Grande Distribuzione e produttività. Una sfida non solo per le aziende..

Agatha Christie sosteneva che “un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza ma tre indizi fanno una prova”. Insisto, anche se aver affrontato l’argomento mi ha portato qualche critica,  nel ritenere un errore del sindacato di categoria non prendere atto che il tema della produttività è centrale. Non però in generale dove tutti, più o meno, ne convengono ma nel concreto della quotidianità del punto vendita.

E, come ho già scritto (https://bit.ly/3OOkOr8),  discutere di produttività è altra cosa che affrontare il tema in presenza di investimenti tecnologici come in altri settori. La strada è una sola. Ottimizzare la prestazione individuale e collettiva coinvolgendo le persone e mettendo al centro il servizio al cliente e la redditività del negozio. Adesso è il momento dei discount. Dopo Eurospin  tocca a Penny Market il discount tedesco del gruppo Rewe. Il sindacato di categoria sembra scoprire improvvisamente  le “consuete criticità” del lavoro in un punto vendita. Difficile capirne la ratio. Nei punti vendita, soprattutto nei più piccoli o gestiti dai franchisee si lavora così. Da sempre. Dal comunicato della Uiltucs Uil scopriamo che le “relazioni sindacali territoriali sono insufficienti ed inefficaci per responsabilità aziendale, salute e sicurezza sono in discussione, i carichi di lavoro sono eccessivi, turni ed orari di lavoro sono pesanti, c’è un improprio utilizzo delle clausole elastiche e flessibili nonché dei permessi retribuiti. Turnazione e pause non sono rispettati e le pulizie dei negozi, dei servizi e dei parcheggi sono in capo al personale con altre qualifiche”.

Cambia l’insegna ma la musica è sempre la stessa. Visto dai comunicati  sindacali, Eurospin, Penny Market o altri discount e non solo, ogni vertenza aperta parte da una fotografia talmente drammatica che i punti vendita sembrano assimilabili a gironi danteschi. La distanza tra ciò che il sindacato rivendica e l’impostazione organizzativa aziendale è talmente ampia da svuotare di senso qualsiasi negoziato perché la differenza di impostazione, su queste basi,  è incolmabile. Vengono così dichiarati fantomatici blocchi degli straordinari e programmati scioperi di cui se ne perde immediatamente traccia. Le aziende abbozzano e  tutto ritorna alla quotidianità della gestione del punto vendita.

I discount ma anche gli stessi supermercati alle prese con il difficile equilibrio tra fatturati e margini funzionano così. Il tema della produttività del lavoro e quindi del suo riconoscimento diventa centrale. Tra l’altro  in vista del possibile rinnovo dei numerosi CCNL, il sindacato rischierebbe di  tirarsi la zappa sui piedi da solo. E queste, lo dico  per i critici esterni,  sono tutte realtà che non hanno né un turn over elevato né un assenteismo eccessivo.  E neppure rilevabili abbassamenti delle performance o peggioramenti della qualità di servizio percepiti dai clienti. Né faticano a trovare collaboratori. Le iniziative formative e di coinvolgimento sono numerose, la possibilità di accedere a  carriere interne, pure.

È chiaro che il lavoro nella GDO non è per tutti. Orari, turnazioni, impegno richiesto a contatto con i clienti e gestione degli imprevisti di ciò che si genera a monte nella logistica e nel rifornimento necessitano di caratteristiche diverse da altri comparti economici. Il punto vendita, pur costruito su una gerarchia precisa e all’interno di un modello organizzativo standard, comporta responsabilità personali e capacità di muoversi in mezzo ad imprevisti e interlocutori interni ed esterni che rendono quel lavoro particolare. Senza confini di qualifica né di inquadramento.

C’è un organizzazione formale di cui il CCNL ne rappresenta sulla carta il quadro di riferimento e poi c’è la realtà fatta di clienti esigenti, richieste di ogni tipo, promozioni che sconvolgono la quotidianità, derivati dagli afflussi e di picco. Non è quindi un lavoro adatto a tutti.  Il rischio che uno o più sindacati insistano su modelli organizzativi superati sembra essere l’unica spiegazione. A volte anche i manager intermedi delle aziende tirano troppo la corda. Soprattutto se e quando prendono impegni con la loro gerarchia che sanno di non poter mantenere.

