Esselunga. Un passo avanti, due indietro…

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Un CEO da solo non va da nessuna parte. E CEO non si nasce. Si diventa. Da una parte attraverso il percorso professionale, le competenze e le capacità affinate negli anni. Indispensabili ma non sufficienti. Dall’altra con la capacità  di circondarsi di collaboratori capaci, esperti nel loro campo e ingaggiati nelle strategie e negli obiettivi. Stimarli, riconoscerne le competenze e la loro esperienza, condividere con loro le traiettorie aziendali, è fondamentale.

Nel mio campo  oltre  ai costi del personale, alla loro evoluzione e il presidio delle problematiche sindacali, non si possono  non cogliere i segnali che accompagnano la vita reale di un’azienda. Il turn over più o meno accentuato dai manager fino agli addetti nei punti vendita, la difficoltà a reperire risorse dal mercato, il grado di soddisfazione presente nelle diverse aree aziendali. 

Ci sono aree aziendali dove obiettivi troppo sfidanti  o valutazioni affrettate  sono pessimi consiglieri.  E rischiano di compromettere il futuro delle risorse migliori e dell’azienda stessa. Occorre poi che il CEO sia in grado di ascoltare, rispettare la professionalità dei manager, capire e proporre sintesi evitando pregiudizi e decisioni sommarie che possano compromettere la gestione futura e quindi i risultati attesi.  Quella che emerge sotto questi punti di vista  è, ovviamente, una realtà ben diversa dai comunicati stampa rivolti all’esterno. Emerge l’azienda per quello che è.

Nel caso dell’azienda di Pioltello i numeri parlano chiaro. C’è poco da discutere. Esselunga chiude il 2022  con segno positivo, come si legge in una recente intervista della Presidente esecutiva Marina Caprotti sul Corriere della Sera. “È stato un anno di impegno verso clienti e dipendenti per proteggere il loro potere di acquisto. Una decisione meditata e contro corrente”, spiega Marina Caprotti. I prezzi dei prodotti a scaffale nell’ultimo anno sono lievitati del 5,5%, a fronte di un’inflazione ricevuta dai fornitori pari a circa il 9%: ciò significa che, in pratica, Esselunga ha assorbito quasi il 4% dei rincari. Questo impegno è però costato caro in termini di margini: nel 2022 l’ebitda è sceso a 501,4 milioni, dai 689,7 del 2021.

Questo dato ha spinto però S&P Global Ratings ha rivedere l’outlook di Esselunga da “stabile” a “negativo”. L’agenzia di rating ha osservato che nel primo semestre Esselunga ha registrato un Ebitda margin quasi dimezzato, pari al 5,5%, a causa dell’aumento della base dei costi legato all’inflazione, in aggiunta a un’aggressiva strategia di pricing e ha aggiunto che potrebbe tagliare il rating se il margine Ebitda dell’azienda non dovesse tornare sopra il 7% nei prossimi 12 mesi. Aggiungo che Massimo Schiraldi ha giustamente  scritto su GDO news: “Esselunga, un’azienda che, nonostante non sia leader di mercato, è da sempre tra i best performers in Europa e la migliore in assoluto in Italia. Questo aspetto è importante perché la qualità del retailer si esprime proprio nel saper costruire assortimenti adatti alle necessità dei consumatori i quali, di conseguenza, scelgono l’insegna come punto di riferimento per la propria spesa”. Quindi, nonostante le turbolenze del contesto, i numeri danno loro ragione. E, questi indubbi risultati sono però frutto del lavoro quotidiano della squadra a tutti i livelli. 

Quindi tutto bene? No. Dall’interno dell’organizzazione aziendale  qualcosa comincia a filtrare  nonostante  gli ottimi risultati di business. Gli esperti hanno il loro metro di giudizio: la redditività per mq. L’unico indicatore che, dal loro punto di vista, è in grado di far comprendere le performance dei diversi  attori della GDO.   Lo condivido se l’obiettivo è quello di presentare una fotografia realistica di un percorso che parte da molto lontano ed è stato raggiunto, come in un puzzle complesso, grazie al contributo dei diversi tasselli che lo compongono. Management aziendale compreso. Ma se i tasselli vengono troppo spesso mischiati e qualcuno di essi magari cade sotto il tavolo il puzzle diventa di difficile composizione nonostante si stia parlando della prima della classe.

Per questo Sami Kahale aveva un compito  difficilissimo affidatogli dalla nuova proprietà. Cambiare Esselunga proprio per consentire all’insegna di continuare ad essere sé stessa. Un passaggio delicatissimo sia nella prospettiva di una cessione (auspicata più volte anche dall’anziano leder) sia  per continuare a presidiare un mercato dove i competitor cominciavano a farsi sentire. Nessuno avrebbe potuto farlo dall’interno proprio perché il peso della leadership e la volontà del vecchio condottiero non avevano consentito l’affermarsi di profili con quelle caratteristiche. Il manager ex P&G  con una notevole esperienza internazionale sulle spalle ha solo cercato di mettere a terra  il compito che gli era stato affidato dalla proprietà. Molto probabilmente qualcosa non ha funzionato proprio nel rapporto con quest’ultima.  Aggiungo che il lungo elenco di manager che hanno lasciato o che stanno lasciando in modo spontaneo o “spintaneo” l’azienda non può non confermare alcuni interrogativi sul futuro. Altra cosa  rispetto ai numeri.

