Confcommercio. Una storia sbagliata….

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“…È una storia vestita di nero, una  storia da basso impero,                                              una storia mica male insabbiata. È una storia sbagliata”

È una strofa di una canzone molto bella  di Fabrizio De André: Una storia sbagliata pubblicata nel 1980. Commissionata al cantautore genovese dalla RAI come sigla al programma “Dietro il processo”. Riguardava ben altre storie. Ma, in fondo, riguarda tutte le brutte storie. E anche quella che attraversa la Confcommercio, purtroppo, resta una gran brutta storia.

C’è un Presidente che cerca di ritardare il più a lungo possibile la sua uscita di scena che nega di esserne il protagonista che ha portato all’emarginazione tre persone per bene già vicepresidenti confederali, la vita di una donna stravolta sia sul piano professionale che personale, un processo in corso contro l’ex direttore generale e la credibilità del vertice della più grande  confederazione del Paese in crisi in un contesto sociale ed economico particolarmente complesso per l’insieme dei comparti rappresentati da quella Confederazione.

Se non si parte da qui si fatica a comprendere, al di là delle difese d’ufficio del cerchio magico  e delle legittime opinioni,  il travaglio vero in corso in piazza Belli.

Il formale sostegno  interno al capo supremo sembrerebbe, almeno in apparenza, fuori discussione. Sostengono tutti (o quasi), per amore o per forza, l’anziano Presidente. Messi in un angolo i pochi oppositori interni che si erano assunti la responsabilità di prendere le distanze da ciò che ritenevano stesse emergendo e con diverse associazioni territoriali che necessitano di continui sostegni  economici dal centro, la situazione è, dal punto di vista organizzativo, sotto il controllo degli uomini del Presidente.

È significativo il fatto che non ci siano state prese di posizione ufficiali ai nuovi elementi  emersi nelle udienze in tribunale dopo  la testimonianza di Giuseppe Guzzetti ex Presidente di Fondazione Cariplo di cui il Presidente di Confcommercio era vicepresidente. Ne avevo scritto qualche giorno dopo l’udienza (https://bit.ly/3hTzkjz), ne ha scritto il giornalista Giuseppe Guastella sul Corriere (https://bit.ly/3ynfzG4).

Soprattutto si sono appalesate evidenti contraddizioni tra le “verità” raccontate negli organismi confederali (a detta di chi era presente) e quelle emerse dagli interrogatori  dello stesso Presidente di Confcommercio tanto da ricordarmi Bulgakov ne Il Maestro e Margherita: “Ma perché, vagabondo, turbavi la gente del mercato parlando di una verità di cui non hai idea?”.

All’interno della Confederazione si procede dunque a vista sperando di evitare che emerga  un’altra verità a fronte di  una platea sempre più disorientata. Incrinata  parte della credibilità personale del leader sul versante esterno l’obiettivo resta ormai garantire  la continuità interna. Comunque la si voglia prendere è una gran brutta storia che rischia di trascinare con sé un intero gruppo dirigente costretto ad interpretare ruoli da comparsa.

Eppure, se ci voltiamo indietro possiamo  osservare che lo stesso Sergio Billè predecessore dell’attuale Presidente, godeva di un consenso solidissimo che gli ha consentito una estrema spregiudicatezza fino a quando  non  si è arenato sugli scogli, improvvisamente. Sarà così anche questo volta?

Allora  non fu tanto il comportamento seguito, o quello imputato oggi al suo successore, l’aspetto più importante. Quello  si chiarirà nei tribunali. È l’inazione in cui viene trascinato e costretto l’intero gruppo dirigente confederale che sta subendo la sostanziale emarginazione dai luoghi decisionali che contano. 

Il potere organizzativo che è parte determinante del potere politico, non solo in Confcommercio, si regge su due pilastri fondamentali. Le ingenti risorse economiche gestite centralmente  con arrogante discrezionalità e le reti relazionali costruite intorno ai pochi territori e alle federazioni che hanno (ancora) i mezzi e i numeri per precostituire maggioranze.

In questa logica il potere se e quando passa di mano deve garantire innanzitutto continuità con il passato. E questo si riverbera sulla qualità dei suoi gruppi dirigenti. Non è un caso che il primo intervento dopo la defenestrazione del direttore generale ha riguardato le rapide modifiche statutarie necessarie a ripristinare i vecchi equilibri di potere. Eppure buoni candidati alla successione ce ne sarebbero. Ovviamente i più qualificati stanno coperti.

Attendono che il leader tramonti  da solo sempre più stretto tra due elementi, per lui, ineliminabili. L’emergere di un’altra possibile verità processuale e la stanchezza complessiva di una leadership ormai scarica.

Ed è forse per questo che l’intera confederazione accetta  un deficit di qualità politica e di iniziativa  oggi lasciata ai lavori dell’ufficio studi, al protagonismo di parte della tecnostruttura e di qualche territorio che lavora nonostante tutti i freni a cui vengono sottoposti dalla struttura politica centrale. È la classe politica interna o almeno gran parte di essa che, cooptata e fagocitata sembra rassegnata al declino.

Manca completamente una visione moderna del terziario anche se, fortunatamente, turismo e trasporti/logistica pur in epoca di pandemia possono contare sulla capacità elaborativa e di iniziativa delle rispettive federazioni come dimostra il recente accordo tra sindacati e Amazon realizzato anche grazie al supporto di Conftrasporto.  Così come sui temi più generali del lavoro dove non si può tenere fermo al palo il più importante contratto nazionale e accettare supinamente il proliferare della contrattazione “fai da te” per mancanza di coraggio sul tema della certificazione della rappresentanza.

La Confederazione di piazza Belli è ancora di più che in passato davanti ad un bivio. La vicenda processuale in corso che proseguirà per molto tempo ancora rappresenta solo un aspetto del problema. Questa attiene alla credibilità, alla sincerità e alla trasparenza di un uomo avviato comunque sul viale del tramonto.

Il punto, a mio modesto parere,  non è nemmeno attardarsi sui motivi o sui fatti che lo hanno portato a scegliere un linea difensiva inutilmente aggressiva che non poteva che portarlo dove è destinato, prima o poi, ad approdare. Occorre superare le “scuole dell’obbedienza” come le ha recentemente definite Marco Bentivogli e aprire una nuova fase.

C’è ormai un abisso che rischia di trascinare l’intera Confcommercio relegandola ad un ruolo ancillare nella rappresentanza datoriale. La stessa scelta di privilegiare Confesercenti e la sua presidente Patrizia de Luise nel Consiglio d’indirizzo che avrà il compito di orientare, potenziare e rendere efficiente l’attività programmatica in materia di coordinamento della politica economica del Governo, va in questa direzione.

C’è, come è sempre più evidente, la necessità di un salto generazionale da fare qui e ora. Idee e persone nuove su cui investire. E, soprattutto, farlo prima che sia troppo tardi.

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