Eppure il tema della produttività e del suo riconoscimento  anche a vantaggio dei lavoratori dovrebbe animare la discussione in vista dei rinnovi contrattuali. Draghi è stato chiaro. I CCNL vanno rinnovati. Ma se non si vuole ridurli ad una pura questione salariale la loro attualizzazione sui temi chiave per le imprese andrebbero ripresi.

I modelli organizzativi precedenti che hanno permeato il CCNL erano mutuati sostanzialmente dalle grandi superfici e derivati da una forte impostazione tayloristica. C’era poca cultura del servizio e delle logiche di un negozio e un’impostazione quasi da reparto industriale. Organici di reparto, nastri orari, operazioni di pulimento esternalizzate, pause e rimpiazzi, inquadramento e tipologie di lavoro consentivano organizzazioni lasche e spesso ridondanti. Ma i bacini di utenza erano ben diversi. E la competitività tra i differenti formati è data da una continua ricerca di equilibrio tra fatturati e margini e quindi il tema dei costi, della loro gestione e del contributo qualitativo delle persone diventano centrali.

Il sindacato di categoria di fronte a questo può “fingere” di non vedere la realtà mettendosi di traverso  o scegliere di misurarsi con le imprese per una più equa distribuzione dei benefici prodotti da questi modelli organizzativi e quindi per un maggiore protagonismo dei lavoratori partendo dall’andamento del punto vendita ma guardando alla prospettiva dell’insegna che lo comprende. E questo converrebbe anche alle aziende che porterebbero il lavoro e la sua valorizzazione al centro di una rinnovata centralità del cliente e della sua gestione evitando così di scivolare verso un utilizzo strumentale del lavoro sempre meno pagato che, prima o poi, si rivolterebbe contro.

E questo è un passaggio obbligato se il welfare contrattuale e la bilateralità vengono intesi come passi nella direzione di forme di coinvolgimento e di partecipazione alla vita del comparto e delle aziende e non come esclusivi generatori di risorse e poltrone. Il CCNL è quindi a un bivio. Può ripiegare diventando uno strumento di semplice governo salariale e quindi una sorta di salario minimo gestito nel settore o evolvere verso modelli contrattuali più coinvolgenti e partecipativi. Su questo produttività e sua distribuzione potrebbero rappresentare il vero punto di svolta. 

Terziario e servizi. Draghi sollecita il rinnovo del CCNL

E così c’è voluto addirittura un intervento deciso di Mario Draghi per far capire che i CCNL vanno rinnovati. Eppure Carlo Sangalli lo aveva incontrato da poco nascondendosi dietro le solite richieste sul tema: riduzione sul cuneo contributivo  e fiscale e sgravi sugli aumenti ipotizzando futuri rinnovi. Si era dimenticato di dirgli che l’ultimo CCNL del terziario è stato sottoscritto sette anni fa ed è fermo da oltre due anni e che, a differenza di Confindustria che i suoi contratti li aveva rinnovati, il CCNL è rimasto fermo senza alcuna ragione specifica particolare. Turismo e piccoli esercizi travolti dalla pandemia hanno i loro contratti nazionali e buone ragioni per non rinnovarli in questi anni. Quindi nessuna scusa.

Solo la competizione al ribasso tra Confcommercio, Federdistribuzione e Confesercenti nel rinnovo precedente ha convinto tutti e tre che buttare la palla in tribuna fosse una buona cosa. Alle aziende in fondo sarebbe andata bene così. Avrebbero risparmiato nel breve e rinviato il rinnovo a tempi migliori.

Nessuna delle tre organizzazioni si è voluta assumere la responsabilità che le competeva proponendo  un percorso serio alle imprese. E un negoziato win win ai sindacati di settore.  Meglio cavalcare paure e preoccupazioni in vista di una possibile quanto rischiosa tempesta perfetta puntualmente arrivata. E oggi il quadro si sta complicando  ulteriormente.

Eppure Sangalli in passato ha subìto l’uscita di Federdistribuzione proprio per aver deciso che era arrivato il momento di chiudere un contratto nazionale che vedeva contraria proprio la GDO. Altri tempi evidentemente. L’attuale vertice di Confcommercio ha perso quella sensibilità.  Oppure si è perso tra veti e contraddizioni interne. Muro sull’aspetto salariale, vaghe teorizzazioni nel merito delle proposte sindacali e qualche commissione creata per ammortizzare le spinte dei lavoratori. Una figuraccia certificata dal Presidente del Consiglio che fotografa l’affanno complessivo e la mancanza di iniziativa dell’intero associazionismo nel commercio e nel terziario.  Leggi tutto “Terziario e servizi. Draghi sollecita il rinnovo del CCNL”