Resta, con più poteri il Direttore Generale. Compresi quelli conferiti recentemente dal Cda che comprendono Operations e Rete commerciale. Il DG sembra essere l’unico punto fermo rimasto. Uno dei pochi superstiti degli uomini stimati e allevati  da Caprotti senior. Glielo aveva soffiato METRO per mandarlo a gestire la multinazionale tedesca a Shanghai. Uno sgarbo che Bernardo Caprotti non ha mai digerito tanto che, appena ha potuto,  è andato a riprenderselo. Un rapporto solido di riconoscenza reciproca, che ha retto per 39 anni e che sembra continuare a reggere con la nuova proprietà.  Spesso però la riconoscenza può giocare brutti scherzi. Condiziona la franchezza. E, a volte, la franchezza, se si guarda avanti,  è fondamentale.

L’ultimo segnale in ordine di tempo è lo spostamento del Direttore Vendite allo sviluppo degli store. Una posizione che rischia di non essere particolarmente stimolante. Capisco, da ex HR, la job rotation ma certi spostamenti interni con manager catapultati in ruoli delicati ha provocato una certa sensazione. Non solo in sede. E le critiche emergono con maggiore frequenza. Cosa sconosciuta fino a poco tempo fa  nella sede di Pioltello. Uno dopo l’altro sono saltati dirigenti o quadri che presidiavano la logistica, le risorse umane, l’amministrazione, l’information tecnology, l‘HSE, solo per citare i più noti.

Compaiono e escono di scena piuttosto rapidamente anche meteore aziendali che non reggono a lungo  la promozione ottenuta sul campo. Il venerdì è il giorno dove i collaboratori, piuttosto disorientati, vedono nelle bacheche chi sale e chi scende nell’indice di gradimento. Da quello che mi raccontano, il record di durata credo sia  92 giorni netti per un manager.  Dalla nomina all’uscita.

Personalmente sto girando nei negozi milanesi dell’insegna dove registro un clima che è certamente cambiato. Un HR ci mette poco a capirlo. Basta parlare con gli addetti o con la regia di punto vendita in pausa sui piazzali. Vedere i direttori di Esselunga a volte trasformati in addetti al carico scarico e al riempimento scaffali è certamente utile per dare il buon esempio ma è singolare. Esselunga nei punti vendita ha sempre avuto un’organizzazione “militare”. Forse un po’ ridondante rispetto ai concorrenti, grazie al minor costo del lavoro dovuto ai fatturati, ma assolutamente rispettosa dei ruoli. Oggi non sembra essere  sempre così.

E questo  dimostra che c’è qualcosa che non funziona nella gestione delle risorse umane, nella logistica e nelle consegne ai punti vendita. Il blocco degli straordinari con gli organici tirati poi temo faccia il resto. L’umore della “truppa” se scavi un po’ non è tra i migliori. E questo colpisce perché stiamo comunque parlando di una delle più performanti imprese della GDO nazionale.

Il management, top o intermedio che sia, in ogni insegna della GDO ha un solo capitale personale costruito sulla  credibilità e sulla stima professionale dei loro sottoposti. Se queste entrano in crisi non è una bella cosa. Il modello organizzativo tende, nel tempo, a risentirne. L’azienda non è solo fatta dai numeri che la caratterizzano. Per me  è innanzitutto il “clima” che si respira al suo interno, la credibilità dei capi che animano le squadre e il rispetto dell’esperienza e della professionalità. Il resto segue. Credo chi ha il potere di decidere ha anche il dovere di prenderne atto. 

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2 risposte a “Esselunga. Un passo avanti, due indietro…”

  1. Buongiorno sono pienamente d’accordo con quanto scritto dal dottore. Sassi e posso aggiungere, che in alcuni pv di Esselunga, non c’è neanche bisogno di parlare con gli addetti, basta osservare i loro comportamenti., e la loro completa mancanza di interazione e sorriso , soprattutto alle casse, cosa che non si era mai vista nel passato. Addetti che riforniscono banchi scatolame abbastanza vuoti di venerdì pomeriggio, usando transpallet elettrici, pericolosissimo per incolumità dei clienti, in spazi ristretti, scaricando il loro malumore , oltre che i cartoni dei prodotti, nei confronti dei clienti che osano passare accanto a loro con aria tutt’altro che socievole ed adeguata. Il personale rappresenta il patrimonio di un azienda, ma se il personale lavora con questo spirito si rischia di fare perdere la credibilità conosciuta dell’insegna Esselunga. Ultima riflessione è su prezzi, prezzi che sono stati aumentati solo del 5% contro un inflazione del 9%., così dice il Ceo nelle sue interviste.Ma le offerte a scaffale dove sono finite? Sparite, ma in compenso restano i prezzi pieni con qualche punto fragola in più. Siamo certi che il cliente voglia questa politica commerciale o sia alla ricerca di offerte per fare quadrare i conti di casa ??? Ai massimi dirigenti la risposta….

    1. La recente politica di decimare gli articoli offerti, spesso penalizzando anche la qualità mette a rischio l’affezione dei clienti di conseguenza la salute futura di Esselunga ! Come si spiega tanto per fare un esempio, la scomparsa della polpa di pomodoro e dei pelati ,Casar, la migliore per qualità nell’assortimento Esselunga e non a caso presente con altra grafica di etichetta in eataly, assistendo alla troppo pubblicizzata Mutti che occupa un plotone di 5 colonne nello scaffale restando un prodotto di media qualità anche se commercialmente forse offre grosse e contòpartite a Esselunga per questo esagerata evidenza invadente negli scaffali? Esselunga intende lasciare decidere come devono essere i suoi supermercati a chi paga di più? è una politica fallimentare il temo di essere facile profeta nel pronosticare una rapida caduta dell’ affezione e delle vendite… Peccato Era stato costruito un modello che creava una positiva dipendenza ora Esselunga rischia di essere sorpassata sui prezzi da Lidl e sull’assortimento da Carrefour…. complimenti per l’indirizzo penoso dato dai vertici

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