militante avrebbero pagato. C’era addirittura un orgoglio in quella scelta  e una sorta di disprezzo per chi stava  in disparte. E si scrutava il giorno dopo, sui giornali e nei TG lo spazio riservato agli eventi, lo si mostrava ai colleghi di lavoro  a dimostrazione dell’importanza degli organizzatori che l’avevano proposta che rendeva meno pesante il prezzo pagato per l’adesione.

E questo creava, dibattito, confronto, partecipazione garantendo uno sbocco democratico alla protesta, un peso politico agli organizzatori e un ascolto privilegiato sui problemi del Paese. Ovviamente con tutto ciò che di positivo e negativo quel mondo portava con sé sulle dinamiche economiche del Paese. Poi sono  arrivate le ristrutturazioni e le  crisi. Il contesto  è cambiato.

La politica si è impadronita di quasi tutto il campo ma com’era prevedibile si è via via allontanata dai singoli giocatori. Più vicino a noi, la pandemia, l’inflazione, la guerra alle porte lasciano ancora di più le persone sole con i loro problemi. La scarsità di risorse economiche impedisce di accontentare tutti. Allora le dichiarazioni rassicuranti, le promesse, le illusioni coprono la realtà ma non l’affrontano o lo fanno con ritardi difficili da gestire in un’impresa o per un bilancio familiare.

La voce della politica però copre tutte le altre voci rendendole deboli e spesso marginali. I corpi intermedi hanno reagito in modo diverso. Alcuni si sono rassegnati e scaricano sulla politica le responsabilità, altri invocano continui tavoli improbabili, altri ancora utilizzano gli uffici studi come succedanei del loro ruolo guadagnando scampoli di visibilità sui media.

Nel mio pezzo recente sulla differenza tra Confindustria e Confcommercio (https://bit.ly/3qCVF8H) ho cercato, ad esempio, di individuare i limiti e la lentezza di chi, sprofondato in un eterno presente,  cerca una sponda nella politica sperando di ottenere qualche riconoscimento formale del proprio  ruolo, come sta facendo la leadership di Confcommercio e chi, come Carlo Bonomi, presidente di Confindustria e pochi altri  hanno ben compreso che quello spazio è stato occupato e stanno cercando di rivitalizzare e di mobilitare strutture diventate troppo autoreferenziali e non abituate ad un gioco diverso da quello richiesto nel 900.

D’altra parte i corpi intermedi non hanno interesse a palesare la propria crisi. La reazione di Maurizio Landini alla vittoria della destra è sintomatica. L’obiettivo resta il riconoscimento reciproco. Il metodo così  diventa parte del contenuto. È sicuramente una scelta inevitabile che dimostra la mancanza di pregiudizi ma porta con sé il rischio che si consolidi  un mondo parallelo impenetrabile  ai problemi quotidiani degli associati delle diverse realtà fatto di formalità a favore di telecamera che però induce nelle rispettive basi la sensazione di essere soli nella crisi e a perdere così la fiducia nella forza della partecipazione. Sia nei confronti del proprio sistema rappresentativo di riferimento che nella politica ritenuta incapace di mettere a terra promesse e impegni. Da qui la crisi della rappresentanza che precede, accompagna  e segue quella della politica.

Le ragioni ricordate da Veltroni su questa caratteristica specifica di una parte della scelta astensionista non dovrebbero solo stimolare la riflessione per i partiti che si vedono sottrarre una fetta di potenziale consenso ma dovrebbero coinvolgere gli stessi corpi intermedi perché solo ritornando ad essere protagonisti attivi e propositivi delle rispettive  comunità di appartenenza riusciranno a ricostruire, attualizzandolo,  quel ruolo fondamentale che hanno in larga parte perso ma di cui il Paese, in un momento come questo, ne avrebbe assolutamente bisogno. 

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