Grande Distribuzione e innovazione. Carrefour in Francia ci prova. E gli altri?

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Ogni anno qui da noi ci risiamo. C’è chi regala il panettone, chi regala il vino  e chi si lamenta che non bisognerebbe svalutare così i prodotti. Fiumi di inchiostro inutile. Vale per il panettone a Natale, per l’ortofrutta in estate. O per le promozioni esagerate. Sono scuole di pensiero che attraversano da sempre la grande distribuzione nazionale.

Prezzi bassi sempre o promozioni e volantino. I leader e i follower nelle diverse  piazze regionali e locali spesso predicano bene e razzolano male. Nelle città dove c’è un’alta concentrazione di insegne, i consumatori, soprattutto quelli che devono far quadrare i conti di casa, se possono, saltano tra una e l’altra alla ricerca del prodotto più conveniente. Con il risultato che, spesso, per le insegne, la somma finale di tutto questo agitarsi tra fatturato e margini è uguale a zero.

La GDO italiana, può piacere o meno, è questa qui. Discount o non discount. Salvo, fortunatamente, qualche rara quanto lodevole eccezione. Tosta e sempre uguale a sé stessa a livello micro, fragile quando alza lo sguardo oltre il proprio campo visivo. In grado di tenere testa alle multinazionali quando gioca in casa, in evidente difficoltà quando il business impone cambiamenti profondi.

Secondo esperti e convegni questo piccolo mondo antico starebbe però declinando. Se osserviamo in modo neutrale  la realtà nazionale nessuna novità sostanziale sembra però comparire all’orizzonte. Allora proviamo a guardare fuori dai nostri confini dove la “solita” Carrefour sembra la più attiva in più direzioni. Impegnata a mettere i conti in ordine in tutte le parti del mondo dove è presente e a guardarsi intorno per continuare a competere.

Alexandre Bompard, CEO del Gruppo è alla continua ricerca di partnership per crescere o per cedere l’azienda con lo scopo comunque di creare una importante massa critica perché ha capito che per competere con i giganti della rete occorrono investimenti e concentrazioni. Ha messo da parte la generazione dei “messieurs” aziendali sostituendola con una squadra di manager più contemporanei, scelti per i loro risultati e non per le loro qualità  relazionali. I risultati si vedono.  La svolta c’è stata. Le carte sono sul tavolo. Puntava a Couche Tard e non c’è riuscito mentre il recente tentativo di acquisizione da parte di Auchan non l’ha convinto e ha preferito non farsi  “ingannare” dalla capacità della famiglia Mulliez di mettere in piedi architetture finanziarie spericolate costruite a loro esclusivo vantaggio.

In una recente intervista ha ribadito che Carrefour ha deciso di entrare con decisione in una nuova fase di grande riposizionamento.  “Si tratta di trasformare il gruppo da azienda di distribuzione tradizionale ad azienda di vendita al dettaglio digitale”. Non è il primo che ne parla ma, in Europa, è però tra i primi a provare a metterlo in pratica. È la cosiddetta azienda omnichannel.

Michael Zakkour, grande esperto di retail mondiale, va oltre e fissa il punto di arrivo finale: l’azienda unichannel. La completa integrazione di tutti i canali in un unicum aziendale perché il rischio dell’omnichannel “è che i canali distinti non sono mai, di fatto, veramente integrati”. Secondo Zakkour “essere bravi in una forma di commercio, ad esempio nel negozio, a spese di un’altra forma di commercio come quella online, è una ricetta per il disastro.

Una parte sempre più significativa di consumatori si aspettano che i rivenditori e i marchi siano “onnipresenti”, in modo che quando un cliente ha un’esigenza, possa essere soddisfatta  24 ore su 24, 7 giorni su 7, 365 giorni all’anno”. L’azienda si trasforma  così in “un ecosistema con un focus maniacale sul crescente desiderio di convenienza e gratificazione immediata da parte dei consumatori”.