Contratto nazionale del commercio. I sindacati hanno ragione ma le aziende non hanno torto…

Difficile fare pronostici. Da una parte le buone ragioni del sindacato di settore. L’inflazione colpisce gli addetti come i consumatori. Tenere fermo il rinnovo a oltre due anni dalla scadenza per le diatribe tra le controparti datoriali rischia di trasformarsi in un boomerang. Ha ragione Vincenzo Dell’Orefice della Fisascat CISL a sottolineare che nascondersi dietro l’aumento dei costi per evitare il confronto di merito di un contratto nazionale, che ha una vigenza pluriennale, non è un motivo sufficiente. “Chi non vuole rinnovare un contratto trova sempre un motivo (il covid, la guerra, l’inflazione ecc).” Il punto è, come ci ricorda un  saggio proverbio africano,  che chi vuole sul serio qualcosa cerca una strada. Non una scusa.

Aggiungo che le stesse associazioni datoriali, in primo luogo  Confcommercio e Federdistribuzione impegnate in una estenuante competizione sulla rispettiva rappresentatività nel comparto rischiano di perdere la necessaria autorevolezza fondamentale per guidare un negoziato  complesso. I segnali ci sono tutti. Da un lato la fuga dal CCNL di Federdistribuzione di alcune aziende associate verso altre formule contrattuali, mascherato, in termini numerici, con l’arrivo di importanti nuove aziende.

Dall’altro le dichiarazioni di Donatella Prampolini responsabile Confcommercio dell’area  lavoro quando annuncia che per impedire giochi al ribasso nel prossimo rinnovo di altre organizzazioni datoriali andrà  richiesta ai sindacati “una clausola di salvaguardia con l’obiettivo di impedire il dumping contrattuale”. La Confcommercio avrà quindi bisogno di un pezzo di carta firmato dai sindacati in sede di rinnovo che garantisca un riallineamento economico/normativo nel caso  altre organizzazioni datoriali dovessero ottenere di più dagli stessi sindacati.

Confcommercio non è più in grado di mettere in campo l’autorevolezza del Presidente Sangalli ormai ai titoli di coda né il peso della confederazione su questa materia né la fermezza necessaria con le rispettive controparti. Donatella Prampolini ha addirittura definito “furbata” lo sconto salariale ottenuto da Federdistribuzione e da Confesercenti nel rinnovo precedente. Non un tragico errore dei sindacati che non si dovrà più ripetere pena l’interruzione di ogni relazione seria. Oggi serve una garanzia scritta. È proprio la fine di un ciclo. Leggi tutto “Contratto nazionale del commercio. I sindacati hanno ragione ma le aziende non hanno torto…”

Frutta e verdura a Milano. La filiera parla arabo…

Credo sia importante tenere accesi i riflettori sull’intera  filiera dell’ortofrutta. Il mondo del lavoro povero e poverissimo prodotto dall’immigrazione sta presentando problemi ben al di là dall’allarme lanciato ogni anno per le condizioni di lavoro nei campi di raccolta. Bisogna prenderne atto e intervenire perché il fenomeno si sta ormai radicando nell’intera filiera dalla produzione al consumatore finale. Purtroppo  pochi ci fanno caso.

Questa volta i protagonisti sono i nordafricani. Ambulanti, mercati rionali, piccoli negozi distribuiti in tutta la città di Milano e non solo stanno ridisegnando la mappa del comparto ma, a mio giudizio, descrivono una tendenza in atto. Molti nascono e muoiono, cambiano nome e si trasferiscono da un quartiere all’altro. Riconosci i negozi non certo dall’estetica accattivante ma per la frutta ad un euro. Anzi 0,99. A un euro gli avocado. Lavorano preferibilmente con  i contanti. Frutta e verdura sui banchi spesso ordinata in quantità eccessiva (perché imposta dal grossista) e quindi poco pianificata. Vendono quello che gli consegnano. Al pomeriggio costa pure meno. La qualità è discreta.

Almeno in linea con quella offerta, molto meno a buon mercato, dalla grande distribuzione. Se fate un giro per punti vendita della GDO in questi giorni è toccato alle ciliegie. Prima alle fragole. Si discute, come ogni anno, della remunerazione dell’intera  filiera. I riflettori sono puntati sui discount nazionali pronti a preparare il solito “colpaccio” dell’anno verso ferragosto animando così le polemiche sulla raccolta e sullo sfruttamento nei campi. Non conosco altre città. So che a Roma e provincia i  piccoli supermercati aperti h24, i cosiddetti  banglamarket, sono cresciuti esponenzialmente. Piccoli negozietti, pieni all’inverosimile che vendono di tutto. Spesso a tutti. Anche a chi non avrebbe l’età per certi acquisti. La tendenza è chiara. È un terziario povero che sta accompagnando i fenomeni legati all’immigrazione.

