Aziende industriali, contratto del terziario…

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Secondo i dati più recenti citati da Rita Querzé sul Corriere di oggi un terzo delle aziende iscritte ad Assolombarda (Confindustria) applica il contratto del Terziario firmato da Confcommercio.  E questo non da ieri.

Quindi l’idea sottesa nel cosiddetto “patto di fabbrica”, proposto dal Presidente Boccia ai sindacati confederali, sulla necessità di sviluppare una contrattazione nazionale specifica di produzione  confindustriale su industry 4.0 c’entra fino ad un certo punto.

La ragione della scelta delle imprese è molto semplice. Nel comparto manifatturiero i contratti sono settorializzati quindi risentono delle differenti culture (sempre di stampo fordista) prodotte nei differenti comparti merceologici. E questo crea, costi diretti, indiretti e vincoli organizzativi.

Nel terziario il contratto è uno solo. Da sempre. Costruito proprio per potersi adattare a settori molto diversi tra di loro. Quindi molto lasco. Questo lo rende decisamente più moderno, gestibile e modellabile su misura di esigenze specifiche o particolari.

Le aziende generalmente badano al sodo. Lo stesso sistema bilaterale costruita intorno al welfare aziendale ha bisogno di masse critiche rilevanti e di una cultura della flessibilità e del bilateralismo che non si improvvisa né nelle associazioni datoriali, né nei sindacati.

Qualche esempio. Nel CCNL del terziario, orari e organizzazione del lavoro hanno, come obiettivo principale, il soddisfacimento del cliente e l’adattabilità al mercato. Non è così nei comparti industriali dove al centro, che lo si voglia ammettere o meno, c’è ancora il prodotto e chi lo produce.

Il diritto soggettivo alla formazione giustamente sottolineato da tutti come rilevante nell’ultimo contratto dei metalmeccanici, è presente nel contratto dei dirigenti del terziario già dal 1994. Così come, dallo stesso anno, per i Quadri che sono nel CCNL dei lavoratori del terziario. La formazione è centrale ed è diffusa a tutti i livelli, il welfare sanitario copre già oltre un milione e mezzo di lavoratori. 

Infine se pensiamo alla implementazione di una nuova attività, la fase di test di un prodotto o di un servizio e la loro relazione con il lavoro necessario sia in termini di costo, durata, qualità e inquadramento ci rendiamo conto della profonda differenza  tra i differenti modelli contrattuali e quello del terziario.

La stessa Federdistribuzione, nel suo tentativo di uscita dal CCNL del terziario (in corso da oltre due anni), vorrebbe mantenerne la flessibilità, gestire autonomamente parte (non tutta) della bilateralità, e pagare ancora meno i lavoratori di quanto stabilito nel CCNL firmato da Confcommercio. Operazione non facile da realizzare e soprattutto che rischia di innescare una inevitabile fase di dumping pericolosa per tutto il comparto spinto ad una infinita gara al ribasso con risultati immaginabili per i lavoratori coinvolti.

Nel comparto industriale i metalmeccanici hanno appena concluso un contratto propedeutico anche ad industry 4.0. Come può pensare Confindustria di costruire un “patto di fabbrica” che prescinde da questa realtà consolidata? E con chi? Che cosa è il CCNL dei metalmeccanici se non la base per il “patto di fabbrica”?

Tempo fa Marco Bentivogli prospettava la costruzione di un sindacato industriale di nuovo conio, in grado di valorizzare la manifattura sul piano della difesa degli interessi nazionali del settore e dell’evoluzione del lavoro sia nei contenuti che nel rapporto con l’impresa. Quella, credo, resta l’unica strada praticabile.

Le organizzazioni di rappresentanza, datoriali e sindacali, devono rendersi conto che il problema non è come recuperare le aziende o i lavoratori sotto le proprie insegne con operazioni di semplice presidio dell’offerta di servizi. O di concorrenza tra sigle. Altrimenti si aprirà ad una fase incontrollabile di dumping contrattuale.

Il tema centrale è quale rappresentanza è, e sarà, funzionale alle imprese e ai lavoratori in un mondo globalizzato.

Il 900 ha costruito intorno alla manifattura fordista una ideologia è un modello organizzativo e contrattuale prevalente che si è esteso a tutti i settori. Quel modello è in declino.

Probabilmente, nel privato, servirà puntare decisamente verso un modello contrattuale nazionale più leggero costruito intorno a 3 comparti principali: terziario, industria, agroalimentare con contrattazione aziendale, territoriale o di comparto collegate.

Il punto è se i corpi intermedi saranno in grado di comprendere che il futuro non è nella competizione organizzativa sull’esistente ma nell’individuare cosa, imprese e lavoratori, hanno bisogno nella transizione verso il nuovo paradigma economico e sociale e di come metterlo loro a disposizione.

È lì, è solo lì, che chi avrà  più tela da tessere….

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