Grande Distribuzione e convenienza. Ogni insegna la declina a modo suo..

Tweet about this on TwitterShare on FacebookShare on LinkedIn

I consumatori, soprattutto quelli più smaliziati, hanno i loro percorsi fissi e le loro convinzioni quando “inseguono” la loro idea  di convenienza al supermercato. Le insegne, da parte loro, tirano l’acqua al proprio mulino. Definire un punto vendita “il più conveniente” è molto difficile. Soprattutto di questi tempi. Al massimo si possono ipotizzare formati distributivi che mantengono la fama di essere più convenienti da altri. Ma anche in questo caso, su alcune categorie di prodotti, non è necessariamente così.

Giorgio Santambrogio AD di Végé punta il dito sulla correttezza dell’indagine di Altroconsumo ripresa ed enfatizzata da tutti i media principali. Santambrogio ha ragione. L’indagine è superficiale e inutile rispetto agli obiettivi. Non serve perdersi in inutili tecnicismi per dimostrarlo. Anzi, non esiste alcuna possibilità di dimostrarne la correttezza.  

Per fare un esempio, Colruyt in Belgio vanta  “I prezzi più economici” del Paese. Per questo allinea costantemente i suoi prezzi con gli altri, ma non necessariamente ovunque. Jean-Christophe Burlet direttore regionale delle vendite non lo nasconde: “Ci allineiamo con il profilo del nostro concorrente. Se è un concorrente nazionale, reagiamo allineando i nostri prezzi in tutti i nostri negozi. Se è un concorrente regionale, l’adattamento sarà limitato alla regione e se le sue dimensioni sono davvero locali, ad esempio un singolo negozio in una città, la nostra reazione riguarderà solo i nostri negozi in quella città.”

Per fare tutto questo però Colruyt ha messo in campo un esercito di comparatori di prezzi.  in ufficio ma anche sul campo: 135 persone che confrontano 62.000 prezzi in Belgio ogni giorno. Continua Burlet: ”Circa la metà di queste persone confronta le promozioni consultando i volantini. I concorsi collegati, i premi, i loro siti web, la pubblicità e qualsiasi documento con i prezzi. C’è anche una cassetta postale all’ingresso dell’edificio dove il nostro personale è invitato a imbucare i volantini ricevuti a casa. Questo lavoro di confronto e codifica dei dati si svolge in ufficio, ma abbiamo anche una sessantina di dipendenti che vanno sul campo, nei negozi concorrenti  per permetterci di allinearci. In media, dai 62.000 confronti giornalieri, modifichiamo  600 prezzi ogni giorno.

Per le principali marche, il confronto è relativamente facile, i prodotti e il packaging sono gli stessi in tutte le marche. Diventa difficile quando si tratta di confrontare i prodotti dei marchi dei supermercati, i cosiddetti marchi propri, ad esempio cereali Delhaize, un Choco Cora, sottaceti Carrefour o uno dei marchi di Aldi, Lidl, Intermarché o altro. “È qui che tutto si complica. Per cominciare, prima di confrontare i prezzi dei marchi della concorrenza, dobbiamo confrontare i prodotti, motivo per cui acquistiamo molto per verificare che siano equivalenti ai nostri. I nostri comparatori analizzano tutto, la composizione, gli ingredienti, la capacità e se si scopre che la nostra gamma offre un prodotto equivalente, adeguiamo il nostro prezzo, anche se ciò significa fare un calcolo quando il barattolo di salsa di mele del concorrente è di 340 grammi e il nostro 420. Ci affidiamo al prezzo al chilo per confrontare.”

L’indagine di Altroconsumo è tutt’altra cosa. Sia in termini quantitativi che qualitativi. Influenzerà i comportamenti dei consumatori? Non credo proprio. Probabilmente rafforzerà solo  la pigrizia e la fedeltà di chi già frequenta le insegne proposte come le più convenienti. E un po’ di spirito di squadra nei cosiddetti vincitori. Nei media l’idea che nella GDO c’è chi ci marcia alla grande. Poi ci si meraviglia che il Governo snobbi l’interlocuzione con l’associazionismo di comparto. Vabbé.

Chi ci guadagna è sicuramente Altroconsumo. Per qualche giorno il suo logo, trascinato dall’indagine, circola sui media e poi ci sono le famose coccarde per chi è in classifica. Un business legittimo che però rischia di diventare discutibile se collegato alla superficialità dei risultati. La “moda” delle indagini pronte all’uso, però, non è recente. Ed è molto diffusa. Classifiche, premi locali, ecc. sono in genere marchette. Operazioni che al massimo puntano a rafforzare il brand di chi le propone. O a ingraziarsi i vincitori. Vanno prese per quello che sono.

Nascono da un’idea del compianto Giuseppe Bortolussi. A lui, infatti,  si deve l’ideazione e l’implementazione dell’Ufficio studi degli Artigiani di Mestre, che da anni, preparano percentuali e cifre sull’andamento dell’economia. La CGIA di Mestre ha inaugurato, fin dagli anni 90, quello che oggi è un metodo seguito da chiunque e che fa perno su tre caratteristiche.

Innanzitutto il tema dev’essere attuale. I media ormai assorbono per pigrizia qualsiasi elemento che gode dell’interesse generale. I numeri proposti devono essere incontestabili o almeno apparire come tali anche perché  la loro durata nel tempo e nel ricordo dei lettori è inferiore alla data di scadenza di una mozzarella di bufala. Infine occorre un struttura, un brand in grado di  veicolare e dare credibilità all’informazione stessa. In questo modo l’informazione può prescindere dalla verità. O veicolarne solo una parte modesta.

A metà agosto uno tra i principali quotidiani nazionali  pubblicava con grande enfasi un dato assoluto e tranquillizzante dopo le chiusure della pandemia; le nostre strutture avrebbero ospitato dieci milioni di turisti. Un importante esperto del settore alberghiero (purtroppo inascoltato come l’amico Santambrogio)  faceva presente che,  nelle strutture ricettive italiane, ci sono circa 5 milioni di posti letto chiedendo al quotidiano milanese di fare ameno qualche controllo prima di pubblicare dati e notizie che non corrispondono al vero. Ma tant’è.

Ritornando all’argomento ritengo quindi molto complesso  certificare la convenienza generale di un punto vendita rispetto ad un altro. Il prezzo di un prodotto o di un categoria, tra l’altro, rappresenta solo una parte di un concetto moderno di convenienza. Altri fattori incidono (location, personale, comodità, ecc).

Di questi tempi è però il “carovita” a fare notizia. La GDO ha fatto molto per tenere botta agli aumenti richiesti. Ha spesso sacrificato i margini per reggere i fatturati. L’errore è stato forse pensare che certi fenomeni avrebbero avuto un carattere di  transitorietà. Purtroppo così non è stato e non lo sarà nel prossimo futuro.

Tweet about this on TwitterShare on FacebookShare on LinkedIn

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *