Credo sia importante tenere accesi i riflettori sull’intera filiera dell’ortofrutta. Il mondo del lavoro povero e poverissimo prodotto dall’immigrazione sta presentando problemi ben al di là dall’allarme lanciato ogni anno per le condizioni di lavoro nei campi di raccolta. Bisogna prenderne atto e intervenire perché il fenomeno si sta ormai radicando nell’intera filiera dalla produzione al consumatore finale. Purtroppo pochi ci fanno caso.
Questa volta i protagonisti sono i nordafricani. Ambulanti, mercati rionali, piccoli negozi distribuiti in tutta la città di Milano e non solo stanno ridisegnando la mappa del comparto ma, a mio giudizio, descrivono una tendenza in atto. Molti nascono e muoiono, cambiano nome e si trasferiscono da un quartiere all’altro. Riconosci i negozi non certo dall’estetica accattivante ma per la frutta ad un euro. Anzi 0,99. A un euro gli avocado. Lavorano preferibilmente con i contanti. Frutta e verdura sui banchi spesso ordinata in quantità eccessiva (perché imposta dal grossista) e quindi poco pianificata. Vendono quello che gli consegnano. Al pomeriggio costa pure meno. La qualità è discreta.
Almeno in linea con quella offerta, molto meno a buon mercato, dalla grande distribuzione. Se fate un giro per punti vendita della GDO in questi giorni è toccato alle ciliegie. Prima alle fragole. Si discute, come ogni anno, della remunerazione dell’intera filiera. I riflettori sono puntati sui discount nazionali pronti a preparare il solito “colpaccio” dell’anno verso ferragosto animando così le polemiche sulla raccolta e sullo sfruttamento nei campi. Non conosco altre città. So che a Roma e provincia i piccoli supermercati aperti h24, i cosiddetti banglamarket, sono cresciuti esponenzialmente. Piccoli negozietti, pieni all’inverosimile che vendono di tutto. Spesso a tutti. Anche a chi non avrebbe l’età per certi acquisti. La tendenza è chiara. È un terziario povero che sta accompagnando i fenomeni legati all’immigrazione.
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