La distribuzione moderna alla caccia del TOPO?

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Il negoziante del modenese che nel 2019 ha messo in vetrina il cartello: “Prova scarpe, 10 euro” a suo modo, aveva trovato una soluzione semplice ad un problema complesso. Si era stancato di fare showrooming per altri.

Il “dilemma del bottegaio” nell’era di internet, se non si fa un passo in avanti, sta tutto qui. Assecondare il cliente, fargli vivere un’esperienza preclusa alla freddezza dell’acquisto in rete, consigliarlo, trasmettergli l’idea che è nel posto giusto e quindi creare un clima di fiducia o, al contrario, rassegnarsi e fargli pagare  il  suo tempo e la sua competenza lasciando al cliente la decisione di acquistare nel negozio o andare su internet e acquistare la merce nei contenuti e nelle misure provate nel negozio fisico.

Nella stragrande maggioranza dei casi il cliente non è disposto né abituato  a pagare, semplicemente scorporandolo,  il servizio e la competenza del venditore. Né a riconoscerlo nel sovrapprezzo rispetto al web. Insistere su questo tasto non servirebbe a nulla. Il lockdown ha spinto il negozio fisico (comprese le catene della GDO food e no food) a utilizzare l’online per ovviare alle chiusure e/o sostenere il servizio. La mossa ha generalmente funzionato.

Le pur diverse forme di commercio hanno così utilizzato la vendita online, la consegna a domicilio e la presenza in rete non tanto per rispondere alla concorrenza dei big della rete quanto per continuare a lavorare puntando a mantenere i propri o clienti o a farsi conoscere fuori dal bacino tradizionale.

“Non capisco quali vantaggi ci sono a farsi portare la spesa a casa in pochi minuti.” ha sentenziato non molto tempo fa un piccato amministratore delegato di un’insegna della GDO. Ad abitudini attuali, probabilmente nessuno. Sappiamo però che le generazioni e le abitudini cambiano velocemente. Anche nel fare la spesa. La Grande Distribuzione segue le sue traiettorie e scommette sulla “sua” consegna a domicilio. Non si interroga a fondo su “come” cambiare.

Così come ha sottovalutato,  a suo tempo,  i discount e le  “striminzite” 1500 anonime referenze presenti in quel formato, rischia però  oggi di sottovalutare un fenomeno che anticipa e accompagna i cambiamenti nelle abitudini e negli stili di vita e di acquisto delle persone.

Ovviamente l’Italia non è tutta uguale. Soprattutto non è Milano. Chi sta nel centro sud o lontano dalle città può continuare a declinare crescendo. Stanno comunque prendendo piede realtà consolidate come Glovo, Just Eat, Uber Eats, Deliveroo, specialisti in ecommerce come Cortilia o altri dedicati a nicchie particolari. Delle insegne tradizionali solo Esselunga, essendo partita prima,  sembra in grado di tenere il passo laddove la concorrenza è più presente.

Adesso  tocca a new entry come Gorillas, Forban, Blok, Macai o altri come Alfonsino che ha scelto il sud e un altro business model. C’è in corso un interessante ripensamento dell’ultimo miglio. Quello che separa il prodotto dal cliente. Per Gorillas, a Milano, meno di dieci minuti dall’ordine al citofono. Più veloce che fare la spesa al supermercato express sotto casa. Consegne in bici, buste di carta, prezzi di mercato e costo di consegna  inferiore ai 2 euro.

D’altra parte lo stesso consumatore, spinto anche dal lockdown, sta ripensando al proprio ruolo. Ovviamente siamo ai primi passi di un percorso molto lungo e affatto lineare. Nella GDO è ancora prevalente  il consumatore che nel punto vendita,  cerca il meglio al miglior prezzo  e lascia il resto sullo scaffale. A questo infedeltà del cliente  la distribuzione organizzata si era abituata e sa come reagire. Volantini, promozioni, sconti vertiginosi sono state le principali armi utilizzate più o meno da tutte le insegne. Catturare il consumatore che lascia il suo domicilio, indurlo a scegliere la qualità e/o la convenienza in uno specifico luogo fisico per comodità o abitudine è, in fondo, il lavoro principale di ogni azienda della DM.

L’affermazione dei discount, la crisi dei formati più grandi e l’innovazione indotta dalla rete stanno iniziando a produrre modifiche antropologiche nel consumatore. Non solo  nella decisione o meno di uscire di casa per fare acquisti. Ma anche e soprattutto nel prepararsi all’acquisto, nel valutare le alternative, nel decidere se e quanto tempo impegnare per raggiungere il luogo, come viverlo e condividerlo  con altri e quanto dedicare alla scelta del prodotto stesso.

Certo non è la stessa cosa “andare al cinema o guardare lo stesso film sul divano di casa”. Almeno per i boomers. E poi c’è una grande differenza tra andare o non andare in un supermercato sotto casa, in un ipermercato  o in un centro commerciale che, in altre parti del mondo, si propone  più come  “shopping place”. Luogo molto più stimolante di una semplice piattaforma lontano dalla città con un ipermercato da 15.000 mq. con un tradizionale numero di negozi di contorno. Luogo sempre più di aggregazione, di servizio, di svago.

Ma è proprio sulla capacità di attrarre il cliente su terreni differenti che si giocherà la vera partita. Vale per chi ha un singolo negozio o un intero centro commerciale vale però anche per chi occupa l’ultimo miglio il cui scopo non può essere “solo” la rapidità del servizio. Sarebbe troppo banale e troppo lungo il tempo necessario a mettere in equilibrio il conto economico.

Il cliente, come suggeriscono gli esperti,  alterna comportamenti ROPO (research online purchase offline) a TOPO (try offline purchase online) soprattutto, per ora,  nel no food. I primi, grosso modo, sono quelli che cercano in rete e comprano nel punto vendita mentre i secondi, dopo aver valutato l’acquisto nel punto vendita e “sfruttata” l’esperienza del venditore comprano in rete. Il lockdown ha accelerato questa tendenza spingendo le stesse imprese che stanno in rete ad essere molto più sofisticate nel rapporto con il consumatore.

Qualità dell’offerta, convenienza e rapidità sono nettamente migliorate. Ma hanno anche dimostrato che il cliente, se incentivato e messo a proprio agio, non disdegna affatto la frequentazione del negozio. La GDO in generale ma anche l’insieme dei luoghi fisici soprattutto quelli  più grandi stanno faticando ma reggono il colpo.

Nei centri commerciali la riflessione sul futuro, sui servizi da proporre e su come ingaggiare il cliente in un’esperienza completa li allontana dalle rigidità degli spazi tradizionalmente messi a disposizione della Grande Distribuzione.  Quindi la cultura e l’approccio della GDO stanno richiedendo quindi  forti innovazioni sulle politiche commerciali, sulla costruzione e vivibilità dei luoghi di vendita, sul rapporto tra online e offline, sulla qualità del personale  e sui processi. Ma anche sui comportamenti. Nella filiera, con i propri collaboratori e nel contesto socioeconomico  nel quale l’insegna è inserita.

Non tutti però saranno in grado di percorrere la stessa strada.  Una fase, e questo è certo,  si sta chiudendo. E come ci ricorda Leon C. Megginson, “Non sarà la specie più forte o la più intelligente a sopravvivere, ma quella che si adatterà meglio al cambiamento”.

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