Il nuovo che avanza…

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Pensioni, reddito di cittadinanza, precarietà e crisi aziendali. Il nuovo Governo entra in campo sul lavoro non già come arbitro per mediare tra posizioni altrui ma come protagonista. Probabilmente ascolterà i sindacati che saranno costretti ad aggiornare velocemente le loro rivendicazioni così come le organizzazioni di rappresentanza che, in ordine sparso, cercheranno di non vedersi esautorati delle loro materie specifiche e di non vedersi addebitati un costo insostenibile. Ma questo non basta.

I problemi  legati al lavoro rischiano di non essere più in carico alle parti sociali. Almeno fino a quando non finirà la fase della propaganda e della mediatizzazione legata alla coerenza o meno al “contratto di governo”. Le macchine organizzative dei corpi sociali sono decisamente ingolfate strette da una diffidenza reciproca derivata dalla concorrenza tra di loro accentuatasi sulla fine del 900 e dal desiderio di smarcarsi in solitaria dall’accusa di non essere in grado di “capire il nuovo e guidare il cambiamento”.

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Relazioni sindacali. Ogni stagione può dare frutti diversi.

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Sono segnali deboli che però annunciano un cambiamento di clima. Il punto di svolta è stato certamente  il contratto nazionale dei metalmeccanici a cui sono ne sono seguiti altri altrettanto inequivocabili.

La fase delle grandi ristrutturazioni che aveva messo la sordina alle politiche di sviluppo e di coinvolgimento del personale è alle spalle. Non che sia terminata perché, purtroppo, non è così ma perché l’intero sistema delle relazioni tra impresa e lavoro sta cambiando segno cercando di lasciare dietro di sé le logiche legate esclusivamente ai rapporti di forza, alle conseguenti difficoltà organizzative del sindacato e alle convenienze a breve delle imprese.

Il documento “Impegno” di Federmeccanica ne rappresenta l’esempio forse più completo così come i tentativi a livello confederale, sia sindacale che imprenditoriale, di dare al sistema qualche tratto più collaborativo  e innovativo.

Nel terziario, ad esempio,  vanno sottolineati il recente CCNL per i lavoratori dei Pubblici Esercizi, della Ristorazione (collettiva e commerciale) e di altri settori del Turismo sottoscritto da Fipe-Confcommercio, Angem, Associazioni Cooperative. siglato dopo oltre 4 anni e mezzo dalla scadenza, l’accordo aziendale all’outlet di Serravalle, quello recente di Amazon piuttosto che quello di Esselunga sulla rotazione delle domeniche così come l’intenzione di Deliveroo di proporre, a livello internazionale,  forme di assicurazione che rispondono alle esigenze dei propri bikers. Leggi tutto “Relazioni sindacali. Ogni stagione può dare frutti diversi.”

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Può esistere uno sciopero 4.0?

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La vicenda di Deliveroo e della sua proposta unilaterale di assicurare i riders a livello continentale ha fatto scattare una discussione interessante sulla possibilità o meno di “piegare” le resistenze di un’azienda con forme di pressione apparentemente fuori dal comune.

Messaggi che spingono a astenersi dagli acquisti  in un dato giorno o all’interno di una protesta comune tra consumatori e prestatori di lavoro non sono nuovi. Hanno un discreto effetto mediatico perché rappresentano una novità ma restano del tutto inefficaci sul piano pratico. Basti pensare alla inutilità degli appelli contro gli acquisti negli outlet durante le festività.

Credo però che la discussione dovrebbe essere concentrata su di un punto importante. Avrà ancora senso parlare di sciopero in epoca 4.0? Personalmente credo di no. La società 4.0, se così possiamo chiamarla, avrà due caratteristiche importanti.

Innanzitutto si affermeranno concentrazioni economiche sempre più significative favorite dalla loro capacità di muoversi sui mercati globali e dalla tecnologia. In secondo luogo il lavoro tenderà a spostarsi sempre più da luoghi fisici per prendere strade sempre più difficili da normare. Leggi tutto “Può esistere uno sciopero 4.0?”

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Il difficile mestiere della rappresentanza.

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Fa bene Dario di Vico ad interrogarsi sulla scelta di Luxottica di lasciare le associazioni territoriali di Confindustria ( http://bit.ly/2IgmMP2 ). Per chi crede, come me, nel ruolo decisivo delle organizzazioni di rappresentanza nelle dinamiche democratiche del nostro Paese, è certamente un campanello di allarme.

