Coronavirus. Bisogna pensare al dopo. E occorre farlo ora. Di Mario Gasbarrino****

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Di questi tempi, dove tutti sono concentrati sulla pandemia provocata dal coronavirus, è normale che l’attenzione generale sia dedicata a fermare il contagio.  Così come è altrettanto scontato che temi quali la tenuta del sistema sanitario del nostro Paese, il sacrificio di coloro i quali sono impegnati in prima linea, la necessità di rispettare l’isolamento delle persone e quindi la chiusura di tutte le attività non essenziali vengano vissute come prioritarie su qualsiasi altro ragionamento.

Il futuro, il dopo, il cosa ci sarà dietro l’angolo sembrano questioni  prive di significato. Ma lo sono davvero? Il nostro Paese, tutti noi, possiamo permetterci di non avere una visione di insieme che consideri contemporaneamente quello che dobbiamo fare oggi ma cercando contemporaneamente di capire cosa possiamo fare per non compromettere il nostro domani?

A mio modesto parere non dobbiamo correre il rischio di trovarci nella condizione di quel chirurgo che ai congiunti  in attesa di notizie sul loro parente ha risposto: “l’operazione è perfettamente riuscita, purtroppo però il paziente è morto”.

Ecco. Forse qui sta il punto.

Può un paese come l’Italia, con un debito come il nostro, con il rischio che i coronabond non si faranno mai, con un tasso di mortalità di fatto allineato alle medie degli altri paesi ( anche se noi siamo stati così maldestri di farci male da soli), davanti ad  una pandemia di cui non conosciamo la durata, chiudersi in casa, spegnere tutto e smettere di respirare per non si sa quanto tempo e pensare di sopravvivere? Io penso  di no.

Credo sia indispensabile cambiare punto di vista ed elaborare un altra strategia. E, soprattutto, bisogna farlo prima che sia troppo tardi. Molti hanno giustificato tutto questo paragonando la pandemia ad una guerra.

Aldo Cazzullo sul Corriere si interroga su cosa fu davvero il dopoguerra. “Non dobbiamo pensare che nella storia d’Italia il fotogramma successivo alla Liberazione sia l’autostrada del Sole, gli autogrill, la 600, i primi weekend, la scoperta delle vacanze al mare, la tv e gli elettrodomestici nelle case. Quella è storia di quindici anni dopo, e anche più. Il fotogramma successivo alla Liberazione sono bagni sul ballatoio, case di ringhiera, cucine economiche. Bambini che vanno a scuola a piedi con un pezzo di legno per contribuire ad accendere il fuoco e scaldarsi. Famiglie che si mettono in fila nelle stazioni sventrate dai bombardamenti ad attendere un treno che vada nella direzione in cui loro devono andare.

Questo non significa che noi dovremo soffrire altrettanto, superare le stesse prove. Significa che quando si usano parole come dopoguerra e ricostruzione bisogna sapere quello che diciamo. E la cosa più importante è questa: l’Italia fu ricostruita con il lavoro. Non redditi di cittadinanza per tutti. Un conto è dare oggi soldi in mano a chi non può fare la spesa; questo è giusto. Un altro conto è pensare che il futuro appartenga ai sussidi, a una garanzia universale finanziata dai surplus della rete o dalla benevolenza della Bce.”

E ciò che sarà il dopo, lo decidiamo ora. Per questo io credo sia necessario affrontare il tema di come e quando ha senso ripartire. E questa discussione non può essere lasciata ai virologi. È la politica che deve assumersene la responsabilità.

Quali rischi dobbiamo decidere di correre come comunità nazionale, quali condizioni di sicurezza sono indispensabili per consentire una ripresa graduale delle attività, quali fasce d’età possono prioritariamente essere impiegate. Parliamoci chiaro. Molte imprese e attività rischiano di scomparire. Non è vero che il dopo sarà uguale per tutti. Così come è scontato che ogni giorno che passa aumenta inevitabilmente il rischio per molti di non potercela fare. La cosa che non possiamo permetterci è l’indecisione.

Bertrand Russell diceva: “Nulla è così logorante quanto l’indecisione, e nulla è così futile”. È così. Non possiamo permettercelo.

 

**** Oggi ho il piacere di ospitare le idee di Mario Gasbarrino. Una persona che stimo non solo per la sua autorevolezza ma anche per la capacità di pensare fuori dagli schemi. Punto di riferimento per l’intera GDO nazionale, Gasbarrino è un CEO che si è sempre collocato tra gli innovatori del comparto sperimentando nuove idee, assumendosi rischi e responsabilità , animando squadre di ottimo livello professionale e realizzando risultati di grande rilievo. 

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4 risposte a “Coronavirus. Bisogna pensare al dopo. E occorre farlo ora. Di Mario Gasbarrino****”

  1. Grazie di aver concesso al dr Gasbarrino di esprimere il suo pensiero nel suo blog. Credo che la sua innata predisposizione a vedere oltre , anche in questo momento straordinariamente dirompente , ha fatto trapelare una vision controcorrente: RIPARTIAMO! Ed anche in fretta !
    Trovo correttissima anche l’indicazione del “non tutti e subito” Bella l’idea di far andare avanti i giovani con delle disposizioni di cura della propria incolumità e salute che i virologi (ecco , qui si che tocca a loro ) hanno il dovere di dettare.
    Speriamo che ognuno si metta a fare il proprio mestiere!
    Grazie mille a tutte e due i Mario.

  2. Ricercare formule miracolose sarebbe utopico. Meglio una parola d ordine. RICOSTRUZIONE. Esistenziale. Sociale. Economica e politica. partendo da un welfare che garantisca il vivere quotidiano che passa non dall elemosina ma dal Lavoro a tutti. Da che i diritti acquisiti vanno rivisti.

  3. Il mio commento al post di Mario Gasbarrino è un po’ diverso dal precedente di Fabio.
    Secondo me è troppo facile dire rimbocchiamoci le maniche e ripartiamo già dal 6 aprile.
    Forse Mario dimentica che quasi tutte le nostre aziende dipendono dal rifornimento di materie prime che arrivano dall’estero.
    Come possono ripartire subito le aziende di abbigliamento, di mobili etc, se i voli sono quasi tutti annullati e gli aeroporti quasi tutti chiusi?
    Secondo me prima di maggio non si riparte, finché i numeri non si attesteranno.
    Altra questione è quella di non dare sussidi in mancanza di lavoro. Qui ha ragione Mario, però per non avere disoccupati da assistere, bisogna che le aziende si facciano carico di assumere e di produrre meno profitti da dividere tra gli azionisti. Purtroppo non tutti hanno la personalità e pazzia per intraprendere un lavoro autonomo con p.iva.
    Faccio un esempio di buona impresa, la società cinese Xiaomi ha deciso che il proprio profitto non deve eccedere il 5 %, tutto ciò che è in eccedenza verrà reinvestito assumendo nuovo personale e in ricerca.
    Aspettiamo altre 4 settimane e poi gradualmente ritorneremo alla vita frenetica prima, anche perché il resto del mondo e’ messo peggio di noi, tranne la Cina, Giappone e Corea del Sud.

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