La metafora della Reggia di Caserta…

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Quello che è accaduto alla Reggia di Caserta deve farci riflettere. Per certi versi è una metafora del nostro Paese. Un luogo bellissimo che tutti ci invidiano, sottovalutato, da rilanciare, dove un direttore cerca di impegnarsi, in perfetta solitudine, completamente circondato da una fortissima resistenza al cambiamento. Il fatto che, questa resistenza, si sia manifestata con una lettera sottolinea ancora di più l’arroganza di chi pensava che, nascondersi dietro una o più sigle sindacali, fosse sufficiente a “spaventare” l’intruso costringendolo a recedere e a comportarsi di conseguenza. I “mariuoli” non pensavano certo di assurgere agli onori della cronaca nazionale. Pensavano che, a seguito della loro iniziativa, qualche solerte funzionario sarebbe stato inviato dal Ministero per mediare, magari convincendo il direttore che, certe richieste di maggiore impegno e disponibilità, pur assolutamente condivisibili, avrebbero dovuto essere gestite con maggiore tatto e sensibilità nei confronti dei sindacati locali. Così facendo il direttore avrebbe perso completamente la sua autorità (ma anche la sua motivazione) e si sarebbe trovato ostaggio, non dei lavoratori, ma di qualche “cacicco” locale che, in questo modo, avrebbe potuto rimarcare il suo potere personale di interdizione. Fortunatamente non è andata così. I vertici confederali non hanno avuto dubbi a schierarsi dalla parte della ragione creando quell’isolamento necessario che sarà fondamentale nei prossimi mesi e che consentirà al direttore a continuare il suo lavoro con ancora maggiore determinazione. E sicuramente presto, tutti noi, ne godremo i benefici. Nessuno ha avuto dubbi su quali fossero i veri interessi in gioco. Né il Governo, né le parti sociali, né i media, né l’opinione pubblica. Quello che mi chiedo è perché tutto questo “buon senso” non possa essere trasportato a livello “Paese”. Ne avremmo veramente bisogno. Se tutti insieme convergessimo su quattro o cinque macro obiettivi fondamentali e non ci perdessimo in scontri verbali di retroguardia trasformeremmo questo nostro Paese in una Reggia. Non bisogna essere dei fini politici per capire che il Paese che dobbiamo cambiare è quello che si nasconde dietro quei comportamenti, che a Caserta si sono manifestati alla luce del sole, ma che sono presenti e radicati ovunque. Nella politica, nei diversi ceti sociali, nei corpi intermedi, nei media, nelle istituzioni. E che solo con uno scatto di orgoglio e di determinazione collettiva riusciremo a sconfiggere. Il nostro è un Paese che ha bisogno di una nuova Costituente più che di una nuova Costituzione. I corpi intermedi potrebbero dare il proprio contributo convergendo unitariamente su alcune proposte sulle quali sono disposti a mettersi in gioco. Così come a Caserta si è scelto il Direttore senza se e senza ma, in questo caso si sceglierebbe il Paese, l’interesse generale e la necessità di riscriverne le regole del gioco. E così passare finalmente da una logica difensiva ma perdente dove domina il “già dato” e “cosa mi aspetto dal mio Paese” a quello di “cosa posso fare”. Prima che sia troppo tardi.

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