Forse, per comprenderne la ratio, dobbiamo partire dalle ragioni che spingono un’impresa, grande o piccola, ad avvicinarsi oggi al modo associativo.  Indubbiamente Il più importante strumento riconosciuto che una associazione datoriale mette a disposizione delle imprese, associate o meno,  è il Contratto Nazionale di Lavoro. In alcuni comparti economici come ad esempio nel terziario è, di fatto,  l’unico elemento regolatorio a cui le aziende possono riferirsi essendo praticamente inesistenti altri livelli negoziali. È uno dei pochi contratti di natura confederale cioè gestito direttamente da Confcommercio-imprese per l’Italia.

La stragrande maggioranza dei contratti è, al contrario,  sottoscritto da federazioni datoriali di categoria (chimici, metalmeccanici, ecc.). Quindi, nel caso del comparto industriale, non da Confindustria. Pur riconoscendosi in una Confederazione il peso e l’autonomia di chi firma contratti nazionali è indubbiamente rilevante in rapporto alla Confederazione alla quale aderisce.

Tutto questo era meno evidente quando ciascun livello di rappresentanza garantiva agli associati risultati concreti sia di carattere generale che particolare. Oppure servizi specifici altrimenti indisponibili sul mercato. La concertazione sia centrale che periferica, le attività di lobby, gli indirizzi di politica economica tenevano conto del peso e del ruolo delle Confederazioni datoriali particolarmente di Confindustria che, in quel modo, esercitava un ruolo quasi in nome e per conto di tutto il fronte datoriale. Leggi tutto “Il difficile mestiere della rappresentanza.”

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ILVA. Un negoziato che deve continuare.

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Difficile pensare ad un argomento dove il PD non dovrebbe avere dubbi di posizionamento come la vicenda ILVA. Oltre ventimila posti di lavoro a rischio, la rinuncia a un punto di PIL e una perdita di  900 milioni di euro. Indubbiamente si tratterebbe di una grave sconfitta per tutti.

Marco Bentivogli non ha dubbi: “Il silenzio del Pd su ILVA e sulle scorribande di Emiliano  è il segno dell’assenza del lavoro tra le sue priorità”. Il punto sta qui. Se per il PD la soluzione della vicenda ILVA è, in questa fase politica,  assolutamente marginale così come lo è per i vincitori delle elezioni, la partita rischia di essere chiusa prima ancora di cominciare. 

Certo il Ministro Calenda ha sbagliato. Lasciare il tavolo sfruttando una provocazione di qualche sindacalista è stata una ingenuità che rischia di costare molto cara perché è evidente che le fila di chi gioca allo sfascio si sono ingrossate. E le provocazioni sono all’ordine del giorno.

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Atac. Ovvero quando manca il Capo del Personale…

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L’ottimo Sergio Rizzo su Repubblica individua nella mancanza del “Capo del Personale” uno degli indicatori dello sfascio dell’ATAC, l’azienda di trasporti romana. Dodicimila dipendenti con il 13,7% di assenteismo lo reclamerebbero a prescindere. Fino a poco tempo fa c’era e, probabilmente tra poco ce ne sarà un’altro. Cambierebbe qualcosa? Io penso di no.

Per Sergio Rizzo il Capo del Personale ha una funzione precisa: rimettere i numerosi sindacati al loro posto  e imporre quel minimo di ordine, disciplina e rispetto delle regole che dovrebbe esserci in ogni azienda. Nel caso di ATAC più che un Capo del Personale, se si seguisse questa logica, servirebbe Mandrake. Figura difficile da trovare sul mercato.

Ma un Capo del Personale, così come lo intende Sergio Rizzo, lì o altrove, serve ancora? Io credo di no. Al di là del business scelto, della tecnologia impiegata e della composizione degli occupati, ogni azienda, pubblica o privata che sia, si alimenta di tre caratteristiche di fondo. La sua specifica cultura organizzativa, il clima che si respira e un azionista/management che indicano con chiarezza la direzione di marcia.

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Occorre definire un nuovo perimetro per il lavoro.

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Secondo McKinsey l’economia dei lavoretti impiega già oggi il 30% della persone in età lavorativa  in Europa e negli States. Da noi  la discussione si è concentrata sui bikers ma decine di altre attività, dai montatori di mobili alle consegne a domicilio, dagli aspiranti tassisti uberizzati ai gestori di appartamenti e così via stanno modificando strutturalmente le tradizionali  tipologie del rapporto di lavoro sia autonomo che dipendente. 

Ma anche lo stesso concetto di imprenditore è destinato ad entrare in crisi perché  agire nelle filiere internazionali, competere con i nuovi giganti economici prodotti dalla rete, cambia in profondità anche le caratteristiche di chi fa impresa, di come decide di farsi carico dei rischi, di come si muove in un mercato aperto e globale. E di come tenderà a considerare il lavoro di cui ha bisogno per la sua impresa.

