Amazon. Un po’ Dottor Jekill, un po’ Mister Hide….

Tweet about this on TwitterShare on FacebookShare on LinkedIn

La verità è una sola ma ha molte facce come un diamante, diceva Gandhi. Amazon è una multinazionale anch’essa con molte facce. E, per la sua dimensione, per la sua capacità di presentarsi e di muoversi in settori diversi, è sempre sotto i riflettori. Sia quando innova che quando entra in conflitto con il mercato, con i concorrenti e, a volte, con gli stessi Stati dove il suo agire stride  in un contesto economico e sociale che non è disposto a misurarla con un metro diverso da quello  utilizzato per tutte le altre imprese.

Eppure non è un’impresa come le altre. Ha molte facce. Mentre negli USA continua la sua corsa (Amazon è salita del 12% al Nasdaq, il listino tecnologico Usa, dopo aver annunciato la sera del 28 luglio i risultati del secondo trimestre con ricavi in aumento del 7% a 121,2 miliardi di dollari, al di sopra delle attese degli analisti) nel vecchio continente fatica. Non solo per vincoli e sanzioni.

Giuseppe Caprotti ricostruisce la situazione (https://bit.ly/3v74k68) e spinge alla riflessione sul reale stato dell’azienda. Al centro del suo ragionamento il disequilibrio tra l’andamento dell’e-commerce negli USA (+8%) e l’Europa (-6%).  Scrive Caprotti: “Amazon in Europa  ha scelto di non puntare a forti profitti operativi, su cui dovrebbe pagare forti tasse, ma alla conquista di quote di mercato compensandole con i guadagni in altre aree geografiche e soprattutto tramite la forte redditività nel mondo di Amazon Web Services, la parte del gruppo che offre servizi di cloud computing.

Indipendentemente dai punti di osservazione possibili, prendo a prestito un concetto semplice da un comparto dove Amazon ha recentemente investito che spiega bene la filosofia generale dell’azienda: “Pensiamo che l’assistenza sanitaria sia in cima alla lista delle esperienze che devono essere reinventate”, ha affermato Neil Lindsay, vicepresidente senior che guida gli investimenti in campo sanitario di Amazon.

Se vogliamo inquadrare la strategia della multinazionale di Seattle per comprenderla fino in fondo dobbiamo partire da questa parola: “reinventare”. Per Amazon vale in tutti i campi. Passare dalla logica che spinge la maggioranza delle imprese a fare in modo nuovo ciò che hanno sempre fatto a reinventare un determinato business cercando di creare così un vantaggio competitivo difficile da raggiungere per i concorrenti.

Ci sono quindi diverse modalità per osservare e valutare Amazon. Tutte legittime e complementari. La prima è quella più tradizionale. In questo caso prevalgono gli indicatori economici finanziari e i rapporti tra l’azienda e il contesto. Anche le censure alla sua spregiudicatezza. Su questo il giudizio non può che essere puntuale e trasparente. La seconda che credo sia altrettanto interessante è provare a comprendere il punto di arrivo di questa “ossessione” di voler reinventare i differenti business nei quali la multinazionale di Seattle si misura nei diversi Paesi.

Negli ultimi 20 anni, il gigante dell’e-commerce ha acquisito o investito in oltre 130 società. Ricordo gli episodi più significativi:  Whole Foods Market per $13,7 miliardi, la  Metro-Goldwyn-Mayer (MGM) per $8,45 miliardi con cui Amazon si è assicurata una grossa fetta anche del mercato dello streaming. In risposta, Walmart e Paramount, hanno stretto un accordo di streaming. I contenuti della società di intrattenimento saranno un vantaggio per gli abbonati di Walmart in quella che è in gran parte vista come una sfida per Amazon. E ancora, Zappos noto rivenditore di scarpe e abbigliamento online famoso per la cultura aziendale e l’etica incentrata sul cliente, e Zoox che ha avviato lo sviluppo di progetti per la costruzione di robot e droni per la consegna dei pacchi. Entrambe le società sono state acquisite per $1,2 miliardi.

One Medical per circa 3,9 miliardi di dollari, una realtà che offre assistenza sanitaria primaria non solo tramite incontri in presenza ma anche mediante servizi virtuali e digitali h24x7. One Medical è partita da una singola clinica a San Francisco e oggi conta fino a 188 uffici in 25 mercati con circa 800.000 clienti. Pochi giorni fa  Amazon ha annunciato l’acquisizione di iRobot, azienda nota per la produzione dei robot aspirapolvere per la casa con il brand Roomba. Prodotti tra i più apprezzati della categoria dotati già oggi di un elevato livello di tecnologia che potrebbe addirittura come sostiene Stefano Epifani consentire al “più grande retailer al mondo di disporre di una rete di telecamere e sensori che comunica dimensione di abitazioni, disposizione di stanze, marche dei prodotti sparsi per casa”.

C’è un filo rosso che lega tutto questo? Certamente. L’azienda di Seattle prova a reinventare i differenti business  puntando sempre  ad accontentare  il cliente cercando  però di capire cosa lo spinge all’acquisto. Questo  per individuare in anticipo quali prezzi, promozioni, merchandising, ecc. funzionano. E quali sono ridondanti o inutili. E non solo nel negozio fisico. Questo  sarà il vero vantaggio competitivo del futuro e Amazon lo sa.

Aggiungo che l’azienda ha recentemente lanciato (https://bit.ly/3AnA9L0)  un nuovo servizio di analisi dati dei negozi fisici. Il nuovo servizio offre ai fornitori di Amazon informazioni (anonime) sui loro prodotti presenti nei negozi Amazon Go e Amazon Fresh negli Stati Uniti che utilizzano le tecnologie Just Walk Out e Dash Cart. L’obiettivo è semplice: monitorare le abitudini di navigazione e di acquisto dei clienti. Questo nuovo strumento consentirà ai fornitori presenti sugli scaffali dei punti vendita Amazon Fresh e Amazon Go negli USA e nei 20 supermercati di Londra di monitorare i dati del comportamento dei  clienti dei loro prodotti.

L’impatto potenziale sulle strategie globali dei partner industriali ma anche degli stessi retailer è evidente. Tutto questo può portare ad  un ridisegno complessivo  dell’intero ciclo di rifornimento, a modifiche sostanziali del design attuale dei punti vendita, alla possibilità di avere meno referenze sugli scaffali, a benefici sostanziali sulle differenze inventariali e sulle rotture di stock e, infine, ad  un cambiamento delle mansioni dei dipendenti in senso di un miglior utilizzo ma anche di un arricchimento professionale.

Ovviamente una innovazione di questo tipo solleva notevoli problematiche di rispetto della privacy a cui, nel nostro ordinamento, si aggiungono quelle relative al controllo a distanza dei lavoratori addetti che non possono essere bypassate facilmente ma resta comunque interessante comprendere una possibile direzione di marcia della tecnologia applicata al mondo del retail.

Oltre ai problemi di privacy è evidente che, per molte imprese, condividere con Amazon i propri dati, pur con tutte le garanzie possibili,  significa rischiare di aprire il proprio pollaio alla volpe. Su questo sarà interessante capire il destino finale e la proprietà di quei dati.  Solo così si comprenderanno le vere traiettorie. E se Amazon è più dottor Jekill o più Mister Hide. O, come è più nella natura delle cose, entrambi i personaggi. 

Tweet about this on TwitterShare on FacebookShare on LinkedIn

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *