Grande Distribuzione. È ora di ridisegnare il futuro, il ruolo politico e la strategia del comparto

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A parte il CEO di Conad Francesco Pugliese che ha cercato di inserire nel confronto  legato al NGEU anche un tassello importante del futuro della GDO italiana (https://bit.ly/37lZ2rw), il resto delle imprese del comparto e le rispettive associazioni sembrano poco interessate  ad entrare in partita. 

Il Governo Draghi ha un compito importante: disegnare e proporre un modello di futuro economico e sociale per il nostro Paese in un quadro europeo. Esserci o non esserci non è la stessa cosa. Nel comparto della grande distribuzione si è poco abituati a misurarsi ad armi pari con la Politica. A parte Coop e Conad che hanno una identità  riconosciuta, le multinazionali tendono a mantenere un profilo basso per evitare frizioni mentre le insegne minori si confrontano generalmente a livello locale e/o regionale con istituzioni e partiti. Più a loro agio   quando cercavano di crescere e dovevano superare difficoltà e vincoli locali a colpi di assunzioni e oneri di urbanizzazione meno da quando ridimensionamenti e chiusure impattano sui singoli territori.

Non c’è mai stato però un salto di qualità,  l’affermazione di un ruolo politico vero pari al contributo economico e sociale messo in campo che sfiora i 240 miliardi di fatturato all’anno e i 33 miliardi di valore aggiunto. E, ultimo ma non ultimo, un ruolo importante sul piano occupazionale. 

L’associazionismo di settore su questo terreno ha spesso girato a vuoto. Confcommercio ha dovuto gestire uno strabismo associativo evidente tra piccoli e grandi player e oggi ha ben altri problemi che sostenere la GDO in un contesto di filiera. Federdistribuzione e le altre associazioni hanno sempre corso in un campionato   minore forse rallentate  proprio dalla “gelosia” reciproca delle singole insegne e paghi dell’aver marcato il loro perimetro contrattuale con i sindacati. 

All’appuntamento con il proprio futuro e quello del Paese il comparto rischia quindi di presentarsi in ordine sparso. Probabilmente non c’è nemmeno una vera consapevolezza della posta in gioco da parte della maggioranza dei  titolari delle catene troppo ripiegati su sé stessi e sempre convinti di dovercela fare da soli come sempre.

Durante la pandemia si sono avuti segnali chiari dell’assoluta mancanza di peso politico del comparto. Nessun riconoscimento del ruolo sociale fondamentale, nessuna comprensione sulle difficoltà e sui contraccolpi sul business per alcune sottocategorie importanti, assurde chiusure di reparti interi o di gallerie di centri commerciali che, di fatto, hanno solo contribuito ad alimentare una concorrenza sleale tra imprese, comparti  e formati.

A parte le solite lamentele di rito non è però successo nulla. Su questo Pugliese è stato molto chiaro: ”Raramente ho a che fare con politici che abbiano contezza di quanto sia strategica l’intera filiera alimentare e la grande distribuzione. Ad esempio serve subito omogeneità di interventi. Il ginepraio di norme, spesso su base regionale o provinciale, andrebbe archiviato una volta per tutte mettendo mano al titolo V della Costituzione. E poi mi permetta di essere critico sugli interventi anti-assembramento. Teniamo chiusi i centri commerciali nel week end e anche i reparti non alimentari per quale motivo? Le cronache ci raccontano che sono i centri storici a rischiare di convertirsi in focolai. Nei centri commerciali ci sono già misure ossessive anti-assembramento e costanti interventi di sanificazione. Non vorremmo ritrovarci ancora in lockdown contenendo laddove non serve”.

Le singole imprese si sono dovute accollare costi aggiuntivi importanti, danni diretti e indiretti e osservare dalla panchina i cambiamenti strutturali in corso per il settore inseguendoli e non guidandoli, proprio per una mancanza di visione unitaria e condivisa del futuro del comparto e degli interessi in gioco. Purtroppo è difficile spiegare a chi ha in mente solo i suoi fatturati e i suoi margini che la partita vera non si gioca su promozioni e volantini ma sul ruolo che la GDO o la parte più sensibile di essa sarà in grado di giocare a livello Paese e dal peso che saprà o meno esercitare in rapporto ad altri settori e nella filiera. E che il suo futuro dipende da lì. 