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PAM-Panorama. La crisi delle grandi superfici continua..

Purtroppo non ci  sono ricette miracolose per affrontare la crisi delle grandi superfici. Conad con l’acquisizione degli Iper di Auchan ha cercato di ridurle reinventando o assegnando  spazi a terzi. Carrefour e Coop cedendoli ad imprenditori locali più flessibili e reattivi. PAM si trova in una situazione analoga e non saranno certo le illusioni di chi conviene sull’analisi della crisi ma non sulla cura necessaria.

L’avevo scritto immediatamente dopo l’annuncio dell’esternalizzazione di parte delle pulizie alla PAM nel mese di ottobre (https://bit.ly/3bpXmPg). Se si impedisce ad un’azienda di trovare strumenti complementari, efficaci e alternativi per attutire l’impatto dei conti negativi agitando il CCNL, il rischio è che il conto diventi sempre più salato.

Andrea Zoratti il nuovo Direttore Generale ha comunicato ai sindacati la gravità della situazione. 25 milioni di perdite nel canale ipermercati nel 2021. E questo nonostante i discreti risultati del canale super e le perdite contenute dei superstore. Ha poi confermato che nel primo trimestre 2022 le vendite sono ulteriormente calate. Non hanno certo aiutato gli aumenti dei costi a cominciare dalla bolletta energetica. La proiezione aziendale a dati attuali a fine 2022 non incoraggia facili ottimismi.

Pam è un’azienda importante controllata dalla Gecos, finanziaria delle famiglie Bastianello e Dina. Nel 2020 il gruppo ha registrato ricavi per 2,55 miliardi e un utile operativo di 36,7 milioni. Conta circa 9.500 collaboratori ed è presente in Italia con 970 punti vendita distribuiti in 12 regioni, suddivisi in Ipermercati Panorama, Supermercati e Superstore Pam, Convenience Store Pam local e Pam city, negozi di prossimità urbana. Appartengono al gruppo anche i discount In’s, con oltre 450 negozi. Leggi tutto “PAM-Panorama. La crisi delle grandi superfici continua..”

Grande Distribuzione. L’inflazione morde clienti e dipendenti

C’è una notevole differenza tra le asciutte dichiarazioni del Premier Draghi che nascondono le preoccupazioni su ciò che presumibilmente ci attende e la folla vociante della politica che lo circonda che sembra preferire parlare d’altro. Sullo sfondo la campagna elettorale che ci attende e i segnali che, anche in Francia, la retorica populista domina la contesa nelle elezioni presidenziali in corso.

Alla base della risalita della Le Pen, inflazione, carovita e fallimento della politica economica del Governo. Non è difficile prevedere una polemica simile anche da noi alle prossime elezioni. Sullo sfondo, la guerra ai nostri confini, le conseguenze attese, la difficile uscita post pandemia.

La Grande Distribuzione fino a qui è arrivata in piedi. Lo spettro di una forte ripresa inflazionistica non lascia però dubbi su ciò che ci attende. L’intera filiera è in fibrillazione da mesi e, la situazione, potrebbe precipitare ulteriormente mettendo a rischio redditi e consumi. Per ora le richieste sostanziali della categoria e della filiera sono cadute nel vuoto.  I sondaggi però parlano chiaro. La principale preoccupazione in Francia come in Italia è il potere d’acquisto.

Siamo così in presenza di un evidente paradosso. Le imprese hanno ragione ad essere preoccupate e caute.  Non vogliono caricarsi di costi e, contemporaneamente, i lavoratori hanno le loro buone ragioni essendo i CCNL scaduti da anni. Rita Querzè rilancia il tema sul Corriere  (https://bit.ly/3DVO5Mm). Sei lavoratori su dieci sono senza rinnovo contrattuale. Nel terziario e nella grande distribuzione sono oltre tre milioni al palo. E, all’orizzonte, non c’è nulla di concreto.

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Grande Distribuzione. Le borse della spesa si riempiono anche con l’innovazione…

Nella Grande Distribuzione l’innovazione vera costa e non è alla portata di tutte le insegne. Però tutti possono, a loro modo, innovare luoghi, offerta e servizi. Clienti e dipendenti ne sono coinvolti, a seconda dei diversi progetti, trasformandosi sempre più  in protagonisti attivi anche perché la dimensione online, pur ancora marginale,  incombe e spinge ad un miglioramento continuo.

In fondo è nella natura del comparto. Le insegne, chi più chi meno, si muovono. Le principali, ovviamente,  segnano il campo da gioco. Le altre seguono, copiano, sperimentano, aggiungono valore ciascuna a modo proprio. Tre recenti esempi tra i tanti che mostrano interessanti cerchi concentrici con un unico obiettivo: cambiare per continuare a crescere. C’è chi punta al bersaglio grosso e quindi a cambiare in profondità, chi al back office per migliorare le performance nella gestione dei punti vendita e chi al front  office intervenendo su addetti e servizi per attrarre e intrattenere  i clienti.

Il Gruppo Carrefour partecipa al lancio di Dastore, un fondo di venture capital.  Punta a partecipazioni di minoranza in startup emergenti attive nel settore del retail digitale. L’iniziativa si inserisce nella strategia digitale 2026 di Carrefour annunciata dal CEO Alexandre Bompard, che mira a trasformare la catena di supermercati e ipermercati francese in una Digital Retail Company.

Il fondo, lanciato insieme alla società europea di venture capital Daphni, mette 80 milioni di euro per startup emergenti ad alto potenziale (non solo in Francia) con focus su nuove attività di ecommerce, dati e strumenti digitali nel retail, logistica e supply chain. Elodie Perthuisot, Direttore Esecutivo di E-Commerce, Data and Digital Transformation del gruppo Carrefour ha dichiarato che: “Investire nelle startup è un’opportunità per Carrefour di accelerare la propria trasformazione digitale, aiutando allo stesso tempo le aziende in fase iniziale a crescere più velocemente”. Sostanzialmente un volano di innovazione a 360°. Leggi tutto “Grande Distribuzione. Le borse della spesa si riempiono anche con l’innovazione…”

Grande Distribuzione. Perché il CCNL rischia di non rinnovarsi tanto presto…

Ci sono due regole non scritte nelle trattative  sindacali ai diversi livelli che i rispettivi negoziatori dovrebbero sempre ricordare. Mai spingersi in situazioni senza vie d’uscita è la prima regola. La seconda è che il negoziato in sé deve essere complessivamente più conveniente della semplice imposizione della propria volontà e strategia  (nel breve o nel lungo periodo). Altrimenti non serve negoziare.

Nella GDO ci sono alcuni evidenti elementi ostativi al negoziato nazionale che si dovrebbe aprire sul fronte Confcommercio. Il primo riguarda l’aver accettato nel rinnovo precedente, da parte sindacale, la richiesta di Federdistribuzione di avere un proprio contratto nazionale in dumping minando così la rappresentatività negoziale della confederazione. Quel contratto, oggi scaduto, ha determinato un elemento di sperequazione tra imprese in competizione sullo stesso mercato difficile (pur non impossibile)  da superare. E non ha impegnato affatto Federdistribuzione ad una maggiore disponibilità sui rinnovi futuri. Una classica situazione senza via d’uscita. 

L’altro elemento, affatto secondario, è rappresentato sia dal percorso che dalle code dell’operazione di acquisizione dei PDV di Auchan Retail da parte di Conad. Una parte del sindacato di categoria ha pensato possibile sottrarsi al negoziato come reazione alla intransigenza del Consorzio impegnato a progettare e portare a termine il passaggio dei punti vendita dell’azienda francese per distribuirli e integrarli nelle sue  5 Cooperative principali e ai diversi partner commerciali  coinvolti dall’intervento dell’antitrust.

Un’intransigenza uguale e contraria messa in campo non supportata però né da rapporti di forza favorevoli né da una strategia lungimirante. Tanto da rendere evidente l’inutilità del negoziato per il Consorzio alle condizioni pretese. E questa autoesclusione ha portato con sé due inevitabili effetti negativi. Ha reso irrilevante l’interlocuzione dell’intero sindacato di categoria nel processo di riorganizzazione e di rilancio di Conad, principale azienda del comparto anche di chi, come la Fisascat CISL, ha cercato in tutti i modi di governarne gli effetti e le ricadute principali.  Contemporaneamente questa vicenda pesa, inutile nasconderlo, sul rinnovo del CCNL.  Innanzitutto quello gestito da Confcommercio a cui Conad ha da poco aderito e, a cascata, tutti gli altri CCNL scaduti che restano inevitabilmente in attesa.

