Intese confederali sulla rappresentanza e accordi separati

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Ricordo che Luciano Lama in una situazione dove le interpretazioni dello stesso accadimento sindacale erano fortemente discordanti ebbe a dire che “se ci troviamo in due in una stanza buia con l’orologio che segna le dodici e io sostengo che è mezzogiorno e l’altro, mezzanotte, basta aprire la finestra. Se è chiaro ho ragione io, se è scuro, il mio interlocutore.

Questa affermazione mi aveva colpito perché “spogliava” un fatto sindacale dall’interpretazione di parte. Lo rendeva oggettivo. Mi è ritornato in mente sia dopo la vicenda Castelfrigo che, in questi giorni sulla conclusione dell’accordo aziendale LIDL dove FISASCAT CISL e UILTUCS UIL di categoria hanno siglato un intesa sul nuovo contratto aziendale senza la FILCAMS CGIL.

Con una differenza sostanziale. Nel caso della Castelfrigo la FAI CISL ha firmato una intesa con un’azienda difficile ben sapendo che l’accordo non sarebbe stato risolutivo sul tema delle cooperative spurie, che si sarebbe attirata le ire della FLAI CGIL egemone in quella fabbrica fino a poco tempo prima e che non avrebbe risolto i problemi di tutti i lavoratori.

Sapendo però anche che, assumendosi quella responsabilità, quell’accordo avrebbe rimesso in moto l’attività produttiva consentendo a tutti, di fatto, di rientrare in gioco. Così poi è stato pur con qualche rudezza eccessiva.

Il caso LIDL è profondamente diverso. Siamo di fronte ad un’azienda che va molto bene e che è cresciuta, di fatto, senza il sindacato.  La possibilità di sottoscrivere un contratto aziendale non poteva che essere vista con favore da tutte e tre le organizzazioni sindacali di categoria. Soprattutto in una realtà dove il sindacato non ha alcuna possibilità di mobilitazione.

La convenienza dell’azienda stava, probabilmente, nella convinzione che un rapporto con il sindacato poteva essere utile e corretto e nella opportunità offerta dalla contrattazione aziendale di superare, consolidandola, qualche forzatura gestionale.

Al di là di questo, però credo sarà comunque necessario indire un referendum tra i lavoratori per comprenderne il livello di accettazione e rendere l’accordo operativo e valido a tutti gli effetti.

Il punto però, a mio parere, è un altro. E attiene alle dinamiche e alle regole che precedono, guidano e consentono di chiudere un qualsivoglia negoziato. È il tema della rappresentanza e della rappresentatività che ritorna in primo piano. Soprattutto tra federazioni aderenti al sindacalismo confederale.

Se questo tema viene eluso ci ritroveremo in breve tempo nella stagione degli accordi separati che rischiano di vanificare gli accordi sulla rappresentanza.

Nel caso di LIDL se ci dovessimo limitare alIa lettura dei comunicati di contestazione o di approvazione post intesa si potrebbe dubitare che i contendenti fossero seduti allo stesso tavolo.

È ovvio che c’è dell’altro che probabilmente attiene alla statura e alla personalità dei soggetti in campo, alla qualità dei loro rapporti interpersonali, alla stima o alla disistima che li contraddistingue. E alla capacità di cogliere il momento dove un’intesa ha raggiunto il massimo delle disponibilità possibili.

Ricordo che Pierre Carniti all’inizio degli anni ‘80 ironizzava sulla propensione di Bruno Trentin alla firma dei contratti sostenendo che se fosse stato per l’allora segretario della FIOM CGIL il contratto dei metalmeccanici del ‘66 sarebbe stato ancora senza la sua firma. Altri livelli e altri personaggi, ovviamente.

Quello che però è certo è che, in questo caso, non siamo di fronte a sigle sindacali con strategie politiche o negoziali divaricanti. Anzi. Sono tre organizzazioni che comprendono le esigenze delle imprese, ne accompagnano la crescita, fanno della ragionevolezza e della propositività il loro tratto distintivo.

Ma proprio per questo un accordo separato è ancora più difficile da comprendere e da motivare. Le tre Confederazioni probabilmente preferiranno non pronunciarsi rispettando giustamente l’autonomia delle singole categorie ma, così facendo, si potrebbero ingenerare equivoci in molte imprese, soprattutto laddove si è in presenza di  una evidente assenza di cultura sindacale consolidata.

E questo porta inevitabilmente al rischio di una spirale infinita il cui punto di arrivo sono, che lo si voglia o meno, i cosiddetti “contratti pirata” che tutti (a parole) diciamo di voler superare.

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