Embraco. Quando si spengono i riflettori…

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Una vicenda complessa come quella che ha coinvolto i 500 lavoratori dell’Embraco non si esaurisce certo con un accordo.

I media hanno unanimemente riconosciuto a Carlo Calenda un ruolo decisivo nel convincere la Whirlpool ad impegnarsi in prima persona nella ricerca di una soluzione che consentisse il passaggio tra la chiusura delle attività Embraco nel sito di Chieri e la sua reindustrializzazione. L’accordo quindi certifica dettagliatamente come questo passaggio debba evitare al massimo gravi  traumi sociali.

Adesso comincia un lavoro, che non si vede, di gestione dell’accordo stesso che rimette al centro il ruolo del sindacato, delle istituzioni e delle realtà interessate al subentro.

Fino ad un minuto prima della sigla rabbia e delusione si sono alternate a speranze e illusioni per i 500 coinvolti e per le loro famiglie. Il rischio di strumentalizzazioni e di semplificazioni in campagna elettorale era altissimo.

C’è voluto un ministro fortemente impegnato a tenere la “barra a dritta e avanti tutta” per smontare una visione legittima sul piano del diritto quanto estremamente pesante sul piano sociale.

Al di là del dibattito sull’Europa e sulle sue distrazioni sui presunti “aiuti di Stato” è legittimo chiedere che una azienda, soprattutto se multinazionale, rispetti il territorio nel quale si insedia, le persone che vi lavorano e le istituzioni del Paese nel quale esercita il suo business. L’accordo certifica semplicemente questo.

Nessuno in buona fede poteva scommettere su di un ripensamento a fabbrica già avviata in Slovacchia e, nessuno lo ha preteso. Però in molti, soprattutto tra i lavoratori, lo hanno sperato.

Martedì ci saranno le assemblee e questa speranza riemergerà nelle valutazioni che precedono il via libera all’accordo. Non sarà una assemblea facile e in questo c’è tutta la difficoltà del lavoro del sindacalista.

Messo in discussione da più parti come inutile o causa dei problemi del Paese, è in questi frangenti che se ne misura l’importanza. I riflettori sono ormai spenti, l’accordo, pur in forma di ipotesi, è quello.

Non è emendabile, contiene impegni che devono essere mantenuti e verificati, punta su soluzioni ancora tutte da costruire. Il segretario generale della Uilm Nazionale Rocco Palombella ha affermato: “Vinceremo questa battaglia, non ci sarà nessun licenziamento.  Lunedì si spegneranno i riflettori, ma noi continueremo a far sentire la nostra voce e non vi lasceremo soli”.

Per i 500 lavoratori, da settimana prossima, i garanti dell’accordo saranno gli stessi sindacalisti che dall’assemblea di martedì e per i prossimi mesi li accompagneranno in questa vicenda. Non sarà una passeggiata.

Ma questo vale in tutte le vicende dove l’accordo “è” la sua gestione. Non gli avverbi, i giri di parole o gli impegni tutti da costruire contenuti nel testo. È un mestiere difficile quello del sindacalista perché gli interlocutori cambiano, i governi pure ma restano i lavoratori con le loro preoccupazioni sul futuro che devono convincersi che il percorso, pur sottoscritto, non è mai scontato.

Per i teorici della disintermediazione l’accordo Embraco poteva costituire un esempio plastico. Prima un’azienda che scavalca i sindacati e quindi il ricorso alle mediazioni tipiche delle relazioni industriali con uno Studio Legale che detta contenuti e modalità della chiusura della fabbrica mettendo i sindacati stessi di fronte al fatto compiuto, poi i lavoratori che scelgono di mediatizzare la vicenda rivolgendosi direttamente alle istituzioni italiane ed europee. O al ministro Calenda tramite Twitter per incitarlo, sostenerlo o chiedere conferme. Mai successo prima.

Ma tutto questo dura al massimo 75 giorni. Poi c’è il lavoro difficile complesso di gestione dell’accordo che non può essere lasciato ad altri. E questo vale per tutti i soggetti coinvolti. A cominciare da whirlpool, i nuovi pretendenti, le associazioni datoriali del territorio, le istituzioni.

Ma il compito più difficile resta ai sindacalisti. E di questo ne va dato atto. Credere fermamente nell’accordo e convincere i lavoratori che l’alternanza speranze e delusioni, l’adrenalina accumulata in queste settimane, anche lo stesso desiderio di ribellarsi ad una decisione ritenuta profondamente ingiusta devono essere canalizzate verso l’obiettivo di trovare il massimo di soluzioni possibili per i lavoratori coinvolti.

Beh! Se qualcuno ancora pensa che la disintermediazione sia la cura e che dei sindacati (o delle relazioni industriali) se ne possa fare tranquillamente a meno, è meglio che rifletta a fondo…

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