Alexandre Bompard spera di raggiungere 80 milioni di clienti e 800 milioni di visitatori sulle sue piattaforme di e-commerce, ha affermato a Les Échos. Un piano da tre miliardi. In gioco c’è la crescita, ma anche la necessità di competere con i colossi dell’e-commerce.

Carrefour può contare su Uber, suo partner da più di un anno che le ha portato fatturato aggiuntivo, ma anche sulla startup Cajoo. Sviluppando altre attività digitali come Carrefour Links, il gruppo si dice convinto della redditività della crescita digitale, in particolare della digitalizzazione dei suoi servizi finanziari: “Nel 2026, il digitale contribuirà con altri 600 milioni al nostro attuale reddito operativo” ha aggiunto Bompard. Il gruppo ha inoltre precisato che sta avviando una partnership con Meta, la casa madre della nuova Facebook, con l’obiettivo di sviluppare, tra l’altro, un’applicazione mobile che riunisca tutti i servizi di Carrefour (drive, consegna rapida a domicilio con UberEats e Cajoo, loyalty programmi…). Basti pensare che Carrefour ha l’esigenza di centralizzazione delle informazioni delle sue decine di database.

Michael Zakkour sostiene  che “la  battaglia tra i clic e i mattoni, laddove si è combattuta sul serio, sarebbe già finita. Il vincitore, forse inaspettato, è, di fatto un incrocio che lui ha chiamato “New Retail”. In altri termini un altro modo di fare retail oggi e domani. Proprio quello a cui sembra mirare Carrefour con l’obiettivo di diventare una  Digital Retail Company. 

I “signori del clic” hanno scoperto che lo scopo del negozio intelligente, connesso e reinventato è un vantaggio strategico, e i “padroni del  mattone” hanno scoperto che i negozi statici e non ecosistemici non sono solo uno svantaggio, ma portano ad un declino sicuro e inevitabile” sentenzia Zakkour.

L’obiettivo  è quindi quello di riuscire a creare un circolo virtuoso attraverso i dati generati dai consumatori che, una volta analizzati, offrono ai consumatori stessi  raccomandazioni iper-personalizzate per i prodotti che desiderano e per i prodotti che non sanno ancora di volere creando così  un nuovo percorso per il consumatore stesso, nuove aspettative e nuovi comportamenti. “In questo modo si rendono meno marcati i confini tra media, intrattenimento e vendita al dettaglio”.

In estrema sintesi l’impresa retail  dovrebbe puntare ad allineare le sue strategie commerciali modificando equilibri e poteri tradizionali presenti in azienda dando loro pari dignità e valorizzando le risorse umane  così da creare un vero vantaggio competitivo, ribadendo la centralità del consumatore finale. Un marketing che pur non rinunciando alle sue caratteristiche utilizza i dati a disposizione  e l’analisi predittiva per garantire che i prodotti giusti siano nei posti giusti davanti alle persone giuste al momento giusto. Una logistica che da semplice funzione aziendale si deve trasformare in  un vantaggio competitivo sviluppando nuovi sistemi interni, una catena di approvvigionamento integrata cercando di  appoggiarsi ai migliori a livello globale compresi quelli più forti nell’ultimo miglio. E, infine, un approccio alla  tecnologia laico, intelligente  in grado cioè di sfruttare tutte le varietà e novità potenziali messe a disposizione proprio dalla tecnologia stessa sia in house che in outsourcing con l’unico scopo di ribadire la centralità del consumatore e delle sue esigenze.

Beh, se pensiamo all’angusto cortile di casa nostra, alla sua dispersione di insegne e al “tutti contro tutti” che le caratterizza, non è male che i primi della classe a livello continentale provino percorsi alternativi. Alcuni trasferibili a chiunque, altri inevitabilmente complessi e fuori portata per molti.

Il nostro resta un Paese, nella GDO e non solo, refrattario ai veri cambiamenti e alle innovazioni. Almeno così ci raccontiamo da sempre. Poi arriva il calabrone di turno. Quello che secondo una leggenda metropolitana per conformazione e struttura non potrebbe volare. Ma lui non lo sa, e vola.

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