Ortofrutta: il tallone di Achille della Grande Distribuzione

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Non è compito del tuo cliente ricordarti.
È tuo obbligo e responsabilità accertarti
che egli non abbia  la possibilità di dimenticarti.
Patricia Fripp

Netto Marken-Discount è un discount tedesco. È finito sotto i riflettori nostrani per il super sconto su alcuni prodotti ortofrutticoli prima di Natale: Eurospin quindi non è più sola con il panettone a Natale e l’anguria a ferragosto con i suoi “prezzacci”. La promozione di Netto è meno semplice   quanto altrettanto efficace. Direi molto tedesca. Per un acquisto minimo di 30 euro, vengono offerti cinque prodotti ortofrutticoli sostanzialmente  per un centesimo. Promozione ovviamente limitata ad una sola confezione per ciascuno dei cinque prodotti in vendita.

Ortofrutta  di provenienza spagnola, tedesca, marocchina, belga e Paesi Bassi (melanzane, pompelmo, pere, cavolo di Bruxelles, pomodori). Nessun prodotto italiano. Più che prendermela con la promozione come fanno alcuni  detrattori nostrani mi domanderei se è un bene o è un male la nostra assenza in quel paniere visto che, in Germania, le nostre esportazioni restano sempre dietro Olanda e Spagna.

La prima riflessione riguarda la raccolta dei prodotti oggetto della promozione in quei Paesi e il conseguente sfruttamento degli addetti. In Italia è fonte di continue accuse nei confronti della GDO. Da qui le polemiche che hanno portato alla legge sulle aste al ribasso che ha individuato un colpevole di comodo senza rimuovere alcun  sfruttamento degli immigrati che, al contrario,   è continuato nei nostri campi come e più di prima. Nel caso tedesco, olandese, belga o spagnolo c’è meno provincialismo nelle accuse  visto che la narrazione prevalente propone che leggi e contratti di lavoro sono assolutamente rispettati.

Sarebbe ora che la GDO nostrana si scrolli di dosso le forzature nei suoi confronti di chi guarda altrove per non guardarsi dentro. Giustificare lo sfruttamento addossandolo alla GDO è una scorciatoia da critici da divano. Il male vero va estirpato laddove si consuma il reato che resta cosa specifica e indipendente dagli equilibri da ricercare nella filiera affinché a ciascuno sia garantita la remunerazione corretta del proprio lavoro.

La seconda riflessione riguarda l’opportunità o meno di “regalare” un prodotto sia esso un panettone, un’anguria o una melanzana.  Le lobby di settore insistono sulla svalutazione del prodotto stesso e quindi del danno diretto e indiretto all’intero comparto. Nessuno però affronta il tema della mediocre qualità della produzione in termini di gusto del prodotto che finisce sugli scaffali della GDO e che rendono quei prodotti, di fatto, di qualità inferiore. Discount compresi.

Né chi lo vende alla GDO né chi lo compra dal primario sembra voler comprendere che il problema sta in ciò che si propone al consumatore in termini di gusto e freschezza. Non solo di costo o attrazione formale sopratutto quando piazzata in bella mostra all’entrata di ogni  punto vendita. È lì che casca l’asino.

La promozione, estrema o meno, può rientrare in un equilibrio complessivo che spetta a chi la propone al pubblico. L’importante è che questo equilibrio non metta in discussione i costi e i ricavi della filiera a monte e che la promozione sia percepita dal cliente come tale. Cosa che oggi non avviene. Qui sta la vera sfida. Non servono battaglie di retroguardia. Nell’ultima visita all’ortomercato di Milano ho potuto vedere la differenza tra i prodotti preparati per i negozi ortofrutticoli della città e quelli diretti alla grande distribuzione. Non sono gli stessi né in termini di costo né di gusto. Eppure sembrano uguali.

In una recente intervista a Myfruit Mario Gasbarrino AD Decò Italia e nel CDA di Cortilia si dà una prima risposta semplice e complessa nello stesso tempo: innanzitutto l’ortofrutta dovrebbe essere “buona”. E ancora: “il sistema dell’ortofrutta è probabilmente quello con la maggiore dispersione di ricchezza presente in questo momento. Le rigidità presenti nel modello di acquisto e vendita distruggono valore”. Il gusto e le rigidità che distruggono valore sono il punto da cui partire. Cosa che oggi non è ancora nella consapevolezza di molti. 

Nel frattempo qualcosa si sta muovendo. Banco Fresco, se manterrà le aspettative, cerca di andare  in questa direzione. D’altra parte, quando Denis Dumont lo ha lanciato nella sua versione originale in Francia pensava proprio ai limiti qualitativi della GDO. In Francia il prossimo anno Carrefour lancerà una nuova insegna e un nuovo format: Potager City: un negozio in franchising, di circa 100 mq, con l’assortimento dell’ortofrutta al centro. C’è quindi un fermento nuovo intorno al tema. L’ortomercato di Milano nel suo progetto di trasformazione verso Foody 2025 potrebbe anch’esso rappresentare un’altra risposta interessante  al problema della qualità. D’altra parte sottovalutare i discount è costato caro alla GDO. Speriamo non si ripeta con i freschi e i freschissimi.

In una survey abbastanza recente elaborata da Nomisma per Cia-Agricoltori Italiani si individuano gli aspetti  principali e si tracciano alcuni possibili scenari positivi per il futuro del consumo di ortofrutta. L’ISTAT, da parte sua, conferma che la popolazione residente è in decrescita: da 59,6 milioni al 1° gennaio 2020 a 58 mln nel 2030, a 54,1 mln nel 2050 e a 47,6 mln nel 2070. Il rapporto tra giovani e anziani sarà di 1 a 3 nel 2050 mentre la popolazione in età lavorativa scenderà in 30 anni dal 63,8% al 53,3% del totale. Crescono le famiglie ma con un numero medio di componenti sempre più piccolo. Meno coppie con figli, più coppie senza: entro il 2040 una famiglia su quattro sarà composta da una coppia con figli, più di una su cinque non avrà figli.

Una popolazione italiana che invecchia porterà a una diminuzione dei consumi vicina al 10%. Però si stima che  aumenteranno i consumi di: verdura (49%), frutta (47%) e olio extravergine di oliva (6%). Oggi, Il 33% di chi compra  ha 65 anni o più e in questo gruppo si concentra il 42% dei consumi di ortofrutta fresca. Un dato su cui riflettere. Seguono con il 20% le famiglie dove chi compra ha un’età compresa fra i 55 e i 64 anni e quelli nella fascia tra i 45 e i 54 anni. Il 13% dei volumi di frutta e verdura fresca, infine, sono stati acquistati da chi ha fra i 35 e i 44 anni, mentre il restante 5% dagli under 34. C’è quindi spazio per crescere.

Secondo l’Osservatorio di mercato di Cso Italy – gli acquisti di ortofrutta sono stati per il 65% di merce sfusa e per il 35% di merce confezionata, segnando un aumento in termini percentuali di quest’ultima tipologia. La ripartenza 2023 sarà fondamentale per capire quanto l’inflazione si rifletterà sui consumi, rallentandoli o meno, e per comprendere, dalla produzione al consumo che la qualità quando è reale è riconosciuta,  si paga.

Come ci ricorda Tom Hopkins, “il processo di vendita è una sequenza di due momenti. Primo, devi educare te stesso. Poi, devi educare il cliente”.

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