Corpi intermedi. Verso nuovi modelli di rappresentanza?

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“Follia è fare sempre la stessa cosa  aspettandosi risultati diversi.” 

Albert Einstein

L’accordo tra Confindustria e Confimprese (http://bit.ly/2WJlZl8) credo vada nella direzione giusta. È un primo passo che dimostra che c’è chi guarda avanti e chi si attarda nella contemplazione  e nella riproposizione del proprio passato.

Dietro quell’intesa ci potrebbe essere un primo tassello importante del futuro della rappresentanza. Non sarà un percorso lineare per gli interessi, a volte divergenti, che lì convergono, ma la consapevolezza che il sistema Paese deve trovare nuove sintesi nelle filiere per continuare a crescere è evidente. Da quell’accordo possono nascere molte cose. Sia sul piano dell’interlocuzione istituzionale che su quello dei nuovi modelli contrattuali e del peso della rappresentanza.

Quel ruolo avrebbe potuto essere di Confcommercio o, almeno, l’avrebbe dovuta vedere protagonista. Così non è stato per l’evidente volontà di attardarsi su atteggiamenti e visioni passatiste. Confcommercio sembra proprio non comprendere la necessità di doversi  riposizionare in una società in evoluzione cercando di interpretare sempre più le esigenze di un terziario che si ibrida con altri settori e proponendosi così come un soggetto veramente inclusivo e non di mera difesa di un vecchio modello di rappresentanza.

Ha calamitato aziende e settori nuovi diventando in questo ultimo decennio una “grossa” organizzazione. Sotto la presidenza Sangalli non è però riuscita a diventare “grande”.  Troppa paura di spiccare il volo, di mettersi in discussione e affrontare il cambiamento. Così sta inevitabilmente creando le premesse del suo declino.

Nel 900 la sua forza e la sua autorevolezza erano date dalla capacità di scambiare con la politica, a favore dei propri associati,  i vantaggi  di un minuzioso lavoro di lobby con una invidiabile  macchina elettorale. Quel mondo è finito. La politica è riuscita ad aggirare il problema disintermediando il rapporto con il cittadino elettore e raggiungendo così  le basi dell’intera rappresentanza  in diretta. E questo è sotto gli occhi di tutti. Resta una sorta di bonaria correttezza politico-istituzionale nel non forzare pubblicamente questa fragilità  in cambio di un sostanziale afonia di una parte della rappresentanza  ormai lenta e impacciata.

Quindi non è solo un problema che riguarda l’immobilismo causato dall’eccessiva  longevità organizzativa del suo Presidente e dalla sua personale difficoltà a misurarsi con il contesto. Anche l’attuale gruppo dirigente, nel suo insieme, essendo un prodotto di quel mondo in declino, è complessivamente arrivato a fine corsa.

La decisione di proporre di modificare lo statuto confederale credo nasca tutta da qui. Pur di impedire la discesa in campo di nuovi candidati portatori di cambiamento e di visione del futuro si sceglie di chiudersi a riccio, di mettere la mordacchia al dissenso interno e di esorcizzarne così le critiche. 

Nel 2014, è bene ricordarlo,  l’assemblea di Confcommercio aveva deliberato una modifica importante del suo statuto: da quel momento in poi  i candidati avrebbero dovuto essere espressione diretta delle regioni e delle federazioni di appartenenza in base al numero effettivo degli associati. Una piccola rivoluzione. Fino a quella data, si era privilegiato il cosiddetto “collegio unico nazionale” strumento funzionale a mantenere in eterno i rapporti di forza storici. In altri termini il peso del cosiddetto azionista di maggioranza (l’Unione del Commercio di Milano) forte del suo peso elettorale  che, sommato ai territori amici, consentiva il governo dell’organizzazione e la conseguente gestione delle importanti risorse economiche.

Oggi si sta cercando di reintrodurre sostanzialmente  le vecchie regole.

Purtroppo in Confcommercio sta avvenendo, a mio modesto parere,  l’esatto contrario di quello che servirebbe e questo la relega in una posizione marginale  più che rigenerarne la funzione e renderla reattiva e propositiva inserita nel confronto politico e sociale. Quindi siamo al paradosso. Verrebbe da dire: senza Sangalli non si va da nessuna parte, con Sangalli non si arriva da nessuna parte. Il mondo però non si ferma. L’accordo tra Confindustria e Confinprese è lì a dimostrarlo.

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