I corpi intermedi oltre le caricature

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ci risiamo. Adesso tutte le responsabilità e i ritardi di questo Paese sarebbero da addebitare al Sindacato. Il Presidente di Confindustria, ma non solo lui, ritorna su un vecchio luogo comune. Il Sindacato, tutto il Sindacato senza alcuna distinzione non sarebbe in grado di cambiare e di muoversi alla velocità imposta dal contesto. E, questa volta, lo afferma un imprenditore che ha fatto del dialogo e del confronto con le parti sociali un suo tratto distintivo nella gestione delle sue aziende. Perché dirlo ma, soprattutto, perché dirlo ora quando il confronto sul modello contrattuale e sulla rappresentanza sta ritornando al centro del dibattito. Squinzi non parla a caso e il luogo da cui ha lanciato questo messaggio è estremamente significativo. Personalmente credo che uno dei meriti fondamentali di Squinzi sia quello di aver archiviato definitivamente la stagione degli accordi separati. Fin dall’inizio del suo mandato il messaggio è sempre stato chiaro: Confindustria tratta con il sindacato confederale e non con parte di esso quindi o evolve in chiave unitaria tutta l’interlocuzione o non ci potrà essere alcuna interlocuzione. Molti hanno letto, sbagliando, questa posizione come uno schiaffo alla CISL e una forte apertura di credito nei confronti della CGIL di Susanna Camusso alle prese con l’opposizione interna della FIOM di Landini. Un’opposizione interna più mediatica e chiacchierona che concreta in grado, però, di provocare la reazione della Fiat e l’uscita da Confindustria della stessa. E questo per Squinzi era ed è un problema vero. E quindi una CGIL in grado di ritornare a firmare accordi e ad esercitare il suo ruolo nel sistema di relazioni industriali a livello nazionale avrebbe comportato un rinnovato ruolo di Confindustria sia sul fronte interno che esterno. E questo risultato è stato sicuramente raggiunto. Poi però è arrivato Renzi con la sua carica di insofferenza nei confronti di tutti i corpi intermedi anch’egli  indisponibile a percorrere una strada di accordi separati con i sindacati. E questo non tanto perché condivideva la scelta del Presidente di Confindustria di spingere il Sindacato verso una posizione unitaria e costruttiva ma per poterlo trasformare in un avversario superabile, lento nelle decisioni e facile da accusare di conservatorismo e di essere uno dei freni alla crescita e allo sviluppo del Paese. Due strategie diverse che in comune avevano solo la messa in soffitta la stagione degli accordi separati. Più concreta e orientata a ricostruire un contesto utile quella del Presidente di Confindustria, più finalizzata alla rottura di equilibri consolidati e quindi anche del rapporto tra organizzazioni datoriali e sindacali quella di Renzi. La strategia del Presidente di Confindustria, condivisa anche dalle altre organizzazioni datoriali, ha sostanzialmente funzionato, la CGIL è tornata al centro della scena, ha firmato anch’essa l’accordo sulla rappresentanza e, nel Terziario, l’importante CCNL che nelle due tornate precedenti era stato firmato solo da CISL e Uil di categoria mettendo in un angolo Landini e la sua strategia politica di opposizione sociale. Oggi nessuno ipotizza il ritorno alla stagione degli accordi separati. Ovviamente il Presidente di Confindustria non era e non è mosso dalla volontà di limitarsi a ricostruire il sindacato unitario, ci mancherebbe. Il suo obiettivo era di ricostruire una apparente simmetria nella relazione dentro la quale poter perseguire i propri obiettivi. Anche perché i rapporti di forza oggi sono indiscutibilmente a favore delle imprese. Rappresentanza e rappresentatività di chi sottoscrive gli accordi, procedure di raffreddamento del conflitto, regole di approvazione dei contratti, decentramento di parte dei contenuti della contrattazione sono gli obiettivi nei confronti del sindacato. E questi obiettivi sono realizzabili o attraverso un’intesa che in questo momento si presenta difficile o attraverso una legge. Da qui i toni (quasi di sfida) dal palco della festa  azionale dell’unità.  E da qui il messaggio di sostegno al Governo sul fisco. È una mossa forte per restare in gioco. Al sindacato manda a dire, sbrighiamoci altrimenti se ne occuperà la politica con tutti i rischi conseguenti e al Governo che l’appoggio di Confindustria è fuori discussione ma è condizionato dai risultati concreti che si otterranno sul fisco e non dai proclami. Di fronte non tanto a questa sortita ma a ciò che questa sortita significa il sindacato deve rispondere non già scendendo sul piano della legittima polemica ma trovando le risposte e le strade per ricostruire un serio cammino unitario su proposte praticabili. Tutti i corpi intermedi sono ad un punto critico del loro percorso. “Capire il nuovo, guidare il cambiamento” era un vecchio slogan della CISL. Sono passati piú di vent’anni. Questo è il punto vero. Ci sono segnali incoraggianti. Dai sindacati dell’industria della CISL, da alcune regioni del Nord dove cresce la consapevolezza che occorre fare un deciso passo avanti. In questi anni la deriva identitaria ha impedito l’affermarsi di una nuova cultura condivisa e praticabile fuori dai propri confini organizzativi. Ma il sindacato, tutto il sindacato come gli altri corpi intermedi hanno una vitalità e una capacità rigeneratrice spesso sottovalutata da chi non li frequenta da vicino. E questa vitalità presente soprattutto nei territori è destinata a produrre esigenze di cambiamento e di innovazione. Io credo che, quando la polvere della polemica si abbasserà e lascerà il campo alle proposte e al negoziato lì occorrerà essere presenti con idee e strategie praticabili. Questo è quello che conta.

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