C’è voluta una sentenza come quella recente di Torino per costringere tutti ad aprire una riflessione. Sta emergendo qualcosa con cui bisogna misurarsi con una certa urgenza. L’idea di lavoro con cui siamo cresciuti ha sempre avuto precise caratteristiche. Al di là delle tipologie o delle classificazioni in essere, il lavoro, per essere riconosciuto come tale ha sempre avuto un luogo e un tempo dedicato.

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GDO: quando la burocrazia riesce a complicare la vita anche a fin di bene

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Dal 1°gennaio è scattato l’obbligo di utilizzare i cosiddetti  ”bioshopper” per i prodotti di gastronomia, macelleria, pescheria, frutta verdura e panetteria. Queste ultime saranno biodegradabili e compostabili, nel rispetto dello standard internazionale UNI EN 13432.

Una scelta, decisa nella lotta all’inquinamento ambientale e al problema delle microplastiche nei nostri mari, che peserà però sulle tasche degli italiani: ogni esercente dovrà  vende infatti le singole buste a un prezzo di qualche centesimo. Non potrà più essere dato “gratuitamente”. Dovrà essere venduto.

Il punto sta sta qui perché non c’è in discussione la genesi del provvedimento né la sua utilità ambientale. C’è anche una discreta maggioranza degli italiani che è assolutamente convinta della bontà dell’iniziativa  secondo  una recente ricerca Ipsos anche perché in Europa si consumano, ogni anno, 100 miliardi di buste di plastica di cui, una buona parte finisce o in mare o sulle coste.

È un provvedimento quindi che poteva  soddisfare tutti se non fosse stato concepito da chi, non  è mai entrato in un supermercato. Due aspetti entrambi incomprensibili. Innanzitutto i sacchetti non possono essere distribuiti gratuitamente: il prezzo deve essere riconoscibile e separato rispetto a quello della merce. In secondo luogo il Consiglio di Stato ha disposto che i sacchetti biodegradabili per frutta, verdura, pesce e pane si potranno portare da casa, senza per forza doverli acquistare insieme alla merce. Leggi tutto “GDO: quando la burocrazia riesce a complicare la vita anche a fin di bene”

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Il vicolo cieco in cui si è infilata la Grande Distribuzione Italiana

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Purtroppo anche quest’anno il film si ripete. Il sindacato del commercio guadagna le prime pagine dei giornali con una dichiarazione di sciopero che non sortirà nessun particolare effetto pratico.

Come il 25 aprile anche il primo maggio i punti vendita della GDO saranno chiusi solo laddove i gestori riterranno di non aprire. Il confronto sul tema purtroppo non fa nessun passo in avanti. Confcommercio ha provato, senza successo,  ad individuare un punto di possibile accordo che mettesse insieme le diverse esigenze ma non c’è stato verso.

I contrari alle aperture si accontentano della testimonianza e di fare sentire la loro voce a corrente alternata. I favorevoli sanno che devono solo scavallare l’effetto mediatico che precede l’apertura contestata. Fino alla prossima scadenza.

Dopo tanti anni di lavoro nella GDO non ho perso l’abitudine di frequentare i punti vendita nei giorni festivi dove capita. In passato lo dedicavo a visitare la concorrenza per “carpirne” i segreti. Per il sottoscritto, che lavorava nelle Risorse Umane, ovviamente l’obiettivo era osservare l’organizzazione dei reparti, il clima tra i dipendenti e il servizio al cliente. Magari qualche potenziale candidato da assumere. Leggi tutto “Il vicolo cieco in cui si è infilata la Grande Distribuzione Italiana”

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La missione, il viaggio e la cultura della bilateralità del CFMT

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All’inaugurazione della Learning House del CFMT (centro di formazione management del terziario) c’era il pubblico delle grandi occasioni. Innanzitutto i soci (Confcommercio e Manageritalia) presenti ai massimi livelli  con il Presidente Carlo Sangalli e Guido Carella e poi tanti amici, colleghi e politici regionali e nazionali apprezzati per la loro predisposizione al “fare”.

In questi anni si è fatto molto. Parlano le partecipazioni dei dirigenti del terziario alle iniziative, l’accresciuta notorietà del brand, gli accordi con i principali atenei, l’attenzione delle imprese. “Schieriamo sempre la formazione migliore” il claim che caratterizza il brand. Un obiettivo da ricercare ogni giorno.

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