Il piano Calenda e il rischio di sottovalutare il lavoro…

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Per Rachel Botsman non ci sono dubbi. Lo ha scritto nel suo libro What’s Mine is Yours che è uno dei testi di riferimento della sharing economy: il potere della collaborazione e la fiducia, cambieranno il nostro modo di lavorare e consumare.

Cambieranno il modo di pensare ai brand e ai prodotti, le esperienze e i comportamenti sia dei consumatori che del lavoro. L’economia in generale e quindi le aziende, lo dicono ormai tutti, saranno caratterizzate sempre più da volatilità, incertezza, complessità e ambiguità.

In questo contesto la collaborazione diventa una inevitabile strategia di sopravvivenza. Difficile cavarsela da soli. Quindi l’impresa collaborativa sarà, per sua natura, più competitiva.

Deve saper costruire un modo di rapportarsi nuovo all’esterno con clienti, fornitori, partner, reti, ecc. e, all’interno con i propri collaboratori. Nel rapporto Technology vision 2015, Accenture analizza le tendenze tecnologiche destinate ad affermarsi nei prossimi anni e mette come centrale il cambiamento in atto verso la “We Economy”.

Aziende che fanno sistema e non opereranno più come singole entità ma amplieranno i confini tradizionali del proprio business entrando in contatto con altre realtà dando così vita a nuovi ecosistemi digitali collaborativi.

Da un’indagine globale condotta su oltre 2000 dirigenti aziendali e responsabili IT è emerso che quattro intervistati su cinque pensano che in futuro i confini tra settori saranno sempre più sfumati e le piattaforme digitali li trasformeranno in ecosistemi interconnessi tra di loro. Saper operare in questo modo e non invece come singole entità aziendali farà la differenza in termini di business.

Per i manager la sfida è quella di saper convivere e interagire con questi ambienti sapendo estrarre e interpretare da essi il massimo dei segnali, anche contraddittori, che il sistema produce dotandosi di un mix di competenze specialistiche, di capacità manageriali e, ovviamente, digitali.

Ma questo vale anche per i lavoratori che devono investire, sulle proprie capacità e competenze in un mondo che tende a renderle velocemente obsolete, sull’uso efficace del loro tempo e su nuovi strumenti di relazione e di comunicazione.

Per questo il piano Calenda dovrebbe essere accompagnato da un’ambizione maggiore sia sul terreno del coinvolgimento dei corpi intermedi che sul tema del lavoro quindi non può non avere anche un marcato risvolto innovativo sul terreno sociale oltre che economico. I contratti di lavoro firmati sono già andati più avanti.

Anche delle modeste ambizioni di chi vorrebbe far coincidere il proprio perimetro associativo con il tutto. Non è un caso che industry 4.0 è nato e decollato in Germania dove hanno saputo inserirlo in un contesto sociale e collaborativo molto più avanzato.

La scommessa che abbiamo di fronte è proprio questa. Aver promosso un importante rinnovamento dei contratti di lavoro e le relazioni sindacali e aver investito sul welfare e la formazione continua non servirà a nulla se non inserito in questa prospettiva.

Adesso occorre contribuire al decollo dell’ANPAL per dotare il Paese di politiche attive efficaci e, attraverso l’alternanza, far collaborare il mondo della scuola e del lavoro in modo più consapevole. Sarebbe singolare che un profondo processo di innovazione delle imprese e del lavoro non colga l’esigenza di coinvolgere in modo sostanziale chi lo rappresenta.

Il “patto di fabbrica”, l’adozione di modelli che sviluppino la corresponsabilità e la collaborazione non si creano assegnando ruoli da comprimari ai soggetti in campo che, al contrario, devono esserne protagonisti consapevoli. Certo non sarà un lavoro facile perché permane, in una parte del mondo del lavoro, una cultura legata a quel “breve quanto irripetibile periodo” del novecento che fatica a credere nel cambiamento e nell’innovazione.

Ma questa non può essere una scusa per evitare il confronto. Né può essere lasciato confinato alle scadenze naturali dei contratti spostando sempre più in avanti l’esigenza di cambiamento delle relazioni sindacali del nostro Paese anche perché, il tempo, non è una variabile infinita a disposizione.

Il rischio che un nuovo protagonismo sindacale, se non trova sbocchi e interlocutori sul terreno della condivisione del futuro del lavoro e dell’impresa ripieghi su se stesso, è molto forte.

Questa deve essere la sfida che la Politica deve saper mettere in campo fin da subito e che, le parti sociali, devono essere pronte a cogliere in positivo.

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