Riforma della contrattazione: farla in fretta o farla bene?

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Quante sono realmente le imprese che spingono per avere un nuovo modello contrattuale? Quante lo ritengono necessario? Ma soprattutto quali vantaggi concreti ne ricaverebbero? Chiunque vuole mettere mano al modello contrattuale italiano deve partire da queste semplici domande. I vantaggi per le organizzazioni sindacali sono evidentemente più chiari.  Partiamo dalla realtà. Se prendiamo l’intero universo delle imprese italiane non possiamo non prendere atto che la contrattazione aziendale con le organizzazioni sindacali è presente in un numero esiguo di aziende. Se poi dovessimo entrare nel merito della qualità della contrattazione ci accorgeremmo che ciò che riguarda gli aspetti economici sono trattati da un numero ancora meno significativo di imprese e quasi sempre le organizzazioni sindacali si limitano a ratificare sostanzialmente le proposte aziendali. È la legge del pendolo. Le aziende contrattano solo se hanno problemi che sono costretti a condividere. In caso contrario decidono unilateralmente. Ovviamente ci sono eccezioni e esempi “virtuosi” di coinvolgimento delle organizzazioni sindacali ma, appunto, si tratta di eccezioni. Addirittura molte imprese di diversi settori sono impegnate a smontare i contenuti storici della loro contrattazione aziendale. Indennità, gettoni, percentuali aggiuntive al CCNL, mensilità aggiuntive, salario aziendale fisso, esclusione delle prestazioni domenicali, ecc. sono azzerate o rimesse in discussione quasi ovunque. In molti casi queste particolari condizioni erano già limitate ai collaboratori di vecchia data e non coinvolgevano i nuovi assunti già da molti anni. Se questa premessa è vera siamo in una situazione dove la stragrande maggioranza delle imprese, oggi, preferirebbe non contrattare alcunché con le organizzazioni sindacali. Questo non significa che non ci sia disponibilità ad operare economicamente sulle risorse chiave come peraltro già avviene o a legare parte del salario all’andamento dell’impresa o ad obiettivi specifici. Quindi qualsiasi riforma, per le imprese, non potrà prevedere incrementi di costi che non siano supportati da concreti (e sottolineo concreti) aumenti di produttività. Il professor Ichino cerca di risolvere il problema attraverso una proposta interessante ma, temo di difficile applicazione. Sostanzialmente lasciare ad ogni impresa la facoltà di applicare o meno il CCNL dotandosi, in quel caso, di un contratto aziendale equivalente costruito sulle specificità e sulle esigenze dell’impresa stessa. In alcuni e limitati casi potrebbe essere una buona soluzione. Gli attuali CCNL non consentono deroghe suglia aspetti economici e quindi non lasciano quello spazio necessario a costruire un sistema di incentivazione specifico. Nelle imprese medio grandi potrebbe essere una opportunità da percorrere. Oscar Giannino si spinge oltre auspicando addirittura la predisposizione di un “kit negoziale” che le organizzazioni datoriali potrebbero mettere a disposizione dei loro associati. Il kit del bravo negoziatore. Il caso Fiat ha fatto scuola e quindi sembra tutto abbastanza semplice. Purtroppo non è così. La storia della contrattazione aziendale nel nostro Paese è nota. Le aziende dove le organizzazioni sindacali erano radicate e più forti concedevano risultati normativi ed economici maggiori che poi venivano estesi a tutti attraverso la contrattazione nazionale anche a quelle aziende che non avevano alcun interesse ad accettarle o pressioni sindacali interne. E questo fino a quando le imprese maggiori hanno ben compreso che “nascondendosi” dietro le piccole e medie imprese potevano invertire una tendenza che loro stessi avevano contribuito a creare. Ritornare indietro è possibile ma occorre farlo con grande cautela. Oggi il rapporto tra imprese e sindacato è asimmetrico quasi ovunque. Ieri non era cosí. Domani chissà. Il CCNL è un punto di riferimento per la stragrande maggioranza delle imprese italiane e mantiene una funzione di equilibrio. Inoltre evita fenomeni di dumping contrattuale. Seguire le esigenze di poche seppur importanti aziende non è una scelta corretta. Semmai è l’esatto contrario. Per questo ci vuole cautela ed sarebbe buona cosa lasciare la scelta e la costruzione di una proposta alle parti sociali ovviamente facendo tesoro del contributo indispensabile dei veri esperti e studiosi della materia.

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