Il reset imposto dal NGEU e la nascita del nuovo governo sono un’occasione decisiva. Una sorta di “bandiera gialla” come quella che prelude all’ingresso in pista della safety car che malgrado i piazzamenti precedenti rimette in gioco tutti i partecipanti. Per questo occorrerebbe puntare a  ricostruire rapidamente interlocutori e rapporti, far valere il proprio peso politico, lavorare perché dalla logica novecentesca che ha accompagnato la crescita del comparto si passi ad uno schema di ben altro spessore, visione strategica  e potenziale innovativo.

Chiedere che al MISE ci sia un interlocutore attento e dedicato è il primo  passo. Gli operatori logistici e i player della rete che competono con la GDO hanno nel ministero dei trasporti il loro referente principale. Così come parte della filiera agricola ha altrove i suoi interlocutori politici. Progettare il futuro della GDO fuori da una logica di filiera e senza sponde sul tema della concorrenza della rete significa condannare il comparto a non andare molto lontano.

Stefano  Patuanelli all’agricoltura e Giancarlo Giorgetti al MISE sono due ottime scelte. Entrambi fuori da logiche lobbistiche tradizionali. Non credo siano indisponibili ad un confronto costruttivo. Condivido che sarebbe però importante avere almeno un vice ministro con la delega sul settore con il quale disegnare un percorso.

E, soprattutto, schierare una squadra della GDO in grado di parlare di futuro del comparto fuori dalle piccole logiche delle singole insegne cercando almeno di non perdere l’ultimo treno. Ce la si può fare?
Credo sia giusto augurarselo. 

 

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3 risposte a “Grande Distribuzione. È ora di ridisegnare il futuro, il ruolo politico e la strategia del comparto”

  1. Insomma….Giorgetti che stimo molto ( pur essendo io di un’altra sponda) fuori da logiche lobbiste….diciamo col beneficio del dubbio….vista la candidatura con la Lega di un noto imprenditore….poi si vedrà. Pugliese fa bene a tenere il punto, ma tutti i settori ( non solo il retail ) hanno dovuto investire molto per tenere “ botta”…..certo 240 miliardi sono tantissimi , ma la frammentazione eccessiva del mercato porta a queste conseguenze…..

    1. Per il retail il rischio di lobby contrarie è rappresentato da Coldiretti e industria alimentare in parte anche Amazon. Né Giorgetti né Patuanelli hanno un rapporto consolidato con loro. Altra cosa è un equilibrio necessario tra i diversi componenti della filiera. È un punto di partenza diverso con cui interagire. Se ne saranno capaci.

  2. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e lo strumento per cogliere la grande occasione del Next Generation EU e rendere l’Italia un Paese piu equo, verde e inclusivo, con un’economia piu competitiva, dinamica e innovativa. Un insieme di azioni e interventi disegnati per superare l’impatto economico e sociale della pandemia e costruire un’Italia nuova, intervenendo sui suoi nodi strutturali e dotandola degli strumenti necessari per affrontare le sfide ambientali, tecnologiche e sociali del nostro tempo e del futuro. Con questi obiettivi, l’Italia adotta una strategia complessiva che mobilita oltre 300 miliardi di euro, il cui fulcro e rappresentato dagli oltre 210 miliardi delle risorse del programma Next Generation Ue, integrate dai fondi stanziati con la programmazione di bilancio 2021-2026. Un ampio e ambizioso pacchetto di investimenti e riforme in grado di liberare il potenziale di crescita della nostra economia, generare una forte ripresa dell’occupazione, migliorare la qualita del lavoro e dei servizi ai cittadini e la coesione territoriale e favorire la transizione ecologica.

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