Il passo in avanti dei metalmeccanici della CISL

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Continuare a pensare, immaginare il proprio futuro individuandone le traiettorie possibili, impegnarsi perché la loro messa a terra contribuisca a creare le condizioni per credere in un sindacato rinnovato che sappia tutelare il lavoro vecchio e nuovo  ma faccia proprie le ragioni dell’innovazione e del cambiamento anche delle imprese. Un sindacato serio, gradualista, partecipativo e aperto.

Quando rifletto sulla FIM CISL e penso ai dirigenti che lì si sono succeduti con molti dei quali ho costruito una sincera amicizia che è durata negli anni non posso immaginarmeli diversi. Mai scontati anche quando  non ne ho condiviso le scelte. O non hanno condiviso le mie. In vista del loro congresso propongono una riflessione a tutto campo su un tema tutt’altro che scontato: “Per una nuova stagione di diritti e tutele nelle transizioni lavorative” (https://bit.ly/3ISLdBF).

Purtroppo il rischio, che corrono  tutti i documenti sindacali è di rimanere chiusi nei loro recinti. Spesso di non stimolare nemmeno l’interesse esterno alla categoria che li elabora. In questo caso sarebbe un peccato.

Il documento coglie un problema fondamentale. A differenza del passato oggi la stragrande maggioranza delle imprese dura meno dei lavoratori che temporalmente vi lavorano. La necessità di entrare in azienda o di ripartire, spesso in situazioni oggettivamente più difficili diventa una realtà imprescindibile. Il baricentro quindi tende a spostarsi più sulla capacità di muoversi all’interno del mercato del lavoro che solo nell’impresa stessa. E che questa capacità va costruita, manutenuta e resa spendibile affinché il lavoratore non resti solo e in balia degli eventi.

Facile a dirsi difficile da concretizzare in un Paese che ha costruito buona parte della cultura del lavoro intorno al “posto di lavoro”. Alla linearità dei percorsi di crescita professionale ed economica collegati, al trauma del distacco in caso di crisi e alla inevitabile conseguenza della sua massima monetizzazione possibile. Una cultura che ha sempre rifiutato nei fatti di dotarsi, come altri Paesi, di politiche attive che potessero supportare le transizioni lavorative.

La responsabilità sociale dell’impresa e il ruolo del sindacato si fermano dentro le mura dell’azienda mentre i processi decisivi avvengono fuori dal cancello  e, spesso, a causa  dei mutati rapporti di forza e del contesto esterno  i risultati ottenibili  non soddisfano nessuno. Al massimo scaricano sulla collettività parte dei costi e sull’individuo la necessità di cercarsi da solo una soluzione.

Su questa partita il documento offre una chiave di lettura interessante sugli strumenti da creare e mettere a disposizione. In un rapporto di lavoro che ha l’impresa come baricentro esclusivo, diritti, tutele, formazione e sistemi bilaterali collegati hanno la loro ragion d’essere nel rapporto con l’impresa stessa. Se cambia il punto di snodo gli strumenti devono essere riposizionati tarandoli sull’azienda ma anche sulla persona.

Le risorse che possono essere messe a sistema, oltre a quelle pubbliche, ci sono. Dalla formazione finanziata ai fondi derivati dalla bilateralità o da quelli che gli stessi CCNL potrebbero attivare. Qui sta la vera sfida. Le risorse tra l’altro non mancano. il PNRR rappresenta un’opportunità da non sottovalutare, basti pensare ai 4,9 miliardi (compresi i fondi React-Eu) destinati alle politiche attive del lavoro da usare anche per la ricollocazione lavorativa e la riqualificazione professionale.

Le riforme, secondo Roberto Benaglia segretario Generale della FIM, vanno finanziate non solo con i soldi pubblici: «la contrattazione e la bilateralità possono dare un grande contributo in termini di politiche contrattuali»

Nelle linee di intervento proposte c’è, come era prevedibile,  molta “industria”. Soprattutto di dimensione medio grande. Quindi c’è molto da discutere. Soprattutto se parliamo di terziario. Però va apprezzata l’idea di individuare in modo chiaro e trasparente priorità e obiettivi.

È indubbio che la stagione che si apre, pur influenzata dal contesto esterno, rimette il lavoro al centro del confronto tra la parti sociali. Luoghi, qualità, quantità, portabilità dei diritti e dei doveri, riconoscimento e strumenti di partecipazione ai risultati, impegno personale e produttività devono trovare nuove sintesi.

Il sindacato, non solo la FIM CISL deve, proprio a partire da una capacità propositiva come quella contenuta nel documento proposto, misurarsi con le imprese, con la loro competitività e con l’integrazione e i vincoli che l’appartenenza alle filiere internazionali comporta. Certo è che se si riuscisse a farlo insieme si aprirebbe veramente una nuova stagione di cui il Paese ha sicuramente bisogno.  

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