Pensioni, reddito di cittadinanza, precarietà e crisi aziendali. Il nuovo Governo entra in campo sul lavoro non già come arbitro per mediare tra posizioni altrui ma come protagonista. Probabilmente ascolterà i sindacati che saranno costretti ad aggiornare velocemente le loro rivendicazioni così come le organizzazioni di rappresentanza che, in ordine sparso, cercheranno di non vedersi esautorati delle loro materie specifiche e di non vedersi addebitati un costo insostenibile. Ma questo non basta.
I problemi legati al lavoro rischiano di non essere più in carico alle parti sociali. Almeno fino a quando non finirà la fase della propaganda e della mediatizzazione legata alla coerenza o meno al “contratto di governo”. Le macchine organizzative dei corpi sociali sono decisamente ingolfate strette da una diffidenza reciproca derivata dalla concorrenza tra di loro accentuatasi sulla fine del 900 e dal desiderio di smarcarsi in solitaria dall’accusa di non essere in grado di “capire il nuovo e guidare il cambiamento”.