Condividere, collaborare, partecipare. Una sfida non facile per il Paese

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passare dalla cultura del conflitto a quella della partecipazione non è facile. Soprattutto quando resta l’ideologia del conflitto ma non più la possibilità di farlo. Restano i rancori, le accuse reciproche, la paralisi. È chiaro che non si partecipa né per forza né perché non ci sono altre alternative. In questi casi si subisce solo l’iniziativa altrui.  Purtroppo in Italia siamo fermi qui. Io credo che occorrerebbe procedere per gradi. Innanzitutto sul piano macro. È vero o no che i corpi intermedi sono in discussione? Quindi occorre partire da lì trovando un terreno comune tra sindacati, imprese e associazioni rappresentative sull’identificazione di alcune semplici regole del gioco condivise. E occorrerebbe farlo in fretta. Riconoscimento reciproco, accordo sulla rappresentanza, salvaguardia della contrattazione nazionale, tutele minime per chi non ha un contratto nazionale di riferimento, consolidamento del welfare contrattuale. Ovviamente questo non basta. Occorre andare avanti. Cosa serve oggi al Paese per consolidare la ripresa e attrarre nuovi investimenti? Serve meno burocrazia, rapidità nella giustizia civile e regole semplici sul lavoro che consentano alle  nuove imprese di decollare rapidamente. Cosa serve ai lavoratori? Riduzione del cuneo fiscale, politiche attive, tutele minime, incrementi salariali legati all’andamento aziendale, flessibilità nel lavoro e tra lavori. Beh! Un sindacato in grado di collaborare con le imprese, che sostiene la ripresa e  la accompagna, che condivide con gli imprenditori gli elementi fondamentali di una rinnovata politica economica utile all’ammodernamento del Paese ricrea le condizioni per una ripresa vera di un ruolo propositivo che è altro rispetto alla vecchia concertazione. L’asimmetria di oggi condanna all’irrilevanza tutto il sindacato e aspettare con pazienza sulla riva del fiume che cambi qualcosa non è mai una buona politica. Quindi una strategia di collaborazione basata su elementi concreti, misurabili e condivisibili. Nel frattempo occorre continuare un processo di confronto unitario che abbandoni decisamente le ormai superate derive identitarie che si sono impadronite del confronto tra sindacati confederali. E, infine, un grande appuntamento nazionale condiviso che sappia coinvolgere il Paese con un linguaggio chiaro e diretto e che prospetti un percorso riformista, partecipativo e unitario. Ciascuno nel proprio ruolo e nelle proprie prerogative dovrebbe capire che il momento necessità di una svolta e di una leadership visionaria che sappia guardare al futuro. Il 900 è alle nostre spalle. Inutile voltarsi. Oggi, ci ricorda in una bellissima poesia Antonio Machado, non c’è un sentiero segnato da percorrere, la via si fa camminando ma, soprattutto, nessuno può più ritornare sui propri passi.

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