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La grande distribuzione e il lavoro. La fatica di andare oltre il suo costo…

L’inflazione è una brutta bestia. Non colpisce solo il consumatore e la filiera nel suo complesso. Colpisce anche il lavoro dipendente di tutte le attività a monte e a valle. Scordarselo relegandolo ad un problema secondario è un errore. Rilancia inevitabilmente la questione salariale e del lavoro  anche nella Grande Distribuzione. Lo dico pur essendo convinto che questo elemento manca completamente nelle riflessioni dei CEO delle diverse insegne.

Il rinnovo dei CCNL è bloccato da oltre due anni. Né Confcommercio né Federdistribuzione sembrano in grado di fare proposte. Confesercenti e Coop girano anch’esse alla larga. Sul tema c’è una grave caduta di autorevolezza delle associazioni datoriali. È anche una questione di serietà. Non si firmano scadenze e impegni senza rispettarne i termini. Altrimenti sarà inevitabile arrivare al salario minimo di legge.

E così, anziché sfidare il sindacato di categoria sui temi decisivi che accompagneranno i prossimi anni di vigenza del CCNL, si trincerano tutti dietro ad un facile  “NO” al rinnovo pur mascherandolo con argomentazioni legittime quanto fuorvianti. Nessuna organizzazione fa il primo passo per paura di essere scavalcata (al ribasso) dall’altra. È il frutto avvelenato  dell’aver voluto fare del CCNL argomento di concorrenza associativa senza essere in grado di gestirne le conseguenze.

Sui temi del lavoro nella GDO le idee sono poche e confuse. Alle imprese spaventate dai costi non viene proposto nulla di innovativo. E quindi prevale la preoccupazione e l’incertezza sul futuro prossimo che chi riveste responsabilità politiche nelle rispettive associazioni si limita a cavalcare. È chiaro che esiste un problema di fondo che attraversa tutto il mondo del lavoro dipendente. Leggi tutto “La grande distribuzione e il lavoro. La fatica di andare oltre il suo costo…”

Carrefour Italia e franchising. Adelante, Pedro, con juicio, si puedes…

“Avanti, Pedro, con giudizio, se puoi”, l’espressione diventata proverbiale che Alessandro Manzoni mette in bocca al Gran Cancelliere di Milano Antonio Ferrer che si rivolge al cocchiere è, in estrema sintesi ciò che i sindacati hanno ribadito a Cristophe Rabatel CEO di Carrefour con la sottoscrizione  del recente accordo sul franchising e sulla gestione degli esuberi. Pandemia  e crisi delle grandi superfici in generale hanno certamente spinto all’intesa. Aggiungo  che la preoccupazione di non lasciare aperta una vicenda in presenza di tensioni sulla proprietà del Gruppo Carrefour e la volontà della stessa azienda di concentrarsi sul piano di rilancio evitando problemi sindacali nel 2022 hanno determinato, tutto sommato, un risultato significativo.

Il franchising, indipendentemente dalle scelte di Carrefour, sta diventando sempre più importante nella GDO. Per questo non può  più essere esclusivamente considerato  un luogo destinato al cosiddetto lavoro povero come elemento strutturale del business. È, al contrario, una realtà in crescita che deve prendere sempre più coscienza di sé, del proprio ruolo e delle responsabilità collegate. Non è però così dappertutto.

Alcune imprese hanno scelto questa strada per scaricare le loro contraddizioni spostando parte del rischio di impresa sul lavoro. L’adozione di forme contrattuali spurie ne è una dimostrazione evidente. Aggiungo che  nel comparto ci sono stati diversi segnali negativi, anche sul piano commerciale e gestionale,  che hanno addirittura costretto insegne importanti a rescindere i contratti in essere con loro franchisee. Le tensioni attengono  ai costi di gestione, alla capacità o meno di allineare brand e politiche commerciali, ai rapporti spesso imposti con le centrali di acquisto e alla logistica. C’è quindi sempre il rischio, sollevato da alcuni esperti, che franchisor e franchisee nella GDO, viste le dimensioni del business, prendano percorsi paralleli destinati spesso a non incontrarsi confondendo così il consumatore finale.

La multinazionale francese ha però deciso, su questa scelta, di impostare la sua strategia di uscita dalla crisi e giocare buona parte delle sue carte. Non solo in